Ricordi sempre ben congegnati, oltre che
ricchi di sorprese. Curiosando fra i manoscritti del marito, “un giorno m’incapricciai
di una ‘novella’ inviata da un giovane di Praga…un precettore di quella città”.
Era Apollinaire. Diaghilev muore mentre Lifar e Kochno se ne contendono
l’esclusiva “rotolandosi per terra, mordendosi e sbranandosi come bestie” – “due
cani rabbiosi si disputavano l’eredità del loro maestro”. Questo succedeva a
Venezia, nell’agosto del 1929, dove Misia effettivamente era presente, poiché dispose per Diaghilev un funerale importante, e lo pagò.
Non una bellezza, benché immortalata da pittori
del rango di Renoir e Toulouse-Lautrec. Ma sempre nel mezzo delle cose che
contano nel primo Novecento. Di Cocteau ricorda una lettera: “Niente può far
comprendere il malessere ‘androgino’ del poeta che si feconda e partorisce da
solo”.Da ultimo censisce il culto, sconvolgente, di Picasso: una sua “minima
stupidaggine scarabocchiata su uno straccetto sarà costosamente incorniciata”.
Attraverso il primo marito, il cuginastro
Thadée Natanson, sposato a diciott’anni, editore e direttore della “Revue
Blanche”, che aveva creato con i fratelli nel 1889 (Alexandre, il maggiore, creerà dieci anni più tardi “Le Cri du Peuple”), figlio di un ricco
banchiere polacco emigrato, socialista, dreyfudardo, Misia fu di tutti i
salotti, e il suo proprio tenne in grande spolvero. Fu una delle prima donne a
Parigi ad avere un’automobile. Molto corteggiata, ma, dice, sempre virtuosa. Non
si spiega il maupassantiano “grandissimo fascino dei direttori di giornale sulle
donne”. Né l’incostanza dei mariti: un’amante del suo secondo marito, “la
Lantelme”, un’attrice, l’accoglie “con occhiate assassine”, interessata a lei
in realtà e non al marito.
È un mondo di donne che lasciano e sono
lasciate. Di Belle Époque o Fine Secolo, che fiammeggia ancora dopo la Grande
Guerra. La madre di Misia, russo-belga, è lasciata dal marito, scultore polacco,
incinta di Misia. Lo scultore, di nome Godebska, aveva approfittato di un
soggiorno di lavoro a Pietroburgo per mettersi con una sua propria zia e farle
un figlio. Che nasce qualche giorno prima di Misia. La quale viene alla luce
nella stessa Pietroburgo, dove la madre è corsa malgrado l’inverno rigido e la
gravidanza avanzata, per recuperare il marito, e dove muore, sola in albergo,
dando alla luce Misia. È il 1875. Il padre si prende cura della bambina e la riporta
dalla nonna materna a Halle. Mettendosi
durante il viaggio a Varsavia con una signora Natanson, “che si fece
sposare, a Parigi, poco tempo dopo”, dopo avercelo condotto per fargli una
carriera, “donna intelligente” - non una signora qualsiasi, in realtà, era sorella del banchiere. A Parigi Misia è ripresa dalla nuova coppia. Ma
messa in convento, per sei anni. Dove impara a suonare il piano, avendo per
maestro Gabriel Fauré. Uscita dal convento si rende indipendente con lezioni di
piano, agli allievi che Fauré le manda.
È una memorialistica atteggiata, come
tutte, ma anche sorridente, e storica. Di una vita che è l’opera – in senso
specifico, il melodramma. Misia è il prototipo, a crederci, della donna da
salotto dell’età di Proust, avventurosa ma al di qua di ogni scandalo, se non pruriginosa
o algida. Dove la bellezza si apprezza, in ordine, del denaro, dello spirito,
del corpo. Ebbe tre mariti, tutt’e tre ricchi: dopo Thadée il magnate della
stampa Alfred Edwards (“Le Matin”), che la “comprò” dallo stesso Thadée, e il
pittore spagnolo José-Maria Sert – innamorato anche della principessa russa Isabelle Roussadana Mdivani, “Roussy”, con la quale i coniugi convissero a
lungo. Visse fino al 1950, non dimenticata dalla Parigi che conta, in stretta amicizia con Coco Chanel. Si voleva
uno dei modelli di Proust per la principessa Yourbeletieff e madame Verdurin.
Misia Sert, Misia, Adelphi, pp. 242 € 19
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