Assoluto – È pensabile,
non realizzabile. L’eternità, l’onniscienza, l’infallibilità: sono il divino, a
cui si dà la caccia come a un’utopia, un qualsiasi desiderio. È una ginnastica.
Dio - Nella sua
storia non bisogna sottovalutare gli ebrei. Giacobbe era uno che lottava con
Dio, “Genesi” XXXX, 23-33. Nei primi libri della Bibbia, fino a Mosè, prima
della riscrittura clericale, Dio è uno che si diverte, banchetta, furoreggia,
impaziente, geloso, prepotente e anche mafioso, e ogni tanto vorrebbe
sterminare pure i suoi – sarà divino ma è, come si sa, molto umano, e copia gli
ebrei.
Dio è doppio in Pascal: il Dio dei
filosofi, della ragione, che non può essere il vero perché ha le stesse debolezze
di quell’orgogliosa facoltà, e il Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe, che si
rivela nella storia, anima la vita d’un popolo, parla tramite i profeti.
Oppure si può prenderla in altro modo,
questa storia di Dio va affrontata. Partendo per esempio da Simone Weil,
secondo la quale “il cristianesimo primitivo ha fabbricato il veleno della
nozione di progresso con l’idea della pedagogia divina che forma gli uomini per
renderli capaci di ricevere il messaggio del Cristo... Il cristianesimo ha
voluto cercare un’armonia nella storia. È il germe di Hegel e di Marx. Mi
sembra che ci siano poche idee più completamente false: cercare l’armonia nel
divenire, in ciò che è il contrario dell’eternità”. E ancora: “L’idea di
progresso è l’idea atea per eccellenza, e la negazione della prova ontologica
sperimentale, giacché implica che il mediocre può di per sé produrre il meglio.
Tutta la scienza moderna concorre alla distruzione dell’idea del progresso”.
Dunque Dio è la scienza moderna – è ancora la verità e la vita. E la fine della
storia è al di là. “Il progresso è un sintomo”, dice Turgenev. Della fine della
storia?
Infallibilità – Si proclama
del papa in materia divina nel mentre che dello stesso si afferma, e si
pretende, la massima fallibilità umana – l’incorenza come una virtù, o quasi.
Il papa Pio IX, che proclamò l’infallibilità del papa in materia di fede, ne è
l’esempio più insigne, massimamente incoerente, per debolezza, pregiudizio, ambiente,
età.
Esiste
come dogma, e quindi è inspiegabile, se non come scudo della chiesa contro i
suoi molti nemici. Ma l’inimicizia contro la chiesa è inspiegabile – contro la
pratica ecclesiastica, i dogmi, contro la religione quando non offende nessuno.
Numerologia – È arte
(filosofia) ebraica? Si può dire, se Pitagora, come vuole Campanella, è
anch’egli “di stirpe giudaica, benché nato in una città greca”, Samo.
Campanella, grande conoscitore delle Scritture, lo afferma sull’autorità di sant’Ambrogio”,
per “la santità e la serietà” del santo stesso. Ma più per gli argomenti (nel
par. “Ad Sextum” del cap. V dell’“Apologia per Galileo”): “Pitagora insegna il
distacco dai cibi e l’unità di Dio, sebbene sostenga che gli angeli siano
secondi dei, e tutto spiega con i numeri (come fece Mosè nella costruzione del
tabernacolo, e Salomone quando sostiene che tutte le cose sono state create «in
numero, peso e misura»), e emula Mosè nella costituzione della legge, tutte
cose che erano usuali per gli Ebrei. Sembra piuttosto che sia nato a Samo da
famiglia giudaica, così come gli Spartani nel «Libro dei Maccabei» vengono
detti della stirpe di Abramo”.
Pentimento - “Non pentirsi di
nulla è la saggezza suprema”, Kierkegaard dopo Spinoza può sostenere con più
verità: pentirsi per deprecare, denunciare, cioè giudicare, la colpa degli altri,
di fatto è non pentirsi, pentimento è cancellarsi, giusto la metafora della
prigione.
Riso – “Si ride non per allegria”, dice il Kleist di Christa Wolf in
“Nessun luogo. Da nessuna parte”. Può essere, c’è la risata diabolica. Ma non
si può sapere se il diavolo non è felice.
In Christa Wolf è peraltro solo un preziosismo – il solito
capovolgimento (la Germania ama “capovolgere”: Marx Hegel, Heidegger se stesso).
Allo stesso Kleist Christa Wolf fa dire che “presto non si piangerà più per
tristezza”. Finezze?
Per Hegel ride chi si ritiene superiore. Ma si ride pure per
letizia e ingenuità - ridono spesso, senza motivo, le fanciulle. Ride di essere
nato Gesù Bambino. Dice Aristotele che l’infante non ride prima dei quaranta
giorni, quando è fuori pericolo, con la mamma, ma Gesù neonato nei quadri
spesso ride. Anche van der Weyden, che lo figura rachitico, lo fa ridere, e
Salomon Reinach sa perché: il riso dell’infante è “rituale”, una presa di
possesso della vita. Plinio, che lo attesta di Zoroastro alla nascita, ne fa un
segno di origini preternaturali. Gli stessi vecchi riderebbero volentieri,
secondo Sophie de Grouchy: più spesso piangono, spiega la filosofa, ma “uno
spettacolo doloroso è per loro pericoloso”, e tra gli acciacchi riderebbero
volentieri di essere in vita. Il riso latita nei testi sacri, ma ha dunque
funzione rituale: da rito a riso il passo è breve. Hegel dice comica pure la
contraddizione, ma è un comico tragico, non si ride.
Il riso è datore di vita, spiega Frejdenborg: “Il riso si
semanticizza come nuovo splendore del
sole, come la nascita solare”. E Calvino: “Solo il riso garantisce che il
discorso è all’altezza della terribilità del vivere e segue una mutazione
rivoluzionaria”, Calvino lo scrittore. “Ho proclamato santo il riso”, disse
Nietzsche, che propose un “risario”, e sarebbe stato suo titolo di merito.
Rabelais assicura che il riso fa bene alla tiroide. Ridevano i fenici, che al
contrario dei sardi uccidevano i figli, e i traci quando qualcuno moriva, a
qualsiasi età. Si ride in Ucraina ai fune-rali, come tra i neri in America, e
in Cina in casa dei moribondi. Il rapporto è dunque stretto tra il riso e la
morte – come tra l’amore e la morte, e la vita e la morte. In Lessing il riso
accompagna la collera, un binomio da indagare: la collera è per i greci antichi
cosa buona.
Storia - “Solo il bene
è profondo”, dice Arendt dopo aver scoperto la banalità del male. Trascura san
Paolo e “la forza del peccato”: la storia è anzitutto insensata.
Non
si può rinunciare alla storia: la storia divenuta reale non ha più fine, l’ha
capita pure Debord. Si va per accumulo, soverchiando i segni meno.
È una bagascia, rotta a tutto. Anche
alla teodicea. La storia nei fogli della fortuna, quando il pappagallo li
estraeva dal cesto, si componeva di tre “estasi” del tempo: il retaggio, il
destino, la fortuna. Ora tutto è possibile. Pure decostruire la
decostruzione, destabilizzare la destabilizzazione. Disorganizzare la
disorganizzazione. Come operazione critica, certo, ricostitutiva. E faziosa:
frantumare la frantumazione, dell’io, la società, il mondo. Ma per quale legge
e quale ordine? È operazione reazionaria, su cui si misurano l’Occidente, il papa,
Freud, l’imperialismo trionfante dei signori del denaro – altrimenti impensabile.
zeulig@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento