giovedì 6 dicembre 2012

Secondi pensieri - 126

zeulig

Assoluto – È pensabile, non realizzabile. L’eternità, l’onniscienza, l’infallibilità: sono il divino, a cui si dà la caccia come a un’utopia, un qualsiasi desiderio. È una ginnastica.

Dio - Nella sua storia non bisogna sottovalutare gli ebrei. Giacobbe era uno che lottava con Dio, “Genesi” XXXX, 23-33. Nei primi libri della Bibbia, fino a Mosè, prima della riscrittura clericale, Dio è uno che si diverte, banchetta, furoreggia, impaziente, geloso, prepotente e anche mafioso, e ogni tanto vorrebbe sterminare pure i suoi – sarà divino ma è, come si sa, molto umano, e copia gli ebrei.

Dio è doppio in Pascal: il Dio dei filosofi, della ragione, che non può essere il vero perché ha le stesse debolezze di quell’orgogliosa facoltà, e il Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe, che si rivela nella storia, anima la vita d’un popolo, parla tramite i profeti.

Oppure si può prenderla in altro modo, questa storia di Dio va affrontata. Partendo per esempio da Simone Weil, secondo la quale “il cristianesimo primitivo ha fabbricato il veleno della nozione di progresso con l’idea della pedagogia divina che forma gli uomini per renderli capaci di ricevere il messaggio del Cristo... Il cristianesimo ha voluto cercare un’armonia nella storia. È il germe di Hegel e di Marx. Mi sembra che ci siano poche idee più completamente false: cercare l’armonia nel divenire, in ciò che è il contrario dell’eternità”. E ancora: “L’idea di progresso è l’idea atea per eccellenza, e la negazione della prova ontologica sperimentale, giacché implica che il mediocre può di per sé produrre il meglio. Tutta la scienza moderna concorre alla distruzione dell’idea del progresso”. Dunque Dio è la scienza moderna – è ancora la verità e la vita. E la fine della storia è al di là. “Il progresso è un sintomo”, dice Turgenev. Della fine della storia?

Infallibilità – Si proclama del papa in materia divina nel mentre che dello stesso si afferma, e si pretende, la massima fallibilità umana – l’incorenza come una virtù, o quasi. Il papa Pio IX, che proclamò l’infallibilità del papa in materia di fede, ne è l’esempio più insigne, massimamente incoerente, per debolezza, pregiudizio, ambiente, età.
Esiste come dogma, e quindi è inspiegabile, se non come scudo della chiesa contro i suoi molti nemici. Ma l’inimicizia contro la chiesa è inspiegabile – contro la pratica ecclesiastica, i dogmi, contro la religione quando non offende nessuno.

Numerologia – È arte (filosofia) ebraica? Si può dire, se Pitagora, come vuole Campanella, è anch’egli “di stirpe giudaica, benché nato in una città greca”, Samo. Campanella, grande conoscitore delle Scritture, lo afferma sull’autorità di sant’Ambrogio”, per “la santità e la serietà” del santo stesso. Ma più per gli argomenti (nel par. “Ad Sextum” del cap. V dell’“Apologia per Galileo”): “Pitagora insegna il distacco dai cibi e l’unità di Dio, sebbene sostenga che gli angeli siano secondi dei, e tutto spiega con i numeri (come fece Mosè nella costruzione del tabernacolo, e Salomone quando sostiene che tutte le cose sono state create «in numero, peso e misura»), e emula Mosè nella costituzione della legge, tutte cose che erano usuali per gli Ebrei. Sembra piuttosto che sia nato a Samo da famiglia giudaica, così come gli Spartani nel «Libro dei Maccabei» vengono detti della stirpe di Abramo”.

Pentimento - “Non pentirsi di nulla è la saggezza suprema”, Kierkegaard dopo Spinoza può sostenere con più verità: pentirsi per deprecare, denunciare, cioè giudicare, la colpa degli altri, di fatto è non pentirsi, pentimento è cancellarsi, giusto la metafora della prigione.

Riso – “Si ride non per allegria”, dice il Kleist di Christa Wolf in “Nessun luogo. Da nessuna parte”. Può essere, c’è la risata diabolica. Ma non si può sapere se il diavolo non è felice.
In Christa Wolf è peraltro solo un preziosismo – il solito capovolgimento (la Germania ama “capovolgere”: Marx Hegel, Heidegger se stesso). Allo stesso Kleist Christa Wolf fa dire che “presto non si piangerà più per tristezza”. Finezze?

Per Hegel ride chi si ritiene superiore. Ma si ride pure per letizia e ingenuità - ridono spesso, senza motivo, le fanciulle. Ride di essere nato Gesù Bambino. Dice Aristotele che l’infante non ride prima dei quaranta giorni, quando è fuori pericolo, con la mamma, ma Gesù neonato nei quadri spesso ride. Anche van der Weyden, che lo figura rachitico, lo fa ridere, e Salomon Reinach sa perché: il riso dell’infante è “rituale”, una presa di possesso della vita. Plinio, che lo attesta di Zoroastro alla nascita, ne fa un segno di origini preternaturali. Gli stessi vecchi riderebbero volentieri, secondo Sophie de Grouchy: più spesso piangono, spiega la filosofa, ma “uno spettacolo doloroso è per loro pericoloso”, e tra gli acciacchi riderebbero volentieri di essere in vita. Il riso latita nei testi sacri, ma ha dunque funzione rituale: da rito a riso il passo è breve. Hegel dice comica pure la contraddizione, ma è un comico tragico, non si ride.

Il riso è datore di vita, spiega Frejdenborg: “Il riso si semanticizza come  nuovo splendore del sole, come la nascita solare”. E Calvino: “Solo il riso garantisce che il discorso è all’altezza della terribilità del vivere e segue una mutazione rivoluzionaria”, Calvino lo scrittore. “Ho proclamato santo il riso”, disse Nietzsche, che propose un “risario”, e sarebbe stato suo titolo di merito. Rabelais assicura che il riso fa bene alla tiroide. Ridevano i fenici, che al contrario dei sardi uccidevano i figli, e i traci quando qualcuno moriva, a qualsiasi età. Si ride in Ucraina ai fune-rali, come tra i neri in America, e in Cina in casa dei moribondi. Il rapporto è dunque stretto tra il riso e la morte – come tra l’amore e la morte, e la vita e la morte. In Lessing il riso accompagna la collera, un binomio da indagare: la collera è per i greci antichi cosa buona.

Storia - “Solo il bene è profondo”, dice Arendt dopo aver scoperto la banalità del male. Trascura san Paolo e “la forza del peccato”: la storia è anzitutto insensata.

Non si può rinunciare alla storia: la storia divenuta reale non ha più fine, l’ha capita pure Debord. Si va per accumulo, soverchiando i segni meno.

È una bagascia, rotta a tutto. Anche alla teodicea. La storia nei fogli della fortuna, quando il pappagallo li estraeva dal cesto, si componeva di tre “estasi” del tempo: il retaggio, il destino, la fortuna. Ora tutto è possibile. Pure decostruire la decostruzione, destabilizzare la destabilizzazione. Disorganizzare la disorganizzazione. Come operazione critica, certo, ricostitutiva. E faziosa: frantumare la frantumazione, dell’io, la società, il mondo. Ma per quale legge e quale ordine? È operazione reazionaria, su cui si misurano l’Occidente, il papa, Freud, l’imperialismo trionfante dei signori del denaro – altrimenti impensabile.

zeulig@antiit.eu

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