sabato 25 agosto 2012

Il giallo dell’Italia

Milano “in realtà è né più né meno che una versione italiana di Birmingham”. In Italia, nello Stato e nelle aziende, all’ufficio acquisti è “solo questione di chi paga, le ditte tedesche o quelle britanniche”, di chi paga per poter vendere. Scritto nel 1938, ma il mondo non muore. L’Asse è “uno degli esempi di politica di potenza più efficaci che si siano mai visti”: è “una catena per Mussolini, in cambio di nulla”. E ci siamo dimenticati che “dovettero abbandonare la nuova Enciclopedia italiana perché non c’erano filofascisti abbastanza i intelligenti per portarla a termine”. Quanta storia in un thriller.
Eric Ambler, Motivo d’allarme

Bugie e window dressing

Il governo non ha preso nessuna misura per l’economia, solo cosmesi o window dressing. Forse non ne può prendere. Ma la Rai, il,”Corriere della sera”, “la Repubblica”, “Il Messaggero”, “La Stampa” ne parlano da settimane trionfalmente per quattro-otto pagine ogni giorno. E ora che le non misure sono delineate si affannano a spiegare nei dettagli di che cosa non consistono. La digitalizzazione? La vendita dei beni artistici? La sanità privata? Il concorso per 12 mila insegnanti delle scuole medie? In aggiunta ai duecento, o trecentomila, vincitori di concorso in attesa di cattedra?
Vittorio Grilli dice che nel 2013 non ci sarà ripresa. I giornali gli fanno dire che la recessione finirà nel 2013. Che non è sbagliato, ma non è quello che il ministro intendeva. Passera, il ministro dello Sviluppo, non dice nulla pur amando parlare: non ha niente da dire. Elsa Fornero scopre il cuneo fiscale (il lavoro tassato troppo). Una cosa di cui si discute esattamente da quarant’anni, dal governicchio di centro-destra di Andreotti nel 1972. Ma i giornali di cui sopra ne parlano come di una grossa novità. Solo Giannelli, il vignettista del “Corriere della sera”, osa ironizzare sul ministro del Lavoro che scopre il cuneo fiscale. Forse non legge il suo giornale. Che nella pagina successiva recupera con un video lusinghiero di Elsa, in versione quasi glamour, molto pubblicitario.
Fornero scopre le troppe tasse sul lavoro quando almeno la metà del mercato è flessibilizzato. Da vent’anni. Con contributi sociali irrisori o nulli. Quello dei venti-trentenni.

venerdì 24 agosto 2012

Il golpe strisciante del 1992

Il golpe strisciante del 1992 fu anche manifesto, a cavallo del Ferragosto se ne poteva scrivere:
“Craxi redige l’ennesimo compitino in favore dell’unità delle sinistre, i comunisti rispondono ghignando, ghignano ora anche i repubblicani, e il raiume Dc può ridicolizzarlo. È vero che con i comunisti i socialisti hanno poco da lavorare in comune, ma allora perché rifare il compitino?
"Questo mentre i giudici di Milano non perseguono reati ma slombano il pentapartito. E per esso il suo pilastro, il Psi. In accordo e con le carte di Andreotti - il solo virtuoso, lui e i suoi, in questa Dc corrotta. E in collegamento col console americano a Milano, che non si cura degli affari ma della politica giudiziaria.
“All’altro capo del filo Craxi sta arroccato, nemmeno seduto accanto, ma disteso a tappetino, dietro «questa» Dc. Come se l’oppio l’avesse intossicato, inerte. Con la Dc peggiore del dopoguerra. Con Andreotti e Cossiga intenti a mandarlo alla forca. Non figurativamente. Sotto la protezione di Scalfaro, il più ricattabile di tutti. Con giudici di non camuffato neofascismo, Di Pietro, Cordova. Possibile che non avverta l’aria di fine regime? Che abbia sottovalutato gli Usa, i quali non perdonano? È un gioco al massacro, non più il solito ricatto, rovesciabile.
“Dei socialisti viene controllato tutto, dai telefoni alla corrispondenza, e di tutti quelli che hanno da fare con i socialisti. Agghiacciante la telefonata dell’impiegata di De Michelis che hanno pubblicato sull’“Espresso”: per arrivare a questo documento di prova contro De Michelis che non prova nulla cos’altro hanno spiato e manipolato? E l’ineffabile Cordova che produce un fax di Martelli per una raccomandazione – a favore di una tizia che si era già sistemata da alcuni mesi. Col Pci che inneggia al missino Cordova.
“Ma non dei socialisti si tratta, alla fine verranno in qualche modo prosciolti. Si tratta di dare la caccia a Craxi. Come da tempo facevano De Mita con Scalfari (cioè De Benedetti). Per un solo motivo: perché vuole un governo che governi. Ha mostrato che si può fare. E lo vorrebbe nella legge elettorale. Tanto poco per un golpe? Per questa Dc non c’è proporzione che tenga tra fini e mezzi, non c’è misura per il cinismo. Un governo che governi non è compatibile con gli interessi e le camarille”.

Il giallo della larva Superman

Una notte lunga una vita. Tra i miserabili. Che si è impazienti di portare alla fine. I suoi perdenti Goodis porta qui all’estremo – con l’eccezione di un tenente investigativo, Pertnoy, dall’occhio clinico. Tutti sempre immersi nell’alcol. In quartieri senza luce. Dove topi si aggirano grandi come gatti. Tra odi razziali e violenze senza limiti - progetti di violenze. A partire da quelle, specialmente brutali, della polizia. Attraverso cui, in una notte bestiale, la larva Whitey rivive la felicità, l’amore, la sofferenza, il nichilismo brillante anche dei poveri, e riesce ad approdare al giorno dopo.
David Goodis, Strada senza ritorno

giovedì 23 agosto 2012

Letture - 107

letterautore

Confessione – Il genere nasce con Rousseau. “Il primo che in maniera organica indagò l’intimità, e in certo senso la teorizzò fu Jean-Jacques Rousseau”, Hannah Arendt, “Vita Activa”. Al punto da meritarsi a lungo, “unico fra i grandi autori”, di essere “citato con il solo nome”.

Doppio - Jean Paul si sarebbe divertito un mucchio con Facebook, il mondo dei doppi, oggi avatar, partenogenetico a piacimento, senza danno per nessuno – non che si veda. Si può dirne lo scrittore, con due secoli di anticipo. Jean Paul non era ossessionato dal “doppio”, che non lo inquietava come invece Poe o Paul Auster. Era una delle pieghe “umoristiche” attraverso le quali penetrava nella vita (“c’è un umorismo che si accompagna al pathos”, De Quincey diceva di Jean Pauk). Specie le parole “doppie”, le parole composte, che lo divertivano per la capacità anagrammatica e combinatoria.

“Gattopardo” – Ma è il romanzo della fede, religiosa. Con disdegno delle cose terrene: uno sguardo dall'aldilà gettato in vita. Una professione di fede non bellicosa (trionfante), e tuttavia sempre dotata di superiore serenità.
“Il Gattopardo” comincia col rosario e finisce col santo vescovo a disagio tra le reliquie false. Nel mezzo non un solo accenno derisorio di Tomasi, che pure ne spende tanti, sui preti o la fede, ancorché in forme superstiziose. Anche la mania delle stelle (dei cugini Piccolo) Tomasi riconduce a ortodossia religiosa. Padre Pirrone, il prete che accompagna la narrazione, è persona degna in ogni circostanza.
Il “Gattopardo”, affogato nel “cambi tutto perché non cambi nulla”, è romanzo poliedrico, e questo della fede è un aspetto fra i principali – quanto lontana, la sua umanità, da quella legnosa di Sciascia, pure pensosa di buoni propositi. È il solo caso, si può dire, di romanzo religioso del Novecento. Per le pratiche di devozione, sempre misurate e rispettate, e per il senso cristiano della vita.

Stupidità – Nell’“Elogio della stupidità” Jean Paul inscena la stupidità stessa che, parlandosi da sola, tesse l’elogio della stupidità: il colmo.
Jean Paul la trova, quasi un contemporaneo, tra i teologi (oggi diremmo i moralisti), i filosofi, i poeti, gli scrittori, e i medici naturalmente, i cortigiani, i bellimbusti, e molte belle donne. L’“Elogio” di Jean Paul è uno specchio del moderno modo di essere di quelli che si chiameranno gli intellettuali, anteriore ma anche successivo a quelli di Baudelare e di Flaubert, dei tic nei quali si risolve spesso il nostro pensiero profondo. È un catalogo più che un libello: la critica va all’ipocrisia, la superficialità, lo snobismo, il carrierismo, l’arroganza, la sciatteria.

È tema arduo. Non si tratta infatti di far ridere con aneddoti piccanti o buffi su quello che non vorremmo essere (Bertoldo, Giufà, Andreuccio, Calandrino), ma di far emergere quello che siamo e non vorremmo essere. La stupidità è tuttavia molto frequentata in letteratura, i repertori ne traboccano. Ultimamente con Savinio, e con Umberto Eco, come tema generale e non per aforsimi. Nonché dallo storico Carlo Maria Cipolla, in “Allegro, ma non troppo” e altri scritti. Con sufficienza. Contestati, ma debolmente, da Fruttero e Lucentini, che ci hanno scritto sopra quasi un migliaio di pagine – ora riedite negli Oscar.
Moltissimi, nell’antichità sentenziosa e dopo, bollarono risata e stupidità insieme: Menandro, Isocrate e Catullo. I più la stupidità da sola: il “Siracide”, 21, 20, il “Libro dei Consigli” della “Bibbia” greca (poi chiamato anche “Ecclesiastico”), l’“Ecclesiaste” naturalmente, “Infinito è il numero degli stupidi” (ma l’“Ecclesiaste” di san Girolamo, l’originale e la versione dei Settanta direbbero altro: “Ciò che manca non si può contare”), Cicerone, non poteva mancare, il “Canzoniere eddico”, i proverbi popolari, e perfino Oscar Wilde: “Non c’è altro peccato che la stupidità”. Ma Wilde amava le battute: il suo “Marito ideale” professa infatti “una grande ammirazione per la stupidità”. Ci vuole poco del resto, basta arrabbiarsi. Come il giovane Baudelaire e il borghese insofferente Flaubert.
Sul fronte opposto Orazio. Nel quarto carme trova che “è piacevole, al momento opportuno, essere stupidi”. Il placido Cassiodoro consiglia: “La stupidità al momento opportuno è la più grande saggezza”. Alexander Pope, “Essay on Criticism”, pure ci spera: “Se la stupidità ci ha messi in questo casino, perché non ce ne tira fuori?” E papa Woytiła: “La stupidità è anch’essa un dono di Dio, ma non bisogna farne cattivo uso”.
A Pope si deve anche: “Il colto è contento di esplorare la natura; lo scemo è contento di non saperne di più”. Ma ne ha molte altre in canna, avendo celebrato la dea Dullness, che è molto Stupidità, nei vari libri della “Dunciad”, lo Scemenzario.

La stupidità è specialmente fruttuosa per coloro che l’humour rode. In particolare, da Rabelais a Longanesi, per il dato quantitativo. Bisogna ricordarsi, diceva Rabelais, che “al mondo ci sono molti più coglioni che uomini”. E che, aggiunge Longanesi, “due stupidi sono due stupidi, diecimila stupidi sono una forza storica”. La storia della democrazia, si può aggiungere, lo dimostra.

Si può anche individuare un’arte della stupidità. Nel senso di Cassiodoro oppure in senso inverso. Il Dottor Johnson notava di un tale che era troppo stupido per essere vero, “dev’essergli costato molta fatica, un tale eccesso di stupidità non esiste in natura”. E il superbamente intelligente von Hofmannstahl afferma: “La stupidità più pericolosa è un’acuta intelligenza”.

letterautore@antiit.eu

Calcio-boomerang degli avvocati-giudici

Molto sdegno nei giornali per le condanne in appello del tribunale del calcio - perfino i fiancheggiatori “Messaggero” e “Corriere dello Sport” non possono non meravigliarsene, fiancheggiatori di Abete & Petrucci: per le assoluzioni più che per le condanne, e per il modo come le condanne sono state decise e presentate. Ma il peggio non è stato detto.
Che lo sport è amministrato dal sottobosco politico. Che i tribunali sportivi sono di avvocati. Compreso il famigerato Piero Sandulli, che fa il professore a Teramo, ma di più fa l’avvocato e l’assessore di complemento, di Rutelli et al., e soprattutto è “nipote di”. Uno che non sta nella pelle per andare sui giornali per aver condannato la Juventus – “il potere”: gli avvocaticchi si vogliono eroi della resistenza. Che tutti questi “giudici” si sono coalizzati per scalzare il Procuratore Palazzi, per liberarne l’ambitissima poltrona. Che Camilli e il Grosseto sono stati salvati per obbedienza massonica. Che il Siena viene salvato perché i Mezzaroma sono della cricca romana. Che a Conte, togli e metti, danno sempre dieci mesi per fargli saltare tutta la Champions League. E soprattutto che Milan-Inter, il sistema di influenze che regge la Figc tramite il nulla che si chiama Abete, è infuriato.
Il sistema è infuriato contro “i cretini”, come vengono benevolmente chiamati Abete & Co.: 1) gli avvocati-giudici hanno creato un monumento alla Juventus, Conte o non Conte, 2) Artico e Sandulli hanno aperto un’autostrada a un ricorso costituzionale contro le loro sentenze goliardiche, in spregio a ogni garanzia giurisdizionale, 3) il padronaggio assoluto andrà ora compartito, nella dissoluzione del sistema romano Petrucci-Abete: 4) andrà già compartita la nomina dei successori di Palazzi e Abete.

Le autonomie locali per i ras locali

Si conferma la deviazione delle autonomie locali in favore degli interessi personali (delle carriere?) di sindaci e assessori. La Cgia di Mestre documenta un aumento del 114 per cento delle tasse locali nei quindi anni della devolution: Ici-Imu, addizionali, bolli, concessioni. In parallelo – la Cgia non lo documenta, ma è nei fatti – con un indebitamento mostruoso, e il ricorso ai derivati per camuffarlo.
È una catastrofe anche per il plebiscitarismo: gli eletti dal popolo, sindaci, governatori, presidenti di provincia, sono lì per sperperare e non per amministrare. Nel non detto, ma a tutti noto che ne fanno le spese ogni giorno, c’è in fatti anche il deterioramento dei servizi.
Più tasse, più debito e meno servizi: è il vero buco nero dell’Italia – lo spread (la mancanza di fiducia) ne è la conseguenza. In una democrazia più tasse, più debito e meno servizi non dovrebbero coesistere, l’elettore le censura. Ma gli eletti si comportano, senza sanzooni, da ras: la catastrofe della devolution e dell’elezione diretta degli amministratori è anche un indice che la consapevolezza democratica è limitata e forse inesistente.

Bin Laden era scritto trent’anni fa

Scritto nel 1981, prefigura lo sceicco della penisola arabica specialista in attentati di grande impatto. O Ambler era dotato di spirito profetico, o era un ottimo analista politico.
Quello che (ancora) non abbiamo sperimentato è il “ritorno della Germania”. Lo sceicco opera da una miniera abbandonata nelle Alpi austriache – l’Obersalzberg “nido d’aquila” di Hitler. Con reduci da Dien Bien Phu: nella sconfitta che segnò l’inizio della fine del colonialismo e dell’Europa, la Legione Straniera era imbottita di tedeschi.
Eric Ambler, Tempo scaduto

mercoledì 22 agosto 2012

Ombre - 143

“Dibbattito” (non) surreale nei giornali post comunisti su Togliatti. Sull’attualità di Togliatti. Con Vendola? Con Vendola no. Con Cavour. E con De Gasperi. Della realtà che supera l’immaginazione.

Dibattito anche a Milano, sulla Grande Brera. Su come tirare le infinite bellezze raccolte a Brera fuori dai rifiuti e dall’abbandono. Da quasi quarant’anni. Ora se ne riparla per un progetto di privatizzazione: gestione privata con la regia pubblica. Cioè con i soldi pubblici: 23 milioni stanziati dal Cipe. Che non sono molti ma in questa secca lo sono. Come guadagnare cioè con i soldi pubblici.

Profumo cacciato da Unicredit, Unicredit perde due terzi del suo valore all’aumento di capitale. Si dice per la crisi delle banche. Profumo recuperato da Monte dei Paschi, Mps guadagna il 50 per cento in una settimana. La crisi delle banche è finita? Ma non per Unicredit, sempre un terzo del suo valore di libro.

Chi era a destra passa a sinistra, e viceversa, è il solito gioco dei quattro cantoni, che racchiude l’Italia politica. Ma questa volta a praticarlo sono i magistrati, in lizza tra di loro. I ministri della Giustizia.

Violante, già pontefice del “populismo giudiziario”, ne fa ora una colpa a Teresi e Ingroia a Palermo. Mentre il suo protetto Caselli litiga con Vigna su chi è più politicizzato.
I giudici non danno un bello spettacolo. Ma non da ora – ancora non si sono eguagliati i vecchi tempi in cui Teresi e Cordova, giudici a Palmi, si accusavano vicendevolmente su “Repubblica” di mafia. Ora sembrano annaspare.

Milano spende il doppio per intercettazioni rispetto a Palermo, che pure, come si sa, intercetta molto. Servono a spiare le dodici – o sono ventidue? – ville di Berlusconi?
O la mafia è scomparsa a Palermo e ritorna a Milano, vecchia città di “bravi”?

“Dopo la Juventus volevo dimettermi”. Ma non l’ha fatto. L’allenatore del Napoli Mazzarri, famoso per le tattiche anti-Juventus, dare calcioni e buttarsi per terra, allunga la lista. Degli allenatori che, non riuscendo a vincere nulla, neanche l’anno scorso con quattro fuoriclasse, si attaccano alla Juventus. Zeman da sempre, che a Roma ha distrutto due squadroni, di entrambi i colori. Mancini quando non vinceva con una squadra dei migliori del mondo. Il problema è: ma i tifosi, sono fessi?

I due onorevoli antimafia che vanno in visita da Cinà e Provenzano per farli pentire, ma in realtà per fargli accusare Berlusconi, è ipotesi di Cicchitto. Dunque improbabile, essendo Cicchitto berlusconiano. Ma non può che essere vera – convertire Provenzano? a che?
Questo Cinà, accusatore di dell'Utri, non era già pentito?

Le intercettazioni di Taranto sono usate dai giornali per ridicolizzare la giudice Todisco e la Procura, che gliele forniscono. Ma la giudice non lo sa. La Procura invece è in vacanza. Dopo aver chiuso, a doppia mandata è il caso di dire, lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa.
Sono in effetti intercettazioni ridicole, quelle di Taranto. Di un Archinà che per mestiere, relazioni pubbliche, deve sempre apparire, vantarsi, signoreggiare.

Camilleri, che salta su tutti i cavalli, non poteva mancare la trattativa Stato-mafia, anzi Stato-Mafia. Come sempre corrivo. Arrivando a dire: “È molto verosimile che chi vent’anni fa trattò con Cosa nostra sia ancora al potere”. A novant’anni, se vent’anni fa doveva averne almeno settanta (non ci sono ministri e capi del governo più giovani)?
I giallisti non hanno testa per la realtà.

La “Goletta verde” (Legambiente), che dà le pagelle al mare, santifica la Toscana e mette in maglia nera la Calabria. Avendo fatto il mare in tre località della Toscana e in quattro della Calabria, l’inverso invece è successo di registrare: mari inquinati in Toscana e puliti in Calabria. È un errore di stampa? La “Goletta verde” è una nave politica? Gratis?

Il giallo di maniera

Nella prima pagina si coinvolgono Parigi, gli Usa, Amburgo, l’Inghilterra e l’Italia, il pubblico che conta. Il resto non conta, benché Wenders ne abbia tratto un film: come un trentenne semplice, leucemico agli ultimi mesi di vita, si fa assassino a pagamento, per lasciare qualcosa alla famiglia - Imbriani? sarebbe stato più succinto. Tutto prevedibile, tanto più in questa edizione, in cui la quarta di copertina lo spiega.
Patricia Highsmith, L’amico americano, Bompiani-Corriere della sera, pp. 242 € 6,90

martedì 21 agosto 2012

Spiegel-Bundesbank, i compari

“Der Spiegel” annunzia che la Bce metterà un tetto allo spread – come se se ne potesse mettere uno. La Bundesbank smentisce la Bce. Non lo “Spiegel”. La Bce non fiata, perché non si polemizza tra banche centrali. La banca centrale tedesca invece può polemizzare. Su una palla sollevata da un “grande giornale” amico. Un trucco da compari. Mandando i mercati in tilt, e aggravando lo spread per Italia, Spagna eccetera.
Non è un errore, né un eccesso casuale: quello tedesco è un gioco al massacro costante e mirato. Violento. Cinico. Scoperto: che la Germania conduca il gioco al massacro diventa fattore inappellabile per il mercato. Oggi con meno fortuna, ma in grado di produrre sempre guai alla “concorrenza”, a costo zero. Non a opera di un gruppo o una minoranza isolata: è la Germania che aggredisce l’Italia.
I commentatori corretti distinguono tra la cancelliera e il presidente della Bundesbank, suo pupillo. Che in un gioco della parti alternerebbero concessioni e rigidità per tenere buona l’opinione pubblica. Ma il gioco non è a somma zero per l’Italia. E in Germania il presidente della Bundesbank è sempre un politico che fa politica. Il presidente in carica, Weidmann, è uno che inizia la carriera all’ombra della cancelliera (i suoi predecessori erano politici a fine carriera).

La coca del confidente

Dieci anni fa – anche allora c’era un Nuovo Centro - si scoprì la cocaina a Roma, nell’anticamera del viceministro Micciché:
“È la “Gazzetta del Sud” che dà più spazio alla vicenda coca al Tesoro, in prima pagina e dentro, il giornale di Messina per la Calabria. Con stupore dei calabresi, che non sanno chi è Micciché. Ma la “Gazzetta” è democristiana di ferro, zoccolo duro del pervicace Nuovo Centro.
“La “Gazzetta” spiega anche – cioè lo fa capire nel suo linguaggio criptico – che il “collaboratore” non è Martello, il collaboratore del viceministro, ma lo stesso pusher Antinori – il “collaboratore” dei Carabinieri.
“Niente scandalo – gli scandali finiscono dopo due anni, dimenticati. Ma le “spiegazioni” sono sempre arrivate “a babbo morto”, a vicenda sepolta e dimenticata. Ora invece arrivano dopo due settimane: si vuole chiudere il caso. Micciché deve avere “patteggiato”, seppure informalmente (candidature sicure? appalti?). E questo è il meno. La domanda è: l’impudenza dei vecchi arnesi della politica, vecchi Dc, e dei Carabinieri, è senza limiti?”

ll giallo dei poveri

Un giallo della povertà. Della derelizione. Senza soluzione naturalmente. Famiglie, amori, passioni vi naufragano nell’alcol. Un tema ostico tenuto assieme col melodramma. Povero (senza mai musica). E appassionante.
David Goodis, C’è del marcio in Vernon Street

lunedì 20 agosto 2012

Secondi pensieri - 112

zeulig

Facebook – È l’epitome del vero-falso: cosa è falso, e come, per quanto sfuggente.
Suona falso di nome e di fatto, questo libro delle facce. Un palcoscenico per esibizioni sfrontate con velleità da circolo chiuso. La snobberia di massa: una serie d “gruppi” aperti-chiusi, che ne menano vanto, e anzi si esibiscono.
Doppiamente falso, in quanto il circolo è esclusivo per essere pubblico - pubblicitario. Senza contare che, come appare dalle vicissitudini di Facebook nel mercato, le biografie e le reti (amicizie) sarebbero per lo più false, quindi un social network falso al terzo grado. Sempre più Facebook-Fakebook, il mercato dei falsi.

È - sarà stato – il mondo degli avatar, come nei contemporanei film di successo. Un mondo dei “doppi”, alla Jean Paul. Soggettivi e non imposti, come un’ubriacatura.

Ironia – Pazienza e ironia Lenin voleva virtù del rivoluzionario. La rivoluzione si vuole dunque fredda.

Niente regge all’ironia, per prima l’ironia.
Anche per la nostalgia di ritrovarsi personalmente dietro la corazza dell’ironia.

L’ironia dissecca, è vero. Sottolineata è censoria, o ridicola.

L’ironia non è innocua - anche se, insegna Kant, noioso è solo lo stupido. Montesquieu, condannando la tratta degli schiavi con l’ironia, al libro XV, capitolo 5, dello “Spirito delle leggi”, la prolungò di un secolo. Verso il 1770 i bianchi discussero in Giamaica di lasciare liberi i mulatti, se di padre inglese. Uno che era contrario lesse Montesquieu e gli altri si convinsero: si convinsero che la schiavitù era necessaria.

Religione – Nolte, lo studioso del fascismo, non lo dice ma lo intende, se si legge correttamente il suo faticoso tedesco: senza religiosità nulla societas. È quanto diceva Quinet, e a suo modo Robespierre. E prima ancora “Belle” Van Zuylen, sposata in Svizzera de Charrière, beccando Diderot. All’interlocutore ateo, che si stupisce “come una donna con un po’ d’istruzione e d’esperienza di mondo osi ancora parlare dei dieci comandamenti”, arguendo che “senza la religione la morale non verrebbe meno”, la rossa olandese, lo spirito più libero del Settecento, risponde: “Per verificarlo ci vorrebbero tre o quattro generazioni e un intero popolo di atei. Diderot, se è un gentiluomo, lo deve forse a una religione che, in buona fede, lui ha sostenuto fosse falsa”. Si capisce la deriva chiesastica del comunismo bolscevico.

La libertà moderna è all’origine religiosa. Il pluralismo, recente categoria politica di Schmitt, è opera del cristianesimo: chiesa e stato, papa e imperatore, sinodo e dieta, nobiltà e arti. È cristiana la nozione di società universale o città di Dio. La chiesa si porta a esempio di organismo autoritario chiuso. Ma non è possibile, mai regime autoritario è durato tanto. Quindi, o la chiesa ha l’occhio benevolo di Dio, oppure è un ente democratico. Che è più vero. Perfino D’Annunzio l’ha intuito, in epoca positivista, e detto conciso: “Il dogma dell’Ottantanove, che al popolo appartenga la sovranità degli Stati, era già insegnato, accettato, praticato, nelle comunità cristiane. Era anzi specialmente propugnato dai gesuiti”.

La politica come mezzo a un fine più alto è del cristianesimo romano, che l’ha realizzata con qualche intoppo, ma ne ha creato gli statuti, che oggi si chiamano democrazia. A lungo il messaggio cristiano fu antipolitico, il perdono e l’amore del prossimo figurando estranei alla società. Ma a partire da sant’Agostino e per dieci secoli almeno l’unico luogo di cittadinanza in Europa fu la chiesa. È creazione della chiesa la sovranità popolare, e lo è lo Stato, sia esso un bene o un male. Con una distinzione fra pubblico e privato che ha prodotto danni gravi, ma minori di quelli prodotti dal suo rovesciamento: le necessità della vita essendo la sfera privata e la religione quella pubblica. La campagna rinnovava la classe sacerdotale o dirigente, fino ai gradi alti, la nobiltà feudale riservandosi l’esercito e la ministerialità. La Riforma non scaturì da uno spirito più moderno, ma era in buona parte una reazione del fondamentalismo cristiano, contro l’unità di natura e grazia, o unità del mondo.

Storia – Si ripete. Non noiosa ma nota, è una lenta decadenza. O veloce, agitata. Ma continua, dopo il tempo iniziale che ne fu il compimento. È la storia della caduta: il tentativo di tornare alle origini saltando le frustrazioni, opera principalmente degli stessi uomini che la storia fanno. Nietzsche, che è storico della storia, cambia spesso idea, nelle “Inattuali” e non solo. Muore con Dio pure il passato, se è un mondo rispetto al quale l’uomo non può nulla. Aveva esordito con “la storia appartiene all’uomo attivo”. In tre modi: “In quanto è attivo e ha aspirazioni, in quanto preserva e venera, in quanto soffre e ha bisogno di liberazione”. Ma presto, e anzi al contempo, pensa e dice altro. Critica la storia esemplare: “Il rischio della storia monumentale è di essere asservita a grandi impulsi”. E critica la storia: “La storia, in quanto sia al servizio della vita, è al servizio di una forza non storica. Con un pizzico in eccesso di storia la vita si frantuma e degenera, e alla fine la storia stessa si perde”.

Cos’è la storia allora, e la filosofia? Per Nietzsche è genealogia, cioè sperma e sangue, quindi acqua. Per l’uomo è l’anagrafe, che può dire bugie, per esempio se certifica l’“ariano”. Oppure, dice, è biografia – come la sua, che non porta a nessun posto? Nietzsche anche nelle escursioni correva, e finiva per ansimare. Il suo interprete Derrida spiega che le origini sono da intendersi nel “dopo”, anzi nel “postumo”: si è quello che si diventa. Acqua, cioè. Insomma, dipende dallo stadio postumo. “Il genealogista ha bisogno della storia per esorcizzare la chimera delle origini, come il buon filosofo ha bisogno del medico per esorcizzare l’ombra dell’anima”, dirà Foucault. E non c’è ritorno, non si può riportare il tempo indietro, neanche di un attimo, la storia è attaccaticcia.
Camus invece vuole “i pensieri imperniati sulla storia quelli che più disprezzano il tempo, i suoi effetti, i suoi edifici, le sue civiltà: la loro storia è ciò che distrugge”. Ermetico ma sensato, oggi molto. Se non che senza coordinate, il Nord e il Sud, un passato e un futuro, è il vuoto. Il presente, non diacronico, non sincronico, è il vuoto. Il giornalismo, che narra il presente, si eserciterà sul vuoto, se il presente è un rinvio. Il tempo prevarrà sulla storia, non può non essere, ma a volte bisogna darsi una mossa. “La storia deve essa stessa risolvere il problema della storia”, Nietzsche detta alla fine.
E dunque? Il culto dionisiaco per cui Nietzsche è famoso era popolare all’epoca nel ceto medio, negozianti, bancari, statali. Era domestico, pacificante. È che la storia evapora, e con essa le persone: “Tutto ciò che è vivo ha bisogno di avere intorno una misteriosa sfera vaporosa. Co-me un astro ha bisogno dell’atmosfera, senza la quale s’irrigidisce e inaridisce. Ma oggi si odia l’atmosfera, perché si onora la storia più della vita”. Sbiadisce. “Il senso storico rende passivi e retrospettivi i suoi servi; e il malato di febbre storica diventa attivo quasi solo per smemoratezza momentanea”. E si diverte. “Fare storia è divenuto un impulso al lusso e al consumo”, uno svago per inetti e oziosi, come i quadri al museo.

zeulig@antiit.eu

Le rivoluzioni dei servizi segreti

Anche in Siria, come già in Tunisia, in Egitto e in Libia, escono dall’ombra i servizi segreti “occidentali”, più spesso inglesi e francesi. E sono un segnale preciso: i servizi escono dall’ombra quando, a meno di un cambiamento di regime, gli Usa stanno per ordinare un’altra guerra umanitaria o di liberazione. Al servizio delle piazze, che in genere esibiscono belle giovani dotte e giovani pensosi. Una gioventù che ci fa fremere, per la democrazia e la libertà, al coperto della quale inevitabilmente avanzano forze oscure. Non dichiarate cioè. Anche se fanno guerre di mesi e, ora in Siria, di anni. Ma che poi si rivelano sunnite: forze dell’islamismo cosiddetto moderato, o filo-occidentale, cioè integrato al mercato mondiale
Lo schema è noto, ed è stato anche studiato: si ripete uguale dal 1978, dalle piazze di Teheran. Dietro la cui bella gioventù marciavano i khomeinisti. La sola differenza è che in Iran l’“Occidente” tifava sciita, mentre poi ha puntato sui sunniti – la tenaglia turco-saudita. Per gli affari, per che altro? Per gli affari sostenendo guerre.

La spy story sorge con l’epitaffio

È il 1938, ci sono negli usa due partiti, il Repubblicano e il Democratico, ma sono tutt’e due di destra. Solamente, i repubblicani sono più a destra dei Democratici. Ma la vicenda si svolge nella Costa Azzurra, tra spie italiane (un certo Maletti, già allora – nomen omen?) e francesi. Prima di Le Carré, una delle prime e migliori spy story. 
Eric Ambler, Epitaffio per una spia

Zagrebelsky vs. Scalfari

Era inimmaginabile per un personaggetto del genere confrontarsi con Scalfari e sfidare Napolitano, raccogliendogli firme contro. È la sfida del giorno, e lui sicuramente si diverte. Lui Gustavo Zagrebelsky. Che si accredita liberale, e continuatore di Bobbio. Mentre è un democristiano. Che si illustrò alla Corte Costituzionale per avere consacrato, con due sentenze non una sola, la natura democristiana delle fondazioni ex bancarie, il polmone del sottogoverno. È solo per questo che Zagrebelsky promuove appelli a favore delle intercettazioni: per far fuori, con Napolitano, quel che resta del Pci nel Pd.
È un “dibbattito” lezioso, quello del Professore con l’Eminente Giornalista – entrambi ultimamente tournés filosofi. Ma porta a illudersi i vecchi democristiani, che non hanno cessato di fare danni. I mestatori della politica sono portati a illudersi dal “Corriere della sera” e da “Repubblica” - e questo è il lato triste della vicenda: che l’opinione laica, cioè critica, sia asservita ai resti Dc, cioè all’intrigo. Mentre i loro voti residui, quelli per i quali stanno ancora a galla, sono ex Pci. Ma Zagrebelsky questo lo sa. Da vero democristiano non vuole vincere, vuole poter nuocere. Bobbio? Scalfari?

domenica 19 agosto 2012

Pizza a Taranto, il progetto della Confindustria

“Faremo di Taranto una smart city”. Alessandro Laterza, l’editore, vice-presidente di Confindustria, delegato per il Mezzogiorno, mezzo tarantino, ha un progetto per “dopo l’acciaio”: fare “leva su tutte le risorse che Taranto è in grado di dispiegare, dalle sue intelligenze agli innumerevoli presidi culturali – il Museo archeologico è uno dei più ricchi e apprezzati del mondo -, dal porto all’università”. Una università a Taranto, dunque, invece della più grande acciaieria d’Europa, e il Museo. La memoria corre ba Bagnoli, che doveva diventare, da acciaieria, un fulcro tecnologico-ecologico-museale che avrebbe fatto dei Campi Flegrei un paradiso terrestre.
Era un quarto di secolo fa, e Bagnoli è un cumulo di macerie. Mentre i Campi Flegrei, che erano un paradiso, sono diventati un’appendice della Napoli degradata e violenta. Ma non per caso. L’apprezzato economista Mariano D’Antonio si era ribellato subito a questo “progetto” (al punto da trasferirsi a Roma per “non vedere lo scempio”): “La deindustrializzazione è una peste. La pizza non sostituisce un bacino industriale da quaranta-cinquantamila occupati. Fare il cameriere non è un progetto di sviluppo”.

Il complotto di Ingroia l’aveva scritto Ambler

“Il processo Deltchev” di Eric Ambler, 1951, è già tutto il complotto Ciancimino del 1992-93. Quarant’anni prima dunque del “papello” Stato-mafia – sessanta prima del gudice Ingroia, esecutore testamentario.
C’è anche prefigurato Berlusconi, con “grosse somme di denaro depositate all’estero” – manca Dell’Utri. E la ricetta: “Le imputazioni sono tante che di qualcosa dev’essere colpevole”. In un paese balcanico che sembra l’Italia, “dove i delitti politici sono all’ordine del giorno”. Col Governo Provvisorio. E i golpe anti-golpe che la Fratellanza si organizza. Resta solo da scoprire, in Italia, la Fratellanza che genera il Governo Provvisorio.
Ambler, inglese, aveva un’ottima conoscenza dell’Italia. Certo, non poteva prevedere il futuro. Ma lo Stato mafioso in effetti sa molto di letteratura.

De Gasperi neo guelfo?

Rincuorandosi nel trionfo ferragostano di Rimini, il progetto neo guelfo, per una nuova Democrazia Cristiana, si appella a De Gasperi. All’uomo che rifuggiva la “sua” Democrazia Cristiana. È un’incongruenza ma con un senso: ciò che si vuole costituire è una forza che “domini” la politica (destra, sinistra, laici, non allineati), come De Gasperi riuscì a dominare la Dc e gli altri partiti dei suoi governi.
La rottura del bipolarismo è data per scontata. Napolitano forse non lo sa, che vuole subito un’altra legge elettorale, che non può che essere l’abbandono del bipolarismo. Il ritorno al proporzionale è il grimaldello. Camuffato da “soluzione tedesca” o “spagnola” – una coloratura opportunistica, Germania e Spagna hanno regimi parlamentari funzionanti, ma sono altri mondi. L’esito dovrebbe essere la centralità democristiana. Coi due forni, se necessario, e la lottizzazione. Per l’obliterazione della funzione di governo, a favore dei capipartito, le correnti, e i gruppi temporanei d’interesse locale.

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (140)

Giuseppe Leuzzi

Pippo Inzaghi, che si professa milanista e milanese, preferì fare la riserva nel Parma piuttosto che andare in prestito al Napoli titolare. Rischiando la carriera – era agli inizi. Robby Baggio, giubilato dall’Inter, ha rifiutato più soldi dalla Reggina per meno soldi dal Brescia. Eroi del nordismo? No, entrambi hanno avuto molti tifosi al Sud, probabilmente più che al Nord: La Juventus e la Nazionale, sulle quali l’immagine dei due calciatori si è costruita, sono fenomeni prevalentemente meridionali.
Il Nord è razzista, il Sud è, malgrado tutto, non violento.

“Parchi” di pale eoliche e “campi” di fotovoltaico popolano il paesaggio del Sud. Imprese privatissime, che paghiamo noi, gli altri. Anche l’elettricità, ammesso che questi impianti ne producano, gliela paghiamo noi, comprandogliela a carissimo prezzo. Ervono allo sviluppo del Sud, alla protezione dell’ambiente, all’anidride carbonica, eccetera. Ma gli affaristi vengono dal Nord. Anche dalla Germania.

Ogni paio d’anni parte da Locri una delegazione per Berlino, dove tenta inascoltata di lasciare una richiesta di restituzione della Persefone. Una statua gigante, di grande interesse anche per la simbologia, la mitologia, la linguistica, che è l’attrazione del Pergamon, il museo antiquario della capitale tedesca.
La Persefone fu tagliata a pezzi e trafugata a Locri nel 1911 da trafficanti tedeschi. Che poi la vendettero allo Stato Prussiano a caro prezzo. Legalmente, si dice, allora si potevano “esportare” i beni culturali, seppure non a pezzi e di nascosto. Ma in contanti: il Pergamon non ha alcuna pezza giustificativa dell’acquisto.

Il nuovo meridionalismo
La ricerca storica torna alle radici, dopo aver latitato per un cinquantennio nella sociologia politica, quando non nelle grosse deformazioni dell’opportunità polemica. Non molto ma c’è un inizio. Il centocinquantenario ne è stato l’occasione, non essendosi disperso in celebrazioni (la penuria di mezzi può essere benefica), e cadendo in pieno lombardismo, astioso, ringhioso. Oggi anche la storiografia italiana “rifà” l’unità, anche se con minore lucidità di quella angloamericana, la analizza, la interpreta e, soprattutto, la legge per come è avvenuta, non per come è stata confezionata – che sembra inverosimile, ma l’unità è stata ed è confezionata. Dopo centocinquant’anni, cioè, di patriottismo incondizionato.
C’è un nuovo meridionalismo. Ed è quello, infine, della riflessione. Della ricerca, anche. Più che della polemica e delle sovvenzioni, che sempre sono miserabili, non possono che esserlo. Un meridionalismo malgré soi, le sudditanze politiche e l’ignavia accademica sono forti, e tuttavia inevitabile. La storia dello sviluppo mostra che il progresso è nell’uguaglianza. Per decenni, per quasi un secolo, le teorie dello sviluppo economico e sociale hanno pencolato su soluzioni tutte sterili: gli aiuti, l’assistenza tecnica, la formazione, i capitali, l’investimento primario (acciaio, energia, chimica) tutti peraltro nell’ottica, seppure inconscia, del balzo in avanti o della scociatoia. Mentre bastava poco per liberare i quattro-cinque miliardi di esseri umani dell’Asia, dell’America Latina, del Medio Oriente e ora anche dell’Africa, come poi si è fatto un quarto di secolo fa con la globalizzazione: consentire loro di lavorare. Far apparire, anche, il lavoro desiderabile, l’applicazione.

“Sud”
La “creazione del Sud” si può dire esempio massimo della “prevalenza del discorso” o della “narrazione”. A un certo punto siamo stati espulsi dalla storia. A conclusione dell’illuminismo che ci aveva visti – Napoli e la Sicilia – protagonisti. Poveri, sporchi e cattivi, arretrati, sanfedisti, assolutisti, irrecuperabili. Non solo il Sud ma tutta l’Italia. Che nella sua grande parte, non solo la Toscana e Milano ma anche Napoli e la Sicilia, era “più avanti” della Baviera o del Galles. È la stessa epoca in cui si afferma la scuola storica di Gottinga, creata dalla monarchia anglo-tedesca per inventare e affermare gli “ariani”, o la supremazia del Nord. Una “narrazione” tanto assurda (inventata, pretestuosa, incoerente) quanto possente, che ha dominato la storiografia e la storia fino all’Olocausto, e ancora serpeggia sotto la crosta. Con ali marcianti nella Francia dei Lumi e nella Grande Vienna dell’empiriocriticismo.
È una coincidenza? È una causa? Sarebbe dare ragione ai praticanti della storia come complotto. Che “non esiste”. Ma complotti nella storia se ne fanno. La compattezza con cui gli indirizzi della scuola di Gottinga, del tutto arbitrari, si sono affermati è imperversano, oggi nel senso comune se non più nella scienza storica, è solo stupefacente.

L’odio-di-sé
Un assessore regionale siciliano alla Cultura, assessore pro tempore, per un paio di mesi, ipotizza di coprire con un tetto i teatri antichi. Contro le intemperie, eccetera. La solita proposta di un assessore che vuole uscire sui giornali. I suoi avversari politici ne fanno un caso. Allertano il,”Corriere della sera”, spiegano all’inevitabile Stella tutte le debolezze dell’assessore, politiche e non, e ottengono una pagina contro questa Sicilia pazza. L’ennesima, sprezzante.

Mafia e antimafia
Si dice l’omertà, l’acquiescenza, l’istinto, tutto ciò che demoralizza il Sud. Non si dice perché i Carabinieri non arrestano i mafiosi, o i giudici. Ingroia, Teresi, e l’ignaro Messineo (capo della Procura!), che in anni non hanno arrestato un mafioso, uno solo. A Palermo. Mentre ci danno lezioni di storia, di morale, di politica, di diritto, e di antimafia. Non c’è più la Mafia a Palermo, o c’è solo lo Stato? Mafioso. E i giudici allegri arringatori del popolo di che Stato sono?

La mafia non si persegue se non su disegno politico. Mentre è offesa quotidiana. Di giovani perlopiù. Violenti, paurosamente stupidi, grassatori anche. Quello che vi chiede duecento euro in prestito perché ha dimenticato il portafogli a casa, se vuole aprire con voi un’ostilità di cui voi ancora non sapete. I carabinieri, che sanno, tutto, perché non li arrestano subito invece che a distanza di anni, dopo miriadi di violenze, in quelle operazioni dai nomi fastosi che servono solo alle legioni di avvocati famelici in agguato? Si intercetta tutto ma non il delinquente che chiede il pizzo al commerciante, all’imprenditore, al funzionario. Che spara, incendia, mette bombe.

Ostica partita Ingroia-Ostellino sul “Corriere della sera” giovedì 9 agosto. A colpi di ragione di Stato, che l’uno oppone all’altra, senza che si capisca nulla. La contesa giunge all’acme quando Ingroia rimprovera Ostellino, l’ultimo liberale allo zoo, di ignorare “secoli di elaborazione del pensiero liberale da Locke a Tocqueville”. Un “raggiramento” sublime, proprio palermitano, anzi ingroiano. Da sovvertitore della sovversione – in altra circostanza si direbbe da mestatore.

leuzzi@antiit.eu