Cerca nel blog

sabato 29 settembre 2012

Secondi pensieri - 117

zeulig

Dio – Se è padre, lo si penserebbe compassionevole e benevolente. Talvolta triste e preoccupato, ma di proposito attivo, rincuorante. Invece è visto come una presenza malevola, vendicativa, odiosa. Al meglio assente. È l’effetto della secolarizzazione, che non abolisce Dio ma lo imbruttisce.
L’uomo secolare è superbo. Considerato che anche la secolarizzazione rientra nell’ordine della creazione, che pensarne? È il problema del male, se anch’esso è nell’ordine della creazione – il diavolo.

Guerra – Primeggia la concezione della banalità del male: della guerra “tecnica” e quasi autogestita nel mondo delle masse. Con la responsabilità diluita, al limite dell’inconsistenza. Che non può essere, la guerra è sempre l’effetto di un piano. E la responsabilità in guerra è oggettiva prima che soggettiva – del singolo sanguinario.
La solitudine del fante c’è sempre stata, anche nelle guerre a piedi, in piccola formazione. E la sua incapacità di “concepire” il grande piano della guerra, giusto il piccolo spazio nel quale è rinchiuso. Non è questa la novità: la novità è la distruzione di massa. Che esige una grande organizzazione, la quale si pianifica per tempo.

Male – Non origina nei vizi, non più, è noto, il Decalogo è superato. Vive dell’accantonamento dell’umanesimo (umanità) – o dell’unpredictability, diceva Hannah Arendt, della spontaneità. Vive della concezione dell’uomo onnipotente, a una sola dimensione, sia pure ragionevole – della ragione a basso voltaggio del perento scientismo. E della confusione: chi contesta quest’uomo (Heidegger) ne dà la colpa a Platone, che invece non c’entra. O a Nietzsche, che c’entra ancora meno.
La filosofia non c’entra – è stata messa da parte con l’unpredictability. Il nostro è il mondo come è, tal quale, che si lusinga di espungere il male come il bene. Lasciando il male senza barriere, né fisiche né metafisiche.

Storia - Forse non c’è storia ma una serie di istanti eterni, come Yourcenar vuole. Anche se la storia non si cancella. Max Weber, Croce, Ortega y Gasset, Arendt, Camus, Sartre, Cioran, Trockij, Gramsci, Weil soffrono la separazione tra morale e storia, Marx e Popper no. Ma si può dire merda alla politica. Il sogno è questo, liberarsi dei padroni, per quanto affettuosi, e dei collari, benché pregiati. Nell’antichità la morale privata era inseparabile dalla morale pubblica, da Omero a Marco Aurelio. L’etica era una, e si legava alla metafisica, ossia alla conoscenza e alla concezione del mondo. Cristo e la Chiesa hanno scisso le due esperienze. Si può avere voglia di tornare indietro e negare la storia, o la chiesa, erigere paletti, e altari alla dea ragione, dirsi società di uomini integri illuminati, ruminare il latinorum, rimpiangere il buon tempo antico quando gli uomini erano d’un pezzo. E può anche essere che storica sia pure la metafisica.

È un sapere e non una scienza, ha ragione l’insopportabile Schopenhauer, analizza e comprende solo il singolo, e mai conosce il singolo mediante il generale. Deve strisciare sul suolo dell’esperienza, mentre la scienza volteggia su di essa. La storia parla dell’individuo, e di ciò che è solo una volta, poi non più. Sa tutto quindi solo imperfettamente e a metà. Ecco in che consiste il vantato pragmatismo della storia: ci illude che in ogni momento avviene qualche cosa, direbbe Schopenhauer - lui sa cos’è illusione? Ma dice anche: “Noi conosciamo un’unica scienza, la scienza della storia. La storia può essere considerata da due lati, storia della natura e scienza degli uomini. Dovremo soffermarci sulla scienza degli uomini perché l’ideologia è o una concezione falsata di questa storia, oppure un’astrazione completa da essa!”.

Viaggiare – Si diceva fosse la ricerca (il pellegrinaggio), la scoperta. Della vita se non della verità. Il vagabondaggio è stato imposto a lungo in Europa a chi voleva imparare un mestiere, e agli studenti. È un problema ora che si viaggia per piacere: se non è meglio in surplace, stando seduti. O la fatica fa parte del piacere?

Si può dirlo pulsione iscritta nel codice genetico dell’umanità: la dromomania espressione della drapetomania, la compulsione a viaggiare come impulso ad allontanarsi dalle cose, a definirsi in negativo, in una sorta di tebaide mobile. Ma viaggiare stanca. Pascal pensava che l’uomo deve i suoi problemi al fatto di non saper stare in una stanza. Lo pensa pure san Giovanni Damasceno: i viaggiatori hanno la stessa vita triste di coloro che non conoscono la tranquillità.

Il viaggio è la giovinezza del mondo, è la libertà. La libertà è il moto. Molto viaggiano per gli uomini i sogni, la poesia, i casi della vita, viaggiano l’acqua, il vento, la luce, con il giorno, la notte e le stagioni, che misurano il tempo. Viaggia inflessibile il tempo - se non segna il passo, pure lui, il pendolo ne ha tutta l’aria: ma viaggia per esso la memoria, o l’anticipazione, il desiderio, la paura, il caso. Il viaggio si fa con la mente più che col corpo, in questo Aldous Huxley ci azzecca. È come leggere, e i paesaggi cambiano, vaghi e precisi.
Volendo fare testamento dopo una vita di viaggi nulla sarebbe da scriversi, in viaggio si accumulano emozioni, non cose. Ulisse si fa legare e turare le orecchie quando, nella navigazione, s’imbatte nella realtà. Il piano vero di viaggio si fa alla fine e non all’inizio, il vero viaggiatore di Budda non ha mappe. È questo il modo di viaggiare originale, se è vero che sempre il fascino dell’ignoto ha governato l’uomo. Sempre si va verso una meta, seppure per sport o passatempo, e la meta si sposta in continuazione. Ma metafisicamente è l’origine, l’inizio di qualcosa, diceva Hölderlin.

zeulig@ntiit.eu

Il “racconto” rosso di Hammett

È il libro, pubblicato nel 1979 da un editore affidabile, Lawrence Ferlinghetti e la sua City Lights Books, sul passato di Hammett. Che ne può chiarire anche l’invincibile alcolismo di quando si mise con Lilian Hellmann e diventò comunista. Ma che non si traduce.
La “guida” porta i devoti su per le colline nebbiose di Sam Spade, il “Continental Op”. I luoghi dove Hammett ha vissuto a San Francisco. I vicoli che l’Op frequentava. C’è di che. Ma c’è anche il passato di Hammett all’agenzia Pinkerton, a partire dai ventun anni nel 1915. La Pinkerton si occupava di delitti ma soprattutto ne produceva: era un’agenzia antisciopero più che investigativa. E come tale ammazzava, anche, i sindacalisti. I maggiori acquirenti di mitra Thomson, il kalashnikov dell’epoca, erano le agenzie come la Pinkerton, più che i gangster. Un’attività avviata a fine Ottocento, che continuerà fino alla seconda guerra mondiale.
Il primo eccidio la Pinkerton commise il 6 luglio 1892, nelle acciaierie di Carnegie. Che fu rappresentato nel duro scontro da Henry Clay Frick, suo socio e vice, un altro all’origine di una fortuna che poi impiegò nelle collezioni d’arte - padre o nonno della Grace Flick che fu la consorte di Marguerite Yourcenar. Carnegie dieci anni dopo vendette tutto a John Pierpon Morgan, per una somma colossale, che impiegò nel resto dei suoi anni a fondare biblioteche pubbliche per i luoghi più abbandonati e le persone meno colte in America, Europa, Australia. I ricchi si salvano, i Pinkerton no.
“Poisonville”, il luogo del terribile “Raccolto rosso”, è Butte, Montana. Dove l’1 agosto 1917 la Pinkerton domò uno sciopero alle miniere della Anaconda, uccidendo il sindacalista Frank Little. Hammett era con loro – la vicenda è stata ripresa successivamente dal biografo di Hammett, Layman, qui è più caratterizzata. A Lilian Hellmann, con la quale non voleva mai parlare della Pinkerton, Hammett avrebbe confidato che gli erano stati promessi cinquemila dollari se avesse uccido Little, e che lui si era rifiutato. Una cifra enorme – un sindacalista non valeva quella cifra per la Pinkerton. Ma Little non fu ucciso da un killer. Fu preso da sette uomini della Pinkerton, torturato selvaggiamente a lungo, e infine impiccato.
Don Herron, The Dashiell Hammett Tour

venerdì 28 settembre 2012

A Sud del Sud - l’Italia vista da sotto (145)

Giuseppe Leuzzi

Lo Sgargiato - l’emigrato è straniero
Ludwigsburg è un’appartata città, non fa centomila abitanti, al centro della Germania sopra Stoccarda. Oggi ospita l’inquietante Zentrale Stelle der Landesjustizverwaltungen, l’archivio della denazificazione – cioè dei nazisti. Ma si raccoglie senza clamori attorno al palazzo rococò dell’architetto lombardo Retti e all’annesso parco, coi daini e gli scoiattoli. Una tranquilla corte württemberghiana, il musicista Jommelli ci visse contento quindici anni.
In centro la pizzeria è gestita da un ragazzo italiano. Che col fratello in cucina si passano le ordinazioni in dialetto. La sorpresa è forte, è il dialetto dell’infanzia. La curiosità irrefrenabile, con la proposta di un nome a caso per non fargli violenza: Scido? Lui conferma. Ma non si sorprende. Veniamo da due posti distanti quattro chilometri. Ma lui non sa di noi, né di nient’altro. Né gli interessa. Non c’è mai stato, solo questo aggiunge per chiudere l’argomento. È nato a Torino, è suo padre che è emigrato da Scido. Loro da Torino, lui, il fratello e la madre, hanno deciso di tentare miglior fortuna.
Uscendo, è d’obbligo dopo il riconoscimento, seppure forzato, salutare la vecchia madre, che si intravede  seduta in un angolo. In cucina, accanto alla porta: una sorta di guardiana. Una donna non vecchia in realtà, solo segnata dalle afflizioni. Non dai lutti, non è vestita di nero. E non si contiene, non vede perché. Non inveisce contro la sfortuna, o la vita dura, ma contro il direttore della banca. Un disgraziato e un porco. E anche un delinquente. Che ha fatto firmare le carte si suoi figli e poi s’è preso il locale, facendoli lavorare per lui. Non per la banca, per lui personalmente. “È uno succhiasangue”, uno strozzino: “Non solo la pizzeria, s’è preso tutto, la casa, i mobili, la macchina. E ci ha messo in mezzo un delinquente”.
Il conto si paga a un connazionale, sembra siciliano da come parla tedesco, che gira con una scarsella sulla pancia. Agitandola per far tintinnare le monete. Ha la bocca semiaperta, con labbroni penduli, e un occhio anch’esso pendulo, per un ectropion che ne rovescia la palpebra inferiore. Lo “sgargiato”, dice la madre con eloquio originario.  

Milano
“È impressionabile, suggestionabile, e ha la fantasia audace e creatrice dei apesi mercantili”, così Corrado Alvaro vedeva Milano su “La Stampa” alla vigilia della guerra, il 4 maggio 1939 (ora in “Scritti dispersi”). E di questa adattabilità faceva un merito all’architettura della città: “Si dice comunemente che Milano sia brutta…. Hanno finito col dirlo gli stessi milanesi” – Gadda per esempio, è uno dei suoi motivi di ripudio. Mentre è verso il contrario, scriveva Alvaro: “Il brutto irrimediabile è l’ozioso….Nel caso di Milano, non c’è quasi parte di essa che non ricordi un tempo preciso, un atteggiamento e un costume”.
Per poi concludere: “È curioso come una città che si presta meravigliosamente a una sistemazione urbanistica, che ne ha i mezzi e l’audacia, sia tra le peggio sistemate d’Italia”. Con la distruzione sistematica dei giardini, publlici e privati, eccetera.

È famosa per la profanazione dei cadaveri Di Evita, fra i tanti, al Cimitero Maggiore, del corpo del Duce, e da ultimo di quello di Mike Bongiorno.

Poiché il governo austriaco aveva proibito a metà degli anni 1850 l’emigrazione dei maschi, i milanesi corsero a colonizzare San Paolo in Brasile travestiti da donna.

Berlusconi vedrebbe bene un’Europa senza la Germania. Lo stesso non si potrebbe dire dell’Italia, senza Milano? Ma non si può. “Milano non esiste” lo ha scritto Dante Maffia nel 1996. Quando Milano si stava prendendo tutta l’Italia. Non ci sono vie di fuga.

Le cause civili a Milano prendono dai dieci ai vent’anni. Gli avvocati consigliano di non fare casa per crediti inferiori ai 200 mila euro: meglio accontentarsi di quello che si riesce a recuperare senza, che il debitore o il truffatore è disposto a pagare.

Monti è milanese integrale e insigne. Richiesto sui suicidi di imprenditori risponde remoto: “In America sono il doppio”. Richiesto sull’eccesso di tasse ribadisce secco: “Devo confrontarmi coi mercati”. Richiesto dalla Fiat di confrontarsi col mercato dell’auto, s’indispettisce. ne convoca irato i manager a palazzo Chigi.

Nella tenzone fra i lombardi Sallusti e Farina col magistrato Cocilovo (un “cugino di Torino”?), giudicata dalla milanesissima Corte d’Appello della dottoressa Malacarne contro Sallusti col massimo di violenza possibile, non è questione di giustizia, naturalmente. Neppure di giustizia politica, qui tutti sembrano di destra – di centro, ma insomma ci intendiamo. È un questione di one-upmanship. Di chi, alla lombarda, ce l’ha più duro. L’one-upmanship  non ha codici – ma è Pulcinella…

Aspromonte
Mons erat infectus” è l’incipit di Ovidio , “Atteone e Diana”. Se ne può fare l’epigrafe dell’Aspromonte.
L’Aspromonte è una montagna particolare. Alberata in ogni suo anfratto. A cono sul mare. Ai fianchi  ha valli sempre in qualche modo aperte, sull’orizzonte senza limiti. Con larghi altopiani a metà altezza dove tutto cresce ricco di umori, frutta, ortaggi, legumi, per la giusta miscela di calore e umidità. Ai piedi guarda la più vasta selva di ulivi del mondo, alti, centenari. L’aria in ogni sua valle è secca, rinvigorente – la pioggia sulla Montagna viene dal mare. Quando l’afa ristagna sul mare nella lunga estate, l’Aspromonte la notte lo rinfresca col terrazzano.
La Calabria, se qualcuno in Italia e nel mondo ne ha cognizione, è l’Aspromonte. Ma l’Aspromonte non è questo, è quello di Alvaro, “Gente in Aspromonte”: acque limpide di ruscello e gente abbrutita, dall’ignoranza e l’avidità – si dice bisogno, ma non c’è il bisogno in Alvaro. Una forte, indelebile, “invenzione della tradizione”.
Il caso di scuola di “invenzione della tradizione” è la Scozia di Walter Scott. Un paese di sassi e pastori trasformato in un mondo di spiriti e folletti, di nobili guerrieri, di prati smeraldini. Lo scrittore, anche lui fuggito nella capitale, come del resto ogni scrittore deve fare, non sommerge la patria della rozzezza che la connota, ma al contrario la purifica e la eleva. Crea i clan, ognuno con i suoi colori, ne inventa le imprese, le registra in opere e albi d’oro, le sposa alla poesia di Ossian, la più romantica e inventata, la purifica e onora del suo proprio prestigio. Chi va via invece dall’Aspromonte, da sempre popolato di divinità, storia, templi, città, imprese, oltre che di acque e di boschi, lo fa con astio, con  odio. A ogni occasione rinnovato: i sensi di colpa inevitabilmente producono nuovi più radicali rifiuti.
Un mondo ridotto alla cornice etnografica. Della diversità irrecuperabile – irrecuperabile al progresso. Che è la storia. Un mondo condannato quindi. Benché dotato di un storia complessa, ricca, documentata. Perché rifiutato.

Si è diversi per marchio di fabbrica o d’origine, non per colpa, perché senza lingua. Nell’indifferenza del buon italiano. Anche se si è a proprio agio con Molière, che troppi purtroppo non apprezzano abbastanza, o con Steinbeck – non, purtroppo, con Shakespeare, non s’impara. Un sardo, per esempio, può essere suddito con dignità, senza essere un diverso: ha la sua lingua.
Si può essere condannati per non essere troppo diversi, non abbastanza. Per avere scelto, per mansuetudine, per convenienza, per logica, la lingua di tutti, latini o greci che fossero. Senza identità quindi, quando questi venga negata dall’incumbent di turno, piemontese o lombardo che sia. 

leuzzi@antiit.eu

L’Italia sovietica – 9

Paolo Flores d’Arcais
“Micromega”: Furio Colombo, Marco Travaglio, Andrea Camilleri
Il Grande Centro
Il Procuratore di Roma, Pignatone
Magistratura Democratica, con politburo, čistke e “scomuniche”, modernamente fatwa.
La langue de bois (lingua di legno), o xylolalia
La storia politica della Repubblica che non si fa
I “documenda” a ogni passo. Negli Usa solo la polizia federale può richiedere i documenti, da noi tutti, anche i vigili urbani. Senza effetto sui furti, la guida senza patente, la circolazione senza assicurazione
La Rai
E l’ecochic
Che solo è compatibile
E più rispettabile
Per la buona coscienza
Seppure un po’ anemica
A base multimediale

La matematica di Guénon è realista

Non problemi di calcolo, “privi di interesse”. Ma quelli dell’infinito. Come base più solida, cioè vera, della scienza. Come di ogni altro sapere. Il significato della serie di numeri, dell’unità, dello zero. Delle continuità e discontinuità – qualità e quantità, infinito e indefinito, la parte e il tutto.  Con la riaffermazione, contro le difficoltà di Leibniz e dei matematici che vollero confrontarsi con l’infinito, del superiore rigore intellettuale della metafisica rispetto all’indagine empirica o razionalista. In termini attuali un realista (che rebus i numeri, per il linguaggio e non solo) – il principe dell’esoterismo!
Paolo Zellini, che l’infinito ha filosofato, ne discute retroattivamente con Guénon. Di cui qui si capisce, fuori dal sacro e dall’esoterico, che abbia segnato una generazione in Francia e praticamente gli anni Trenta: Gide, Queneau, Paulhan, Artaud, Drieu La Rochelle, Simone Weil, nonché, contestandolo, il surrealismo. Contro la “falsa spiritualità” della contemporaneità, il suo duplice errore: l’abbandono (oblio) della dimensione spirituale della realtà in favore di quella meccanica (si dice fisica ma s’intende meccanica), e peggio la confusione della dimensione spirituale con lo psichismo, con l’inconscio della pratica psicanalitica.
René Guénon, I princìpi del calcolo infinitesimale, Adelphi, pp. 223 € 14

giovedì 27 settembre 2012

La legge è speciale contro Sallusti


Non c’entra la legge con Sallusti. La legge esiste dal 1948 e non ha mai portato a una condanna del genere. Si cita Guareschi, ma qui nessuno ha fabbricato documenti falsi, la diffamazione nascerebbe da un giudizio. Nella fattispecie esiste una pronuncia del tutto difforme del Tribunale. In Tribunale, in Appello e in Cassazione la pubblica accusa non  ha chiesto una  pena del genere. Le motivazioni della Corte d’Appello sono ingiuriose. Le pena irrogata è superiore a quella prevista dal codice.
È un giudizio politico. A opera di giudici apolitici ma ben corporativi. Contro chi vuole: 1) la responsabilità civile dei giudici, 2) procedure che costringano i giudici a lavorare. Cioè contro il partito di Sallusti.
Era inevitabile che la giustizia politica tralignasse, dalla maschera di Zorro agli “apoti” dei piccoli privilegi. La giustizia politica è violenta, qualunquista quando non è di destra. 

Il mondo com'è (111)

astolfo

Fondamentalismo – Tacito lo attribuiva ai cristiani, negli “Annali”,15, 44, 5, come “odium humani generis”. Ai cristiani che a all’epoca erano una piccola minoranza e non contavano niente. Se non come torce umane per Nerone.

Il suicidio, che è diventato il suo trademark nel fondamentalismo islamico,  contempla non in modo estemporaneo, o a uso tattico, poiché è il dominio della morte. Facendosi l’esame dopo la sconfitta (“Ex captivitate salus”, pp. 91-94), Carl Schmitt scopre l’autoannientamento insito nell’annientare il nemico, nel volere il nemico annientato.

Imperialismo – Da vent’anni, dalla guerra del Golfo, gli americani – i pro e i contro – si sono acconciati-accordati nella guerra umanitaria. Dopo quella infausta di liberazione, al Vietnam.

Intercettazioni - Sono la vecchia lettera anonima. Sono pubbliche, supportate dalla registrazioni (non sempre, la maggior parte anzi sono trascrizioni, passi scelti e interpretati, di cui è impossibile ricostruire il contesto e verificare la rispondenza con l’originale, producendosi migliaia di ore di ascolto). Ma sono selettive e mirate (anticipazioni, indiscrezioni, linee interpretative, pool) come lettere anonime. O allora sono piani segreti di entità segrete. Di autore molto autorevoli anche se di poco nome. E, sceneggiati convenientemente, secondo un disegno “classico”, con ruoli fissati, senza possibilità d’improvvisazione. I cronisti giudiziari, che grazie alle intercettazioni sono giunti a monopolizzare i giornali, chi l’avrebbe detto, erano poco sopra il redattore alle lettere, non sono felici.

Islam - L’entrata della Turchia nell’Unione Europea potrebbe essere vista come una riconquista, pacifica, di Costantinopoli. Di un paese a insorgenza khomeinista, oscurantista, che cerca il suo alleato latino contro il suo proprio mondo islamico, e questa volta non è Genova in odio a Venezia, o viceversa, né Francesco I di Francia in odio al papa, o viceversa, ma la Grande Madre europea che fagocita tutto indistintamente. E invece prevale la solita miopia tedesca, in forma di prudenza, misoneismo, e saggezza. Dei tedeschi che, intendendosi minacciati da tutti e da tutto, ora, dopo gli slavi, polacchi compresi, temono i turchi. E magari finirà per ammettere la Turchia in qualche forma, ma alla maniera tedesca, irresoluta e antipatizzante: la forza lavoro serve, il mercato pure, e le spiagge, con le seconde case a portata dell’operaio di Wolfsburg e del netturbino, ma con la solita solfa: questi turchi non sono affidabili, spendono troppo, hanno l’inflazione, insomma ci siamo intesi, la cosa è ben nota in Italia. E per di più non sono cristiani – non che la Germania voglia esserlo, anzi ha voluto l’Europa laica e scristiana, ma i turchi sono islamici, e tengono le mogli velate.

L’odio al saraceno avrebbe portato in Calabria alla distruzione delle palme. Il fatto non è certo – lo racconta Charles Didier, ventiseienne ginevrino in viaggio a piedi in Calabria nel 1830, e sa dell’iperbole scherzosa di cui si compiace lo spirito narrativo dei luoghi: le palme ci sono ancora in gran numero in Calabria, malgrado il punteruolo rosso. Ma è verosimile: l’odio è stato grande perché la paura è stata grande.

È d’uso ripetere la storia dei tre anelli del “Decameron” di Boccaccio, delle tre religioni monoteiste allacciate. Che invece non hanno nulla in comune, né la teologia, né la morale. Il Cristo è semmai un Budda biblico. E poi c’è la chiesa, con i dogmi. Per il male e per il bene. Quanto all’ebraismo, non è da ora che l’islam ne respinge il patrocinio.

Il malocchio è terrore costante nell’islam, nel Nord Africa, gli scongiuri moneta corrente.

Opinione pubblica – Guido Piovene ha costante, nelle seicento pagine di “La coda di paglia”, una raccolta di sue rubriche sui giornali nel quinquennio 1958-1962, il cruccio del giornalista che non riesce più a leggere il giornale. Ovunque trovando scandalismo, supponenza, superficialità. In una col conformismo politico. In un colloquio immaginario con il Direttore archetipico (ma è ricalcato su “Missiroli, “mitico” direttore del “Corriere della sera”) gli fa dire che è riuscito, al culmine della sua sapienza, a non leggersi nemmeno mentre scrive i suoi articoli.

Non una novità. L’aveva già detto il senator Pococurante di Voltaire: “Ovunque nella nostra Italia si scrive quel che non si pensa”. Nell’ovvia ammirazone di Candido.

Scrivendo a Hannah Arendt nei primi anni 1960, Karl Jaspers, che nel libro sulla Germania Federale dà un giudizio molto positivo dello “Spiegel”, la sola opposizione a Adenauer e Strauss, parla di “corruzione” del settimanale: “Sicuramente non è al servizio di interessi, nel senso che si farebbe pagare i suoi servizi… Per «corruzione» intendo: non ha convinzioni, non una concezione politica, non una linea direttrice e non un obiettivo. È nato dai bisogni aggressivi, dai bisogni di denuncia e di sensazionalismo della massa, nel quale i ministri sono essi stessi impastoiati. Uno spirito nichilista, ma dietro la maschera di pretesi principi «morali». Sempre «rivela», non importa che cosa, di rilievo politico o altro. Ha sviluppato uno stile negativo e arrogante che si trasmette anche ai lettori. Nessuna traccia di decenza, niente nobiltà, niente contenuti. Ma non direi che l’essenziale è per il giornale di guadagnare soldi. Si vede anche quanto, in numerosi casi, lavorano con serietà, cioè che fanno sforzi straordinariamente organizzati per raccogliere informazioni, anche per cose di poco conto. È una forma di voglia di vivere che consiste a mettere in cascina una reputazione accusando in tutte le direzioni, ridicolizzando, mettendo in dubbio, a non essere negativi ma senza metterci sentimento”.
Un testo che sembra calcato sulla stampa di oggi. Senza Strauss e i carcerieri. Anzi con gli “Spiegel” forti di giudici e carcerieri. Questo tipo di stampa è necessario, conclude il filosofo, “ma non si è obbligati a farla propria”.

Unione Sovietica -  La sua storia si potrebbe fare in tre righe. Stalin prese e mantenne il potere con la polizia, liquidando periodicamente i generali. Krusciov con l’esercito. Con Breznev torna al potere la polizia, anche nella forma ridotta dell’Urss che è la Russia.

Widerstand – 4 – La resistenza fu soprattutto vasta in Germania tra gli intellettuali. Giovani, economisti, religiosi, artisti, e scrittori. Ebrei e non. Di fama, di grande seguito intellettuale. La più vasta, qualificata, determinata. Fin  dall’inizio e contro ogni blandizie. Specie al confronto con l’Italia per tutti i venti anni del fascismo. E con la Parigi negli anni dell’occupazione, che d’intellettuali pullulava. Il “Lungo viaggio” di Zangrandi e “La coda di paglia” di Piovene documentano un generale accomodamento.

astolfo@antiit.eu

Anders e Hannah uniti dalle idee

In controluce, nella lunga introduzione di Christian Dries, e nella postazione del curatore Oberschlink, è un’altra storia dell’amore che non ci fu, del matrimonio lungo e arido di Anders con Hannah Arendt. Rileggevamo Leibniz mangiando ciliegie, per la povertà, e scoprivamo che le monadi sono “senza finestre”, ricorda Anders in questa tarda memoria, redatta 1984-85, dopo un primo abbozzo nel 1976, in seguito alla morte improvvisa di Hannah.
Una povertà relativa, poiché i coniugi, che non avevano casa e vivevano in camere d’affitto, si portavano dietro tremila libri. E monadi travisate, lo stesso Anders sente il bisogno in una “Postfazione accademica” che chiude la memoria, di ricordare che le monadi di Leibniz si saltano “le une addosso alle altre”.
Un matrimonio per ripicca forse. Dopo l’abbandono, duro, sprezzante, della giovane Hannah da parte del maturo amante Heidegger – una cosa da professore e allieva. Con un “giovane filosofo” che Heidegger in più occasioni con Hannah aveva nominato con disprezzo. Durante la guerra Anders salverà dall’America Hannah e il suo nuovo marito Heinrich Blücher in fuga tra Francia e Pirenei. Hannah avrà sempre accenti di disprezzo per Anders. I familiari di Anders, e più la sorella che è sopravvissuta a entrambi, non hanno conservato buona opinione di Hannah. La memoria postuma di Anders è lusinghiera: Hannah è “autonoma” nel giudizio (pensiero) e con una sua cifra stilistica già ai 22-23 anni, e “profonda, sfrontata, gioiosa, avida di dominio, malinconica, amante del ballo.., lei era proprio così”.
Ciò che resta è quello che non si penserebbe: l’interdipendenza dei concetti filosofi basici dei due. Che Dries mette in quadro. La “instabilità” inerente all’essere umano. L’uomo plurale – l’umanità come pluralità degli uomini. La “natalità”, invece della tanatologia di Heidegger. La critica dell’antropismo antropologicoa. L’esagerazione, o estremizzazione, delle idee come “metodo” critico. “L’amor mundi, o la consolazione ontologica dello sfiorarsi”. E da ultimo la Colpa condivisa, quella di Eichmann per Hannah, quella di Claude Eatherly per Anders, il pilota di Hiroshima, rotelle di una male tecnico, organizzato.Di tutto Anders si attribuisce in questa memoria postuma, in forma di dialogo con Hannah, la primazia.
Günther Anders, La battaglia delle ciliegie, Donzelli, pp. LXXV + 80 € 16

mercoledì 26 settembre 2012

Problemi di base - 117

spock


Perché Dio a un certo punto si riposa, il mondo lo stanca?

Possibile che in tanto tempo non sia riuscito a crearsi altro che il mondo?

E con chi altri parla nel mondo, oltre che con l’uomo: che peccati fanno gli animali?

Perché la fortuna sarebbe puttana, se non si paga? O si paga?

Cos’è una commedia impeccabile? E uno sport estremo? E un decolleté mozzafiato?

Mary Quant portò la gonna all’inguine per nascondere il seno, o perché non ce l’aveva?

Si fanno tante domande, perché non si danno altrettante risposte?

Perché togliere Dio ai bambini, se è una parte di loro stessi?

spock@antiit.eu

Il paradosso dell’amore inamabile, inamabile


Dedicato a tre donne, Lara, Anna, Rihanna. Che si compiangono sicure vittime. Di un tardo polemista, benché subito tradotto. Uno che vuol’essere cattivo di proposito - per fare colpo sull’assemblea? Oppure disamorato costituzionale. Col reducismo di chi si sente tradito dal suo stesso ideale di gioventù, e specialmente feroce contro il Sessantotto (“bisognerà scrivere il libro nero del ‘68”). Il quale è invece innocente.
Il Sessantotto fu di suo un’iniezione, innocente, di verità - poi avvelenata dal sovietismo. Di aria fresca nei fondaci ammuffiti dell’Occidente, tra guerre, sopravvivenza, ricostruzione. Della critica al lavoro e al consumo di massa – ora sovvertita, ma con sofferenza, dal mercato. Di questa ventata fa parte “l’amore libero”. Che il polemista trova comodo eleggere a ossimoro: “L’ossimoro per eccellenza, il matrimonio improbabile dell’appartenenza e dell’indipendenza”. Ma il matrimonio non è sempre improbabile? Il vizio dell’epoca (del Sessantotto?) è “confondere la libertà della scelta amorosa, immenso progresso, con la libertà individuale” – cos’altro è l’amore, una condanna individuale?
Contro l’amore la scelta è à gogo: “Stupore dei Moderni: l’amore non è sempre amabile, non coincide con la giustizia o l’uguaglianza, è una passione feudale, antidemocratica!” Oppure: “Che abbiamo guadagnato alla fine di questa liberazione? Il diritto di essere soli”. Che non c’era prima? Magari più sofferto, nel silenzio, nella negazione, nella repressione. O ancora: 14 milioni di single in Francia, 170 nella Ue, non sono più un accidente – 14 milioni?170? I single che ci sono sempre stati, nelle metropoli e anche nelle campagne profonde, ma prima non lo erano. Come se la storia fosse cominciata nel ’68, o nel Settecento, quella confusa dell’Occidente, e si fosse arrestata. “La più profonda segregazione” viene nel nome del desiderio liberato.
Non si saprebbe non apprezzare l’intento anticonformista. Ma il libello arriva a colpire la Croce Rossa, nel mentre che tenta di rianimare il cadavere. Anche il reducismo aiuta, a capire se non altro la virulenza del libello – Bruckner non era stato autore nel 1979, con Alain Finkielkraut, di un inneggiante “Il nuovo disordine amoroso”?. Ma non lo assolve, tanto è semplificatorio, col comodo uso del punching-ball: crearsi un fantoccio e abbatterlo. Certamente l’orgasmo non è la libertà, ma può esserlo, per le donne, per i giovani,  se si lega all’amore – Bruckner usa Musil e Deleuze e Guattari per negarlo, lo scrittore con rimpianto, i filosofi ottativamente. Sembra la filosofia del romanzo “francese” o di costumi, a fondo sessuale: la prostituzione, l’adulterio, il tradimento, la seduzione, l’amore che non si dice, il crimine. Una cattiva critica per una cattiva letteratura.
Pascal Bruckner, Il paradosso amoroso, Guanda, pp.220 € 20

Il puttanesimo a Bari, e a Milano


“Caso escort, il procuratore favorì Berlusconi e Tarantini”, titola il “Corriere della sera”. Il favoreggiatore è il Procuratore capo di Bari Laudati (l’anonimo del titolo il giornale esibisce in foto). Una bella notizia a quattro anni dai fatti, anche se inelegante – anzi truffaldina: il virgolettato è dell’accusatore. Ma si farà il processo? Laudati è già stato prosciolto dal Csm, che però non ha censurato l’accusatore. Il Csm di Napolitano, che come l’angelo della storia gira la testa dall’altra parte.
Il Csm se ne è occupato perchè l’accusatore è un giudice, Scelsi. Quello che vendette la puttana D’Addario prima a D’Alema e poi al “Corriere della sera”, completa di book fotografico con Berlusconi sullo sfondo. La vendette tra virgolette, non per denaro. Il giorno dopo che il suo collega e compagno Emiliano, sindaco di Bari, dato per sicuro riconfermato alle elezioni del 2008, fu costretto a un rischioso ballottaggio. Furono presi contatti con Milano, e il “Corriere della sera” pronto, era in preallarme, salvò Emiliano, il sindaco (allora) di D’Alema.
Sarebbe il primo processo all’accoppiata media-giudici. Goloso anche perché, se si farà, dovrebbe coinvolgere la Guardia di Finanza. Alla quale Laudati delegò l’attività di polizia giudiziaria. Che portò subito a scoprire che tra gli inquirenti c’era chi forniva indiscrezioni e verbali ad alcune giornaliste. La Guardia di Finanza si limitò a una denuncia contro anonimi. Ma, e se ci fosse del sesso? Si venderebbero molte più copie. Forse per questo Lecce si è dimenticata di indagare la cosa. 

martedì 25 settembre 2012

Ombre - 148

Carofiglio, che ha avuto tutto dalla vita senza spendersi molto, un editore, un partito, scuderie editoriali, premi, soldi, ne vuole altri da un critico che lo ha criticato. Si può pensare a un trucco pubblicitario, per aumentare le vendite e la fama. E invece no: Carofiglio è un giudice, e un giudice fa sempre causa, perché le vince.

Ha messo tutti nell’imbarazzo la Prima sezione penale della Corte d’Assise di Milano della dottoressa Malacarne, condannando Sallusti a 14 mesi di prigione ferma, senza attenuanti e senza condizionale. Con motivazioni anzi aggravanti. Con procedimento fulmineo. In spregio della sentenza del Tribunale. Per un corsivo di poche righe, che non diffama nessuno (la diffamazione è personale). Con una pena superiore a quella massima del codice, dodici mesi.
La giustizia politica fa boomerang – cioè ce ne accorgiamo?

Che fine hanno fatto le scommesse di Buffon e il fidanzato segreto di Rosi Mauro?
E la moglie di Grilli? Non dovevamo mandarli in prigione, tutti questi?

Gli stessi che buttavano le monetine a Craxi si sono divertiti coi soldi della regione Lazio, vestiti da porci. Non è una parabola, è un rapporto di causa-effetto: Mani Pulite ha aperto le cateratte della corruzione.

Quelli delle monetine erano, col plauso di Leoluca Orlando, grande accusatore del giudice Falcone, uomini, e donne, di Fini. Che oggi è il vestale della Repubblica. È la Repubblica dunque dei vestali. Alcuni con la maschera da porco. 

Dunque, Enrico Sassoon è a capo di un complotto demo-pluto-giudaico-americano per far vincere Beppe Grillo. Roba da non credere per chi conosce Enrico. Ma anche per chi non lo conosce: il complotto è il successo straordinario che il blog di Grillo ha avuto, azionato da un mago di cui Sassoon è (piccolo) socio. L’accusa però e partita da “Micromega” due anni fa, la coscienza della nazione, e ha attraversato due anni di Grande Informazione, tutta correttamente democratica. Non c’è più religione?

“Fondi pubblici per scopi privati, è la fine”: “Il Sole 24 Ore” schiera Paolo Cirino Pomicino domenica come fustigatore del malcostume. È la fine.

“Montezemolo e Marcegaglia piacciono a sinistra”, decide domenica Mannheimer. Magari è pure vero.

“Se non cambia la politica, la magistratura non potrà arrivare alla verità nelle aule giudiziarie”, afferma il giudice Ingroia alla festa di Di Pietro a Vasto. Sembra un nonsenso, e lo è. Ma perché la giustizia, per il giudice Ingroia, è politica.
Il giudice figura bene come Churchill in un fotomontaggio storico sul giornale online Rosebud:
Solo che il premier inglese era solito bere.

“Vale anche per Ingroia, ovviamente, il limite di non parlare dei propri processi. Ed è un limite che Ingroia ha sempre rispettato”, scrive il giudice Caselli al “Corriere della sera”. Come sarebbe a dire? I giudici vanno rispettati, ma Caselli dovrebbe anche leggere i giornali.

Il “Corriere della sera” apre la pagina della Consulta che accetta il ricorso di Napolitano contro la Procura di Palermo con una lettera-commento di Caselli in difesa dell’inchiesta in discussione. Tanto peggio tanto meglio? Togliatti non è morto.

Tutti raccolgono firme, contro Napolitano, contro le discariche, contro i termovalorizzatori, contro l’euro. False? Quando sono chiamati i firmatari non si presentano.
È la vecchia “mobilitazzione”: ora non costa nemmeno l’atto di presenza.

Stefano Rodotà dice ineluttabile su “Repubblica” il divieto francese di pubblicare le foto della principessa nuda. Anche il Garante della Privacy si è pronunciato in tale senso, aggiunge, su sollecitazione di Berlusconi, “che ottenne il divieto di diffondere le foto scattate con un teleobiettivo e che ritraevano persone che si trovavano nel parco di Villa Certosa”. Che divieto, se il fotografi ci ha fatto i miliardi, ai Caraibi, e tutta Italia si è divertita un’estate? Perché “Repubblica” è ipocrita? E Rodotà?

Il Consiglio regionale del Lazio si era dunque aumentato il fondo spese da uno a 14 milioni. Tutti insieme i partiti, pro quota. Senza che Giampaolino obiettasse. Mentre per Pignatone solo Batman è colpevole.

La Provincia di Roma ha acquistato, senza necessità, un palazzo di 270 milioni. Di che superare abbondantemente, di soli sfioramenti, tutte le fantasia di Batman & Co. Senza giustificativi. Ma Pignatone non indaga.

La cosa è denunciata ogni giorno dal “Messaggero” – il palazzo è stato comprato da un costruttore concorrente di quello del “Messaggero”. Pignatone non legge “Il Messaggero”? “Repubblica” e “Corriere della aera”, è vero, trascurano il fatto. Confinandolo nelle cronache romane, incidentalmente, cripticamente, e senza scandalo – centralismo democratico, riflesso condizionato?

Cinque insufficienze su undici alla Juventus in pagella su “Repubblica” per la partita col Chelsea a Londra. Che tutti hanno visto. Dell’inutilità del giornalismo?

Fisco, abusi, appalti – 12


Telecom vende La 7. Che si vende, se si venderà, giusto per le frequenze. La 3, la compagnia telefonica, ne ha bisogno dopo che Passera ha annullato il beauty contest per le nuove frequenze. Contro Berlusconi, si è  detto, in realtà per non  assegnarle (non se ne parla più). E cioè per dare qualche valore di mercato a La 7, che altrimenti, perdendo 70-80 milioni l’anno, nessuno rileverebbe. E un po’ di sollievo agli azionisti Telecom – tra essi la Banca Intesa di Passera.

Si investe a favore dei gestori. I fondi comuni in dodici anni, dal 2001 al 12 settembre 2012, calcola Giuditta Marvelli su “CorrieEconomia”, hanno prodotto un rendimento cumulativo di 142,4 miliardi. Per tre quinti, 85,7 miliardi, intascati dai gestori a titolo di costi. Ai sottoscrittori sono andati solo 56,7 miliardi. Lordi: dalla cifra bisogna sottrarre la cedolare, il 12,50 per cento, il 20 da quest’anno.

Il prelievo dei gestori è stato proporzionalmente più elevato sui fondi made in Italy: su una performance di 64,2 miliardi, agli investitori è toccato poco più di un quinto, 12,7 miliardi (al lordo dell’imposta), 51,3 ai gestori.
Quasi inversa la ripartizione per i fondi di diritto estero: su un valore generato nel dodicennio di 78,2 miliardi, ai sottoscrittori sono andati 43,8 miliardi, e 34,4 ai gestori.

“La Consob nei confronti della Fiat ha solo fatto il proprio lavoro”: Marchionne lamenta che la Consob tempesti Fiat con richieste di chiarimenti, diciannove in tre mesi, e Vegas, il presidente Consob, risponde. Destabilizzare la Fiat è il suo lavoro?
Lo stesso Vegas non fa nulla sui saliscendi in Borsa, a colpi del 20 e 30 per cento, dei titoli dell’establishment milanese. Il lavoro della Consob è di proteggere Rcs,  Camfin-Pirelli, la galassia Mediobanca nel complesso?

Il giornalismo delle lettere anonime, circolari

Cosa faceva un intellettuale nel fascismo, uno non fascista? “Pagava i pedaggi che tutti sanno”, arrivando a lodare l’antisemitismo di Interlandi, o accostare Mussolini a Shakespeare, mentre scrive “contemporaneamente «Lettere di una novizia» e «La gazzetta nera», che esprimevano e teorizzavano la doppiezza”.
Le ottanta pagine del titolo, il saggio che Piovene scrisse cinquant’anni fa (cui faceva seguire le rubriche da lui tenute su “Epoca”, dal 1958, e su “L’Espresso”, dal 1962, più alcuni articoli della “Stampa” e del “Saggiatore”), si rilegge come se fosse oggi. Allora il problema era come si poteva essere stati fascisti senza esserlo: per ipocrisia, spiega Piovene, con se stessi. Oggi è come si può essere ugualmente ipocriti, cosa lo impone in regime democratico. Il regime conta poco sulla natura dell’intellettuale.
Piovene, considerato persona ambigua più che scrittore dell’ambiguità, si rivela onesto. Anche se indulge qui a una sorta di cistka di tipo staliniano – era difficile non essere stati antifascisti nei giornali dopo la guerra. Un’autocritica senza respiro. E un incolparsi anche un inutile, un errore aggiuntivo – doppio, poiché non c’era nessuno Stalin in realtà a imporre la “confessione”. Del giornalismo però non nasconde nulla.
Nei grandi giornali vigeva l’ipocrisia, ricorda del fascismo: “In periodo di tirannia, se non si è riusciti a resistere, l’ipocrisi diventa una specie di sale amaro che rende il servire più sapido, più disgustoso, più accettabile perché più disgustoso”. E in periodo di democrazia? Perché l’ipocrisia nella democrazia? Perché il giornale è uno strumento – Piovene non lo dice, ma questo è il senso della sue rubriche sui settimanali. Lo “zelo del consenso finto”, che sotto Mussolini era all’origine di molti pezzi eccessivamente entusiasti, come a liberarsi da una cosa infetta, Piovene trovava cinquant’anni fa nella grande azienda verso i suoi funzionari, anch’essa totalitaria. Costante il cruccio del giornalista che non riesce a leggere il giornale, per la supponenza, la superficialità, l’infamia. Già allora il giornalismo militante o di denuncia era finito in “lettere anonime circolari anche se portano una firma”. Notevole l’elogio iniziale della scrittura in progress, non sistematizzato, così in anticipo sui blog.  
Guido Piovene, La coda di paglia

lunedì 24 settembre 2012

Il carattere tedesco, introvabile

Si discute molto del “carattere” (personalità, storia, grandezza) tedesco, Hannah di malavoglia, Jaspers con costanza, senza venirne a capo. E anche questa è una soluzione del problema.
È una scelta del voluminoso carteggio (integrale solo in tedesco e inglese, la scelta italiana del 1989, “Carteggio”, è diversa) tra i due filosofi, l’allieva e il maestro, dal 1926 al 1966. Operata con impegno da Jean-Luc Fidel, che la situa nei suoi tanti aspetti in una lunga introduzione. La stessa scelta “situa” a sua volta molti argomenti, e più per la forma problematica invece che risolutiva, in carattere col tono conversativo della corrispondenza rispetto alla trattatistica. Sull’essere ebreo oltre che sull’essere tedesco: “Spinoza sarebbe totalmente dimenticato, anche in quanto eretico sarebbe dimenticato, se si trattasse della tradizione ebraica” (Arendt). Sull’antisemitismo: “Questa storia – come tutta la storia ebraica, d’altronde – è stata… talmente falsificata dalla storiografia, presentata dal alto ebraico come la storia degli eterni perseguitati, dal lato antisemita come una storia diabolica, che bisognerà rivederne tutti i risultati” (Arendt). Su Israele come normalizzazione: “Non è un’assimilazione globale: restare ebrei ma in quanto semplice nazione tra le altre e in seguito in quanto nazione sempre meno numerosa e senza significato – ogni vestigio della sublimazione, del «popolo eletto», dovrà sparire?” (Jaspers). Sulla “debolezza di carattere” di Heidegger. Sulla “banalità” di Eichmann – conio di Heinrich Blücher, marito di Hannah. E, in ultimo, a sorpresa, sulla terra bruciata che Adorno (“uno degli individui più abietti che conosca”, Arendt) e Horkheimer hanno fatto di critici e concorrenti, Heidegger compreso, bollandoli con l’antisemitismo.
Hannah Arendt, Karl Jaspers, “La philosophie n’est pas tout à fait innocente”, Payot, pp. 287 € 9

Letture - 111

letterautore


Commedia - Franco Cordelli torna a teatro, e vede una commedia “davvero impeccabile”. Cosa può essere impeccabile in una commedia? Le scene no. I costumi neppure. La recitazione, i tempi. Che sono uno stato di grazia, occasionale a ogni recita, non programmabili, organizzabili. La tragedia si costruisce, la commedia vuole fluidità (flessibilità!).

Complotto – Nel mentre che rifà i “complotti” del secondo Ottocento, ebraico, gesuita, massonico, nel “Cimitero di Praga”, come una “storia della stupidità”, Umberto Eco ne inventa uno sull’unità dell’Italia – fino alla morte per affondamento di Ippolito Nievo, che “aveva le carte” della Sicilia... Un secondo assioma se ne può estrarre, che il complotto (la stupidità) è unitario – oppure che il complotto è contagioso.
È anche una libera esercitazione, di fantasia. Seppure non nobile.

Quello dei complotti è un circuito chiuso, di fantasia limitata. Le spie inventano, ma su schemi limitati e poveri. Si può dire anzi che le spie e i falsari non inventano niente, hanno pochi schemi espressivi a disposizione. Per questo i complotti stancano: la storia dei complotti è ripetitiva.

La parola, della cui etimologia non si viene a capo, si può ben farla derivare da com-plot, più plot, più trame. Maccheronicamente ma non troppo. Il complotto è una trama di più trame.

Dante – È piagnucoloso. Anche questo è vero, soprattutto nella “Vita Nova”, dove si piange per un terzo delle pagine. E lamentoso, di Firenze, dell’Italia, della sua storia, delle donne, degli uomini, del mondo. È crudele. È giudice parzialissimo. Vendicativo sempre. Rileggendolo, in “Dante vivo”,
Papini non fa che trovarvi inciampi. Ma con un curioso effetto: si propone di trattate Dante non
“alla dantesca”, ma lui stesso è preso nel gorgo: tratta cinquanta differenti sfaccettature del personaggio e del poeta. Non tutte negative. È multiforme – Papini come si sarebbe voluto, uniforme?
È superbo, si sa. E la superbia è un peccato, di cui però lui si assolve. Si fa dare da Cacciaguida la grazia infusa (“Paradiso”, XV, 28-30), “superinfusa”. Che si discuteva allora, e poi per qualche secolo, se fosse stata privilegio della Madonna, unico. Subito, all’“Inferno”, IV, 100-102, si paragona a Omero, Orazio, Ovidio, Lucano, Virgilio. Interpella e rampogna, condanna, elegge papi e imperatori, cardinali, principi. Corti. Ma questo è quello che lo fa Dante, la “superiorità” del poeta.
È un’arroganza che non dà infatti fastidio – la superbia è stancante oltre che peccaminosa. Sullo sfondo dei vent’anni di vita raminga? O dell’opera che vi concepì e scrisse.

Lettura – È un investimento. Anche quando è un passatempo. È un accumulo di sensazioni, sentimenti, passioni, e anche di idee. A uso proprio, per passare il tempo (riposare) e per fantasticare, e anche di utilità pratica: energizzante, emolliente (svelenante).
Luoghi comuni – Proverbi, adagi (gli “Adagia” di Erasmo, il libro più letto del cinquecento, ne erano un repertorio), metafore correnti e modi di dire. Buttando i luoghi comuni si butterebbe via la possibilità di comunicare, argomenta Marc Fumaroli nel suo voluminosissimo saggio-antologia “Le livre des métaphores”, e anche di scrivere. Di “scrivere”, non per il consumo cioè.
L’accademico di Francia, spiega in una intervista col “Magazine Littéraire” di settembre, si rifà a Paulhan, “I fiori di Tarbes” (niente fiori nel giardino), sottotitolo “Il terrore nelle lettere”, per argomentare in favore di un “fondo comune” nel linguaggio, che renda possibile (significativa) la comunicazione e la scrittura, e che è costituita dai “luoghi comuni”. Contro “il discorso polarizzato tra gli estremi, la specializzazione e l’esoterismo da un alto, dall’altro la banalità e la volgarità del chiacchiericcio, tra scrittura e best-seller”. Contro  “la moltiplicazione delle parole astratte in –ismo, in –zione, in –tà nella lingua attuale”.
Ma non sono questi i “luoghi comuni” di oggi? Cioè abusati, fino all’insignificanza - non è questo che definisce il luogo comune?
C’è un equivoco: “I luoghi comuni della retorica sono il contrario di ciò che i romantici hanno chiamato banalità, idee ricevute… Il paesaggio di luoghi comuni che presenta il mio libro dà idea del funzionamento della lingua come artigianato retorico”. C’è da “perderci la testa”? Fumaroli non demorde: “L’espressione è entrata nella lingua nel 1792”, con la ghigliottina. Ma bisogna saperlo: il luogo comune vive per chi conosce i luoghi – altrimenti non dice niente.

Luoghi letterari – Sono sempre quelli del grande libro di Giampaolo Dossena (l’“Atlante della letteratura italiana” di Luzzatto e Gabriele Peullà è storico): un libro, un personaggio, un luogo. Reciprocamente costitutivi. Ma nella storia. Dossena ne era entusiasta.
Ma Davos da almeno trent’anni, luogo di  pratica personale, non è niente di questo: è una Cortina minore, con altrettanta innevazione e insolazione a 360 gradi, al centro cioè di una valle aperta, ma senza carattere, un paesone anonimo, provinciale anche, che in Svizzera è difficile – meglio Kloster (i principi reali inglesi vanno a Kloster).
Arbasino ritorna nell’albergo di Proust bambino a Baalbec e ci trova grassoni e culone. Forchettoni al buffet. Con le cinque stelle e tutto.

Romanzo – È genere borghese. Atteggiato e ordinato: psicologia, simmetrie, eroismi, anche degenerazioni. Da Richardson a Ballard. Praticamente senza eccezioni (Dostoevskij? Céline…). Nella storia, nelle storie, nella casistica delle storie. Naturalmente borghese?

Traduzione - È interpretazione, chiarisce e agevola. Le oscurità (Dante), l’enfasi (Shakespeare), le sfumature (Céline), le deformazioni del linguaggio (Joyce, Gadda). Non perché il traduttore è traditore, un baro, ma perché è un lettore. Anche il lettore dà un senso, uno suo.

letterautore@antiit.eu



Il calcio è marcio

Nell’intento di facilitare il lavoro dei tenenti colonnelli dei CC in carriera, e dei Procuratori antimafia disoccupati, apriamo una rubrica di delazioni sulle partite, non retribuite:

L’espulsione al primo minuto di Alvarez del Catania in Catania-Napoli. Al primo minuto del primo tempo. Su volo d’angelo ben calibrato di Cavani. Col quale l’arbitro Bergonzi s’intende a fine gara (“Io il mio dovere l’ho fatto”?)

Il goal di Gilardino al Pescara in Bologna-Pescara. Questo Pescara non sarà il Bari?

L’autogoal raffinato di Dani Alves, un capolavoro per un difensore, benché non pressato da nessun avversario, in Barcellona-Spartak. Quanti soldi non sono stati guadagnati\perduti con quel pareggio dello Spartak al Camp Nou nel primo tempo?
Urge intercettare i telefonini di tutta Europa.

L’allenatore della Juventus Conte, squalificato, continua ad allenare la squadra anche sul campo. Nascosto dietro occhiali scuri, ma si vede bene che è lui. Uno.

Due: Perché Abete, che ha squalificato Conte, poi lo protegge?

domenica 23 settembre 2012

Fisco, abusi, appalti – 11


Si apre il Salone dell’automobile di Torino. Dove i marchi Fiat sono presenti, di un’azienda cioè che fa attualità. Ma i tg Rai, dopo avere indugiato su Marchionne a Palazzo Chigi che non convince i sindacati, indugiano sui marchi Peugeot e Volkswagen. Pubblicità occulta? Pagata? A chi?

Il ministro Profumo fa un concorso per 12 mila insegnanti. La categoria è sovraccarica di precari, dei precedenti concorsi, ancora da sistemare. Ma il ministro bandisce un concorso tutto nuovo per “dare un’opportunità ai giovani”. Per il quale si richiede la laurea del vecchio ordinamento. Cioè di prima del 1999. Per giovani di 40 anni?

Nell’abilitazione alle cattedre universitarie aperta fino al 20 novembre opera un automatismo detto “mediana”. È il valore medio dei titoli dei professori già in cattedra, secondo certi criteri accettati. C’è una mediana per associati e per …, e per ciascuna disciplina. Per le discipline umanistiche tutti i ricercatori concorrenti si sono scoperti sopra la mediana: hanno più titoli di almeno la metà dei professori in cattedra.

Lo riconosce anche il governo nel Def, Documento di Economia e Finanze. La pressione fiscale è quest’anno al 44,7 per cento del pil, l’anno prossimo salirà al 45,3: record mondiali. La disoccupazione salirà di un punto quest’anno, e di un altro nel 2013. Senza alcun effetto sul debito: è costato 78 miliardi di interessi nel 2011, costerà 86 miliardi quest’anno, 105 nel 2015.

A Vienna il termovalorizzatore è quasi al centro della città. Lo stesso a Parigi, a quattro fermate di metro dal’Étoile. E a Bruxelles, davanti al Circolo Canotttieri. In Italia non si può, nemmeno in campagna: bisogna fare la raccolta differenziata. Di cui si fa l’appalto, Comune per Comune, ma con scarsi effetti sul riciclo. Si paga l’appalto – il Comune lo paga, cioè noi - per roba che comunque va in discarica (non tutta, la maggior parte).

Perché la differenziata, anche se falsa, è forte in Italia? Perché è gestita da ex Pci: la differenziata propriamente detta è di area Pd, la porta a porta di area Rifondazione.
Ma i Comuni ex Dc si stanno attrezzando: molti sono già all’avanguardia nella (finta) differenziata.

Un caso a parte è Napoli. Dove la giunta De Magistris conferma quanto si sapeva: niente termovalorizzatore, niente discarica, e niente differenziata. A Napoli il business è l’esportazione: tanto a balla, margine garantito ed elevato. Con fondato sospetto di ulteriore margine in termini di sfioramento (tangente all’estero, cioè fondi neri), a carico degli smaltitori nord-europei.

Mercoledì 5 settembre su via Cavallotti a Roma, 800 metri, è vietato il parcheggio “per lavori”, in base all’ordinanza Nr. etc,.. Ma nessun lavoro si fa. Il divieto è mantenuto giovedì, fuori ordinanza, e venerdì. Ma nessun lavoro si fa – né si farà successivamente.
Giovedì 21 settembre non lontano, angolo G. Carini-G.Rossetti il divieto di sosta è affisso, senza ordinanza, alle 8.00, quando cominciano i lavori. Alle 9.00 le auto vengono rimosse. Non sul marciapiedi, come si fa con le opere stradali, urgenti e non, col carro attrezzi. Con rimozione a carico dei proprietari, 150 euro, più la multa. Da vigili che ridono e irridono col personale dei lavori.  

Le vite immaginarie invecchiano


Si riedita dopo quarant’anni questo piccolo classico (già edito nel 1954 da Longanesi), nella cura di Fleur Jaeggy. Vite immaginarie di personaggi esistititi, Erostrato, Empedocle “creduto Dio”, Lucrezio, Petronio, una ventina di nomi. Ricostruite in base ai pochi atti o le opere di cui si ha notizia. C’è già Pocahontas, recente successo. Ma sono vite invecchiate, una novità degli anni 1930.
Marcel Schwob, Vite immaginarie, Adelphi, pp. 206  € 12