astolfo
Europa - Ha avuto per molti
anni un futuro davanti a sé, un progetto, un’aspettativa. Ora ha solo un passato:
cosa abbiamo fatto, dove abbiamo sbagliato, perché l’abbiamo fatto. Piena di
sussiego e niente più. Di suo sa solo giocare al calcio. Ma perché può ancora
pagarsi i migliori sudamericani.
Internet – È la
disinformazione. Ne è il magazzino e il teatro. Nell’era del “falso autentico”
– si fa una mostra a Roma di Vermeer, e contemporaneamente si celebra van
Meegeren, il suo “falsario autentico”.
È
come si vuole, il veicolo dell’espressione libera e planetaria. Ma, senza
limiti né regole, nella forma negativa della disinformacija. Anche quando non lo è: è il contesto che privilegia
l’informazione alterata, artefatta, di parte, a fini reconditi. Le ultime
guerre, in Libia e in Siria, sono state combattute sul piano internazionale con
una disinformazione smaccata. Esagerazioni del modello ormai classico di Barry
Levinson una quindicina d’anni fa, “Sesso e potere”, che al produttore disoccupato
Dustin Hoffmann commissionava una guerra finta, con profughi, feriti e altre
icone – non c’era youtube, ma l’importante era far vedere. La rete è
perlustrata in largo e in lungo, e ampiamente utilizzata anche, da occhiuti
servizi e scelti spioni, qualsiasi blogger lo fiuta, lo sente (lo “sa”).
Anche
il privato, di facebook come già delle chat e dei blog, è artefatto.
È
come la vedeva Alan Turing, il suo ideatore, lo scienziato filosofo delle
“stringhe”: anarchica. Anch’essa, come l’anarchia politica, soggetta a ogni
“infiltrazione” o “provocazione”.
L’algoritmo non ne elimina l’imprevedibilità, assicurava Turing, ma non
ne assicura la stabilità (impenetrabilità).
Islam – Si può dire in crisi di crescenza, per
la modernizzazione forzata. E accelerata,
negli ultimi cinquant’anni, roba di due generazioni. Dapprima col nasserismo, la
forma araba del bonapartismo, con un assetto gerarchico e statalistico
dominante nella politica e nell’economia. Poi col petrolio. E quindi soprattutto
con la penisola arabica, che grazie al caro-petrolio ha assunto una posizione
condizionante in tutto il mondo arabo, e anche islamico, fino all’Equatore e
all’Indonesia. Ed è in questi anni in posizione dominante, anche se non di
controllo, nel business finanziario e
architettonico, con i grattacieli più alti del mondo, marmi dispendiosi,
giardini artificiali, e spreco di acqua, in cascatelle e ruscelli.
Gli Emirati del Golfo, Abu Dhabi, Dubai, Sharjah, e i principati del
Qatar e del Bahrein, erano all’epoca dello shock petrolifero, nel 1973, dei
villaggi di pescatori. Appena usciti dal protettorato britannico – erano gli
stati della Tregua, la tregua intervenuta nel 1953 fra la Gran Bretagna e i
pirati che li abitavano. Nell’Oman, cui avevano dato l’indipendenza con gli ex
stati della Tregua, i britannici avevano dovuto far fare nel 1970 un colpo di
Stato a Qabus, il figlio del sultano Said, per poter introdurre l’elettricità e
altre novità, cui il sultano si opponeva. Nel 1973 l’Arabia Saudita
sperimentava cautamente la scuola per le ragazze: due sezioni, con insegnanti
ciechi. E si poneva il problema della televisione, se autorizzarne una, se
proiettarvi altro che letture sacre, e se le donne dovessero apparirvi e come –
le donne allora, che non potevano guidare ed erano malviste se giravano
sole, si potevano mostrare in pubblico
coperte interamente di nero, senza nemmeno la finestrella del burqa. Per essere troppo modernista, il re saudita Feisal
fu assassinato poi da un nipote.
Gli odi sono sempre stati incontrollabili tra le diverse confessioni. Con
guerre civili costanti e latenti dove le confessioni sono mescolate, in Libano,
in Iraq. E in Libano, Iraq, Egitto, Algeria e Turchia verso i cristiani,
seppure sparute minoranze, non in comando, non elitiste.
A Tripoli del Libano, ammasso non elegante né moderno, la seconda città
del Libano, sunniti e alauiti sono sempre stati in guerra perpetua. Anche dopo
la guerra civile linbanese e ben prima di quella siriana in corso. Con attentati
e vendete personali. Perfino la richiesta di carte all’anagrafe e le denunce
alla polizia sono discriminate in base alla confessione, si è infedeli per
poco.
La verità dell’islam è insuperabile, per il noto quesito: quale nuova
verità? Se è la stessa cosa , allora è inutile. Se è superiore a quella che
abbiamo, allora è falsa. Che sembra un falso sillogismo, e lo è.
Italia – In quanto
vittima di se stessa, lo è in particolare del pregiudizio intellettuale, cioè
della sua classe colta. Espressione di una borghesia che si formò con la
manomorta, cioè col furto legalizzato. Nel 1824 Leopardi condannava l’Italia,
nel “Discorso”, per l’assenza di una classe dirigente, la “società stretta”, e
di un comune patrimonio morale, il “buon tono”. L’identità nazionale si affermerà
in negativo: furbizia, compromesso, approssimazione, disinvoltura. Fino al
paradigma di Carlo Tullio Altan e l’editore Feltrinelli una trentina d’anni fa,
chiusa la gloriosa stagione del terrorismo: “La nostra Italia” dell'antropologo
culturale era fatta di “Arretratezza socioculturale, clientelismo, trasformismo
e ribellismo”.
Anche
la storia si è presto atteggiata in negativo. Basti per tutti il diverso
approccio a Machiavelli negli studi, in Italia e fuori d’Italia. Faziosità,
compromesso, clientele, qualunquismo, immobilismo sono diventati le costanti
storiche. In un certo senso predisposte, la storia è la letteratura. Già Dante,
sette secoli fa, muoveva nell’alveo di un’Italia marcia e dissolta, molto prima
di cominciare a esistere.
Un
certo passato c’è, di cui non si può non tenere il conto. Ma soprattutto ha
pesato e pesa, notava Galli della Loggia nel 1996 in “La morte della patria”,
l’“egemonia degli intellettuali letterati sul discorso storico-politico
italiano”. Bersaglio di questa depressione-delusione è, da Dante in poi, la
Chiesa. Ma il suo moralismo è esso stesso tipicamente chiesastico, notava lo
storico: “La sistematica commistione di politica e morale, di politica e «carattere»
è proprio ciò che essa (la Chiesa) fa abitualmente, così come vuole la sua
natura, terrena e spirituale insieme”. Se laica, la cultura si organizza e
pensa come antichiesa - per sistemi salvifici a questo punto del tutto
inafferrabili.
Non
ci sono peraltro, in questa commistione di politica e morale, studi italiani di
come la società italiana pensa, si organizza, funziona, se non quello
“L’italiano” di Bollati (1983), ancora vivo, la serie sulla identità italiana
promossa presso il Mulino da Galli della Loggia, e le rilevazioni periodiche
del Censis, anzi i contributi di De Rita al Censis. La
deprecazione-invettiva-denuncia è il genere critico e storico di questa invadenza
pervasiva. A partite da Gioberti, che fu tutt’e tre le cose insieme, uomo di
Chiesa, politico e letterato. Nel 1844 l’abate Gioberti sanciva che il popolo
italiano non esiste, “un desiderio e non un fatto, un presupposto e non una
realtà, un nome e non una cosa, e non so pur se si trovi nel nostro vocabolario”.
Lo sanciva nel “Primato morale e civile degli Italiani”, da cui escludeva il
popolo.
L’ideologia
del declino è lo stereotipo di una cultura antistorica, che al reale si
avvicina al più per vacui sociologismi. Agitata dal giacobino italico, l’intellettuale
pretesco che si compiace negli estremi verbali, che i sociologi nobilitano in
anarchismo - scolpito a tutto tondo nel 1969 dal petty bourgeois della “New
Left Review”, il borghese piccolo piccolo di Sordi-Cerami. Ne scriveva già Marx
130 anni fa (che Sereni cita, “Capitalismo nelle campagne”, 1975, p.119) a
proposito della partecipazione italiana all’Internazionale, attraverso le
fazioni bakuniniane dell’Alleanza: “L’Alleanza in Italia non è un
raggruppamento operaio ma una truppa di declassés,
il rifiuto della borghesia. Tutte le pretese sezioni dell’Internazionale in Italia
sono dirette da avvocati senza clienti, da medici senza ammalati e senza
conoscenze mediche, da studenti assidui al biliardo, da viaggiatori e da
impiegati di commercio e specialmente da giornalisti”. Giulio Bollati ricorda
opportunamente Croce: “Qual è il carattere di un popolo? La sua storia, tutta
la sua storia, nient’altro che la sua storia”.