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Amore – È grazia. Si può morire d’amore, ma perché già è morto
l’amore. Come nella poesia necrofila tedesca, dei poeti che l’amata la vogliono
morta.
Si
racchiuderebbe oggi nella formula svetoniana “invitus invitam”, a proposito
dell’imperatore Tito che allontana Berenice - seppure nel rapporto inverso, “invita invitum”: non volendo. Non volendo lui, non
volendo lei. Per lo stress, per l’egotismo, perché a casa dalla mamma si sta
meglio.
Corpo – È una delle poche cose (la sola?)
maschio-femmina. “As we go marching marching\we battle
too for men,\for they are women’s children,\and we mother them again.\ Hearts starve as well as
bodies,\Bread and roses! Bread and roses!”, “I cuori hanno fame come i corpi”, cantava Mimi Fariña dei
Bread ‘n Roses, con i quali faceva musica gratis nelle scuole, gli ospedali, le
prigioni, gli ospizi, prima di diventare bandiera incongrua della guerra dei
sessi, e loro, gli uomini, “sono figli delle donne,\che nuovamente li
generiamo”.
Non
divide la bellezza. La bellezza delle donne è contestata, non
solo dai filosofi. C’è una consistente tradizione, sotterranea ma costante
sotto gli inni e i madrigali, da Simonide allo Pseudo Luciano e Achille Tazio,
ai padri della chiesa e ai grandi amatori Ovidio e Baudelaire, che ne fa
ludibrio. Molte donne la curano, specie del genere proustiano, sensibili cioè e
di spirito vago, con le virgole, tutte scrittura, come Chopin è musica pura, ma
per farsi inabbordabili - Proust, si sa, è Bosch e non Breughel, benché s’ingentilisca
con Vermeer e Manet.
Crisi - Il
senso della crisi è antico e si rinnova vivace, spiega Huizinga, uno specialista.
Viviamo nell’attesa della fine del mondo. Ciò a Kant riesce inspiegabile:
“Perché gli uomini si aspettano la fine del mondo? E perché se l’aspettano con
terrore?” La nozione risale a Ippocrate, quindi alla malattia. Ma si applica ai
processi morbosi della finanza e della politica, che hanno la febbre, dice
Kant, con “deliri, fantasie selvagge, discorsi insensati”, se non sono
allucinazioni, “in seguito a lesioni dei centri del sistema nervoso, e alle
forze sociali non più regolate e rattenute da un principio superante la
finalità di ciascuna di esse, giacché lo «Stato» non è siffatto principio”.
Forse è un rigurgito del bisogno di felicità, dopo che lo stesso filosofo ha
demolito il vecchio desiderio. Il fatto è che “l’Occidente e l’Europa”, conclude
Kant, “e solo essi, sono «filosofici». Il fatto è attestato dalle scienze”.
Se la scienza connota la storia dell’uomo,
cioè la storia, è perché trae origine dall’Occidente, cioè dalla filosofia. E
dunque l’Occidente è la filosofia. Se la filosofia è depressa, l’Occidente è
depresso. Se la filosofia è niente, l’Occidente è niente. Se l’Occidente impera,
impera il niente. Gli Usa ne sono prova, che come si sa non esistono.
È severo il professor Severino, che per
questo è stato condannato dal Sant’Uffizio e cacciato dalla Cattolica: “Già
alle origini dell’Occidente, con i greci, la storia diventava impossibile. I
greci hanno scoperto il carattere radicale del nulla. L’uomo pre-greco sapeva
di compiere con la morte un viaggio in un mondo da cui avrebbe potuto forse
tornare. Vivere tra il nulla e il nulla è in realtà morire, e questo è l’atto
supremo di conoscenza”.
Il nichilista è miglior cristiano lo
diceva Oscar Wilde, in altro senso. Coleotteri siamo, ancorché giganti, che
vivono di escrementi. La famosa catena ecologica. Coleotteri pensanti, che la
vanno a raccontare.
Diritti – I diritti
individuali sono doveri della storia. Ma solo in Occidente.
Etica - È locale. E
stratificata: socialmente, etnicamente, perfino orograficamente – ce n’è una
per la montagna e una per la pianura, e in montagna per le vette e per le
valli, se cupe. Gli Usa, che molto legano ultimamente la morale al sesso, hanno
bandito fino al 1933 l’ “Ulisse” di Joyce per oscenità, hanno avuto difficoltà
a stampare “Lolita”, tre anni dopo l’edizione parigina, non hanno potuto tradurre il “Decameron” fino al 1930, e ancora con
molti passi lasciati in volgare trecentesco,
e hanno misurato fino al 1967 il tempo dei baci al cinema, la scollatura e il
costume da bagno, tutto codificato in un “Codice Hays”. Ma erano il popolo che
più divorziava al mondo per una scopata migliore. L’etica è una norma.
Subito dopo, subito dopo il Sessantotto,
la trasgressione negli Usa è la regola. Anche col postino, a opera di
casalinghe, e nei racconti di Updike. Anche Marlon Brando starnazzava
nel 1973 al festival al Lincoln Center, vedovo forse cornuto nel film di Bernardo
Bertolucci “Ultimo tango a Parigi”, facendosi seppure col burro un’altra
conoscenza occasionale, a quel che si vede non trascurabile - e con Bertolucci
che al Lincol Center, al party della United
Artists, produttrice del film, intona l’Internazionale.
Dopo il Sessantotto l’etica si fa hectic,
febbrile, rara parola americana derivata dal greco. Dove invece significa
l’opposto, abituale, e non si sa più come prendersi: la lussuria secondo
Giovenale viene all’apogeo dell’impero, sarà per questo che l’America
bacchettona di colpo lussureggia? Bere no, non si fa più. Si beveva nei romanzi
beat, poi non più, e fumare è da
sfigati, da padiglione incurabili. Mentre si scopa in ogni film, anche se le
inquadrature sono disagevoli, con chiunque, ovunque, a ogni ora. Ciò impone
l’accantonamento di alcuni generi, i film tutti uomini, biblici, fantastici,
per ragazzi, ed è un problema.
Relativismo – È dogmatico.
Il dubbio lo è, distruttivo. Come un personaggio di una storia della Bible Belt
Usa può dire, in “Wiser Blod” di Flannery O’Connor, una sorta di minorato: “C’è
ogni sorta di verità, la vostra verità e quella di qualcun altro, ma dietro a
esse tutte c’è una sola verità: ed è che non c’è verità”. È il relativismo
volgare, ma non ce n’è altro.
Riti – Resistono
quelli del glamour. Lenti,
ripetitivi, “freddi”. Anzi hanno eclissato ogni altro. Ogni concerto di
rockstar, anche solo di una promessa, ha un rituale invariabile, di urla (inni),
gesti, decori, pause, riprese, e l’inevitabile applauso. L’applauso è, seppure
autoinflitto, l’atto catartico, liberatorio. Un festival del cinema ha un lungo
tappeto rosso, transenne, limousine, molti vigili in pennacchio, e gruppetti di
attori-registi-sceneggiatori, due maschi in genere e due o tre femmine, in deshabillé con qualsiasi tempo, i maschi
un tempo in smoking (Pasolini con la camicia plissetée), ora altrettanto rigorosamente casual. Che vanno e vengono, si fermano, si fanno molte foto, in
pose lente, un gruppetto dopo l’altro, il cerimoniale è invisibile ma ferreo, la
sfilata può prendere ore, mentre i pubblico aspetta sempre attento e partecipe.
Riso - Una
ragione per eliminare i vecchi c’è, spiega Propp, l’analista delle fiabe: “Tra
l’antichissima popolazione di Sardegna, i sardi o sardoni, vigeva l’uso di
uccidere i vecchi. E mentre uccidevano i vecchi, ridevano sonori”. È una
commistione: a Creta, alle origini dell’Occidente, una statua di bronzo fu
donata, di nome Telo, che ogni giorno faceva il giro dell’isola, e se
incontrava un nemico fenicio lo arroventava abbracciandolo ridendo. La risata
passò in Sardegna quando Telo e i cretesi, fonditori di metallo, si trasferirono
nell’isola ricca di miniere – via Sardi di Libia, lì vicino? Il riso nacque
così irridente. È una liberazione, il riso certo, non la lapidazione, e non dai
poveri vecchi: sempre i giovani hanno riso. Pure Isacco, “colui che ride”,
sotto il coltello del padre Abramo, forse perché stava per vanificare d’anticipo
tutto il freudismo. E Beatrice alla visione beatifica.
Tempo – Bacone lo
dice “partus masculus”. È importante per stabilire i nessi di potere e i rapporti di forza,
come si domina e come si è dominati.
Nel
progetto di Cristo il tempo del mondo sarà una
pausa, con un inizio e una fine, dentro l’eternità. Accoppiata eterogenea,
avendo i due tempi natura diversa, ma preparatoria all’esame di riparazione: il
tempo cristiano è storia breve e unica, che non si ripete, andando per linea
retta da un inizio a una fine. Insomma, il tempo come riflesso dell’eternità. La
storia è rivelazione di Dio anche per molti gentili, dopo sant’Agostino:
Pascal, che dubita ma ci crede, Vico, Herder, Hegel, e Fichte perché no, con lo
Spirito e l’Assoluto, o Heidegger. Magari di un Dio morto.
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