astolfo
Cellulare – Per i
molti il telefonino non è un mezzo di lavoro o di contatto, ma un modo di
sentirsi vivi per essere sempre presenti. Per la nevrosi (paura) di non essere,
di non essere considerati.
Facebook – Il
fenomeno è semplice. McLuhan
già nel 1956, “Gli strumenti del comunicare”, diceva che l’elettronica avrebbe
privato l’uomo della sua identità e della morale: “Le persone vanno al lavoro
principalmente per leggere”.
Google - Simpaticamente
legge i pezzi sul sito, e ne estrapola le frasi “migliori”, con sicuro fiuto
letterario.
Guerra. Non può
essere “giusta”, se non per una o più delle parti in causa. C.Schmitt, “Il
Leviatano”, p. 84: “La guerra di stati non è né giusta né ingiusta. È un affare
di Stato, e in quanto tale non le occorre essere giusta”. La “buona causa” è
“un concetto discriminatorio di guerra (che) trasforma la guerra d Stati in una
guerra civile internazionale”. Cioè una guerra di tutti contri tutti. Una
guerra “totale”.
“Si è detto”, aggiunge Schmitt, p. 87, “che possono ben
esistere guerre giuste, ma non eserciti giusti”. Non senza ragione sembra
implicare il filosofo del dirotto: “Quando in chiusura del «Principe» Machiavelli
afferma essere giusta la guerra, se è necessaria per l’Italia, e umane («pietose»)
le armi, se in esse riposa l’ultima speranza, tutto ciò suona ancora umanissimo
a paragone della completa oggettività delle grandi macchine il cui
perfezionamento si è realizzato in modo esclusivamente tecnico”. Macchine
statuali e belliche.
Islam – È orientale. Del tipo di cui Goethe disse, nel “Divano
orientale occidentale”, p. ): “L’orientale scopre in tutto l’occasione di
ricordarsi di tutto… Abituato a connettere e a incrociare le cose più lontane,
non si fa alcuno scrupolo di dedurre l’una dall’altra… le cose più contraddittorie”.
Goethe lo rilevava a proposito della lingua, o del
gusto in letteratura – del “buon gusto”, ossia del pudore: “Di ciò che noi
chiamiamo gusto, della separazione cioè del conveniente dallo sconveniente, non
si può assolutamente parlare in quella letteratura”. Da tempo le “Mille e una
notte” non scandalizzano il “nostro gusto”. Ma l’inabilità al principio di non
contraddizione è stata intanto estesa alla “mentalità” islamica (araba), specie
in politica.
All’opposto del
rifiuto c’è un multiculturalismo realista più del re. A Natale del 2008, tra i
presepi che esibivano la moschea, e quelli che eliminavano il Bambinello dalla
capanna, molte famiglie islamiche si sono meravigliate e lamentate dei Natali
poveri, dimessi a scuola. A opere di maestre magari beghine, ma vittime
dell’età dei diritti, dall’algido moralismo cosmopolita, quando non della
stupidità. Come le missionarie che vanno a sputare al loro Cristo sulle ferite
infette della grande miseria africana.
È bastato poco ad
Ahmadinejad per prendersi l’attenzione dei media in tutto il mondo. Il presidente
iraniano è personaggio di poco conto, non rappresentativo, a capo di un paese
che non ha mai registrato un solo episodio di antisemitismo. Ma gli è bastato
dire che Israele sarà cancellata per fare la copertina in tutto il mondo.
C’è estrema
sensibilità, in Italia, in Europa e nell’Occidente, su tutto quanto riguarda
Israele, e su tutto ciò che si richiama all’islam: un senso generale di
rifiuto. Un’avversione del resto non ingiustificata. Per il terrorismo odioso,
dei kamikaze, delle bombe nelle moschee, le chiese e le sinagoghe, nelle scuole,
nei mercati, contro i preti e i cristiani a uno a uno – è qualche secolo che i
preti non ammazzano più nessuno, i cristiani, ma vengono ammazzati. È anche perché
è un genere letterario opportunistico, essendo proficuo, quindi odioso.
Il rinnovamento politico
dell’islam comincia con Khomeini, e ne riflette le ambiguità. La rivoluzione khomeinista
passò come quella dei fiori – un po’ come oggi con le “primavere” arabe. Ma
Khomeini non era un uomo pio, era un politico durissimo. Che passò un accordo
anti-Usa con lo Sdece francese, i servizi segreti. Non un mistico. La ricca
tradizione iraniana anzi dimezzò, anzi “atterzò”, anche la modernità faceva
parte dell’Iran. E la ricca religione di Qom, la razionalità e la fede, ridusse
a “oppio dei popoli”.
C’è distinta una
razionalità nella domanda di Dio, e c’è il trucco, la confusione, la furbizia,
di chi usa la religione come strumento di potere - “oppio dei popoli” poteva
dirla il sarcastico Marx.
Italia - Non sa capitalizzare la sua storia.
Salvatore Scibona, il nuovo John Fante, sta in Italia un
anno e non impara l’italiano.
Centomila studenti americani a Roma, Firenze e nelle altre
città di tradizione universitaria, che non imparano nulla dell’Italia, a parte
la pizza. Non l’italiano. L’Italia comunque non se ne cura, a parte gli affittacamere.
La cittadinanza italiana è difficile da ottenere. Ma non è molto
richiesta. I più, soprattutto asiatici, sono in Italia, magari protetti dalla
chiesa, in attesa di passare in Germania, in Canada o in Inghilterra, terre di
domicilio eletto.
Le vespe che nascono dalla carcassa di un povero cavallo si
dicono progenie di nobile destriero, il favorito di Nettuno, etc. Così gli
“italiani d’oggi”, che si dicono eredi degli immortali antichi romani invece
che dei loro cadaveri. Lessing, “Favole in tre libri”, 38.
Il telefonino lo usa quotidianamente un italiano su due, e
lo usa attraversando la strada, guidando in città e per tornanti, parlando coi
figli: non si vuole perdere neanche la più trascurabile occasione di contatto. L’Italia
è sempre il paese delle piazze, delle passeggiate, dello struscio, del bar
Sport, del contatto continuo, costante. Ma il telefono, già mezzo di contatto,
è in questo uso una barriera. Come se l’italiano (su due) volesse erigere una barriera
attorno a sé, o se ne sentisse attorniato e volesse romperla.
I calciatori Nesta e Totti hanno
deciso nel 2006, a trent’anni, e dopo essere
stati omaggiati di una insperata vittoria al campionato del mondo, di non
giocare mai più nella Nazionale di calcio. Per dedicarsi alle carriere nei
club, dove sono pagati. Due casi unici, in Italia e all’estero. Ma le
competenti autorità non hanno reagito e i due atleti sono amati dopo d’allora come
prima. Senza contraccolpi di popolarità. Senza neanche un rimprovero isolato.
Si moltiplicano da allora invece le
deprecazioni alla Montanelli, l’italiano indignato (“mi vergogno di essere
italiano”). E le solite statistiche europee, che mostrano l’Italia al fondo di
ogni cosa, meno ricca, meno pulita, meno educata, soprattutto in matematica,
meno laica, meno progressista, restia perfino all’eutanasia e perfino meno
bella. E più sprecona, più ladra, più corrotta, più mafiosa, anche se meno
assassina e meno pedofila.
Twitter – A una
ricerca di sei mesi fa, i dieci personaggi più influenti in Italia, a giudicare
da twitter erano nell’ordine: Arianna Ciccone, Andrea Sarubbi, Beppe Grillo,
Beppe Severgnini,
Giuseppe Civati,
Giuliano Pisapia,
Luca Sofri,
Gianni Riotta,
Roberto Saviano,
Sandro Ruotolo.
Civati è uno che si voleva candidare alle
primarie del Pd. Andrea Sarubbi è il deputato Pd “metà uomo metà twitter”. Arianna
Ciccone ha un Festival internazionale del giornalismo.
Cinque giornalisti dunque, sei con Saviano,
e quattro politici.
La ricerca è stata effettuata da Klout
sui personaggi più importanti del G 20. È per questo che l’Italia è poco
rappresentata internazionalmente? Tutti opinion
makers, gli italiani di Twitter, ma di che cosa?
astolfo@ antiit.eu