Giuseppe Leuzzi
Alle primarie del Pd solo in Calabria ha vinto la candidatura
una donna, Enza Bruno Bossio. Non una velina peraltro, non una raccomandata.
Per il noto maschilismo?
Tre figli superdotati, nel senso dei soldi, 29
anni di convivenza, e una separazione con 100 mila euro al giorni di alimenti.
Che a lei non bastano. È tutto dire su Berlusconi che Milano ci impone.
Il fratello di
Emiliano, giudice-sindaco-proconsole di Bari, perde le primarie per la
candidatura sicura nel Pd. È la prima sconfitta di un fratello.
I fratelli restano
fortissimi al Sud, e di più le sorelle, specie quelle dei giudici. Sono forti a
sinistra. Il galantomismo non è morto e si è spostato a sinistra?
L’ammodernamento della
Milano-Torino, 127 km., in piano, senza gallerie, è in corso da dieci anni.
Senza scandalo. L’ammodernamento della Salerno-Reggio Calabra, 449 km., di cui
un terzo su viadotti e in galleria, il resto in andamento montuoso, è in corso
da quattordici anni. Con grave scandalo. Non c’è giornale o giornalista che non
vi si cimenti. Periodicamente.
Stanislao Nievo,
pronipote di Ippolito Nievo, al quale si devono alcune delle pagine antimeridionali più prevenute nelle sue
“Impressioni di Sicilia”, diventa nella voce wikipedia di Corrado Alvaro
“pronipote di Alvaro”: “Il Parco Nazionale dell’Aspromonte, congiuntamente con
Stanislao Nievo (pronipote di Alvaro), ha creato il Parco Letterario «Corrado
Alvaro»”.
Un lapsus. Fra gli
innumeri protagonismi del pronipote, scrittore, regista, giornalista,
produttore, poeta, coautore di “Mondo cane”, ci fu la promozione dei Parchi
Letterari. Ma non c’è mai limite al peggio.
Antimafia
Un ricordo sia concesso, seppure amaro, di Antonio
Caponnetto, a dieci anni dalla morte, più o meno (il 6 dicembre 2002), con gli
appunti di un evento per lui memorabile:
“È di venerdì, questo 6
settembre 1996, di un anno bisestile, che Catania e Palermo conferiscono la
cittadinanza onoraria a Antonino Caponnetto, il giudice di Caltanissetta che
prese coraggiosamente la direzione del pool antimafia dell’Ufficio Istruzione
del Tribunale di Palermo dopo l’autobomba che dilaniò Rocco Chinnici, l’eroico
suo predecessore. Chinnici aveva garantito l’attività investigativa di Giovanni
Falcone, colpendo per la prima volta la mafia al cuore, Caponnetto ne
perfezionò l’opera. La cerimonia si tiene oggi perché è il compleanno di
Caponnetto, che fa 75 anni.
“La cerimonia si tiene a palazzo degli Elefanti, che copre il lato Nord
della piazza Duomo. Sulla quale confluiscono le grandi strade di Catania, la
via Garibaldi, la via Vittorio Emanuele, e sulla sinistra del palazzo la
monumentale via Etnea, che apre la città alla vista del vulcano. Dopo la quale
si erge sulla piazza la cattedrale di Sant’Agata, patrona della città. Lo
scenario è degno.
“Siamo in piazza di buon’ora, che è come si prevedeva
ancora vuota. Ne approfittiamo per una sosta al caffè. Camerieri, cassiera e
baristi non sanno nulla della cerimonia, ma non vuol dire. Quando usciamo la
piazza è ancora vuota, anche se è l’ora ormai della cerimonia, le sette della
sera, quasi buio. La piazza è piena di macchine, a cerchi concentrici col muso
attorno alla fontana dell’Elefante, il simbolo
di Catania, un elefante in pietra lavica che tiene un obelisco – detta “u
Liotru”, forse da Eliodoro, un nobile che tentò di farsi vescovo.
“Siamo la sola presenza, le scorte ci guardano.
Anche gli autisti, che stanno in gruppetti, ma con meno insistenza, loro sono abituati
alle attese. Gli ingressi sulla via Etnea , via Vittorio Emanuele e via
Garibaldi sono transennate alle auto. I catanesi a piedi concludono la
passeggiata sulla via Etnea e tornano indietro, guardando all’Etna.
“Le
scorte ci guardano con sospetto. Non siamo capitati a caso, infatti. Avendo letto
della doppia cerimonia per Caponnetto, la curiosità era insorta di vedere come
queste funzionano, di partecipare in qualche modo. Molta gente importante è
prevista: i sindaci Bianco e Orlando, il sindaco
di Firenze Primicerio, il procuratore della Repubblica di Palermo Giancarlo
Caselli, il giudice deputato Giuseppe Ayala, Rita Borsellino, la sorella del
giudice. E ci devono essere, le
macchine blu testimoniano che ci sono. Ce ne saranno una cinquantina – il conto
è impossibile perché il parcheggio non è ordinato. Degli autisti e delle
scorte. Tutti uomini, tutti grigi, tutti silenziosi. Parlano cioè, fumando, ma
il silenzio incombe.
“Alla
domanda se quella è la piazza della cerimonia, lo sguardo più insistente si
muove sprezzante con caratteristico cenno del capo, in basso e poi in alto a
sinistra, a indicare la finestre illuminate del palazzo municipale. E lì la
cerimonia dev’essere in corso: al primo piano del palazzo del Municipio dalle
grandi finestre chiuse contorni di luce barbagliano. Qualche auto ritardataria
entra nel cortile del palazzo, e poi lentamente ne esce. Le Autorità si
celebrano al chiuso.
“Il
cenno dello sbirro è venuto con non diminuito disprezzo verso l’alto. E si
capisce: lo sbirro non difende niente, disprezza tutto, il suo obbligo di
fedeltà è al suo personale codice dell’onore. Lo stesso fa l’antimafia: come lo
sbirro, antagonizza. Essendo una posizione di potere, la si direbbe una nomenklatura: Bianco, Orlando. uniti
nella lotta”.
Le due Napoli
È a Napoli la stazione
della metropolitana più bella d’Europa secondo i giornali inglesi, la fermata
Toledo, nel quartiere San Giuseppe. Progettata dall’architetto catalano Oscar
Tusquets Blanca, ha le scale mobili illuminate dal di sotto, una Galleria del
Mare di Bob Wilson e due grandi mosaici di William Kentridge. Un’altra stazione della metropolitana di Napoli figura tra le più
belle d’Europa, la Materdei, nell’omonimo rione, opera dell’architetto
Alessandro Mendini.
Uscendo, ci s’imbatte
normalmente in uno scippo, e si può finire testimoni di un assassinio, a
freddo, a pistolettate. Sono due mondi separati, non interagiscono l’uno
sull’altro. L’assassino non ha occhio per l’opulenza estetica (classista,
politica), il testimone è imperturbato dal delitto. È il proprio della civiltà
metropolitana, i mondi accostati e non interagenti.
Studioso di Cuoco, lo
storico Antonino De Francesco trova ricorrente (“La palla al piede. Una storia
del pregiudizio antimeridionale”) il topos
dei “due popoli napoletani che vivevano l’uno accanto all’altro, senza nulla
condividere”, che lo storico e rivoluzionario denunciava già nel 1801, nel
“Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli”. Di due popoli che “aveano diverse
idee, diversi costumi e finanche due lingue diverse”, divise anche “per due gradi
di clima”…. Due nazioni che il pubblicista e politico reggino Rocco de Zerbi
dirà “l’ostrica e lo scoglio” (“La miseria di Napoli”, in “La Nuova Antologia”,
15 dicembre 1879)
Napoli iperattiva iperliberista
Lo stereotipo vuole Napoli
lazzarona, scansafatiche. Mentre è la città che la lavora di più, tutti i
giorni, a tutte le ore, si può dire con frenesia.
In termini di
modernità, si può dire Napoli la maggiore area capitalistica. Di capitalismo
più diffuso e più concorrenziale. D’imprenditoria anzi capillare. E caparbia,
che si nega per meglio non pagare i tributi, sforzo sovrumano raddoppiato dalla
leadership costantemente rinnovata
nel contrabbando e l’industria dei falsi, la cosiddetta economia sommersa, che
è più conveniente ma dove la concorrenza è aspra.
Incomparabile è l’organizzazione del mercato
parallelo, di beni copiati o rubati, altrettanto dettagliato, se non di più,
del mercato legale. Con filosofie manageriali flessibili: integrazione
verticale, orizzontale, a stella, per contiguità, monopolismo. E una rete
d’incroci, marciapiedi, ponti, spiagge, uffici, stazioni, sottopassaggi, per un
esercito di ambulanti clandestini, senza identità o senza licenza, che sono
tanto più difficili da occultare in quanto il magazzino si portano dietro in
sacchi e borsoni. Un mercato senza deposito e senza rese è il sogno di ogni
mercante, ma tutto è più arduo e gravoso nel mercato illegale. È una fatica cui
si sottostà non tanto per il guadagno, che è sempre poco, benché esentasse, quanto
per il bisogno di creare e distruggere in umbra, anche la propria
vita.
È stata
la Germania fino a non molti anni fa la fabbrica della contraffazione – allora si
diceva falsificazione. E della vendita della copia, a prezzo sempre imbattibile.
Di tutto, tessuti, tappeti, pellicce, tendaggi, calzature, unguenti di ogni
tipo miracolosi. Compresi i famosi acciai di Solingen che si rompevano al primo
urto, con le lamette da barba che tante
facce hanno sfigurato. Un mercato attivo ancora negli anni 1970. Senza gusto e
senza qualità nella copia: maestria, tinteggiatura, adeguamento al gusto
(moda), varietà. Niente a che vedere con la capacità di Napoli, forte della sua
tradizione di lavoro à façon, un’arte
prima che un lavoro, anche se l’incredibile Saviano ne ha fatto ludibrio (“tutto
è camorra”). Con materiali poveri anche alla presentazione. Ma sempre con supponenza,
e nel giusto diritto: nessun tedesco diceva ai tedeschi che erano furbi e
ladri.
Napoli
Ma è vero che c’è
l’indolenza. Si crea un decalogo della pizza, a Padova.
La migliore pizza,
attesta il “Gambero rosso”, si fa lì vicino, a Verona.
A Napoli
lo squallore non è la povertà ma la perdita della grazia naturale. Dote
visibile nell’arredamento della terra, i richiami di luce, la disposizione
degli spazi (palazzi, piazze, strade, giardini), l’apparente naturalezza di
ogni manufatto, dal bosco al fiore, dalla piazza al basso. In città, sul
Vesuvio, nei Campi Flegrei, nella costiera, nelle isole – fin dove Napoli
arrivava.
È una
perdita del dopoguerra? Di ottant’anni fa? Di cent’anni fa? Per quella
invasione? O mutazione genetica? A Napoli è arrivata l’Italia.
Si può avere a Napoli
un cardinale il cui fratello è usuraio. E nei pressi un vescovo vicario con un
fratello camorrista e truffatore – soprannominato non casualmente “il
Milanese”. Entrambi i prelati militando sul fronte anti-usura.
“Il Ciuccio come
simbolo del Napoli nasce nel 1926-27”, spiega Marcio Sconcerti nella “Storia
delle idee del calcio”, p. 66, prima stagione a girone unico. E non è
casualmente un asino: dopo 17 partite il Napoli ha un punto, cioè un pareggio e
sedici sconfitte. La squadra diventa allora ‘o
ciuccio ‘e Fichella, “che, come
da proverbio, sopportò novantanove pesi finché all’ultimo morì”.
Si vuole ora il simbolo
della città?
La Corte d’Appello di Napoli condanna Giraudo,
ex amministratore delegato della Juventus, per essere stato a capo di una
congiura intesa a salvare la Fiorentina e la Lazio dalla retrocessione. Senza
che nessuno della Fiorentina o della Lazio sia colpevole.
Napoli sempre è luogo di meraviglie.
leuzzi@antiit.eu