giovedì 3 gennaio 2013

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (157)

Giuseppe Leuzzi

Alle primarie del Pd solo in Calabria ha vinto la candidatura una donna, Enza Bruno Bossio. Non una velina peraltro, non una raccomandata. Per il noto maschilismo?

Tre figli superdotati, nel senso dei soldi, 29 anni di convivenza, e una separazione con 100 mila euro al giorni di alimenti. Che a lei non bastano. È tutto dire su Berlusconi che Milano ci impone.

Il fratello di Emiliano, giudice-sindaco-proconsole di Bari, perde le primarie per la candidatura sicura nel Pd. È la prima sconfitta di un fratello.
I fratelli restano fortissimi al Sud, e di più le sorelle, specie quelle dei giudici. Sono forti a sinistra. Il galantomismo non è morto e si è spostato a sinistra?

L’ammodernamento della Milano-Torino, 127 km., in piano, senza gallerie, è in corso da dieci anni. Senza scandalo. L’ammodernamento della Salerno-Reggio Calabra, 449 km., di cui un terzo su viadotti e in galleria, il resto in andamento montuoso, è in corso da quattordici anni. Con grave scandalo. Non c’è giornale o giornalista che non vi si cimenti. Periodicamente.

Stanislao Nievo, pronipote di Ippolito Nievo, al quale si devono alcune delle pagine  antimeridionali più prevenute nelle sue “Impressioni di Sicilia”, diventa nella voce wikipedia di Corrado Alvaro “pronipote di Alvaro”: “Il Parco Nazionale dell’Aspromonte, congiuntamente con Stanislao Nievo (pronipote di Alvaro), ha creato il Parco Letterario «Corrado Alvaro»”.
Un lapsus. Fra gli innumeri protagonismi del pronipote, scrittore, regista, giornalista, produttore, poeta, coautore di “Mondo cane”, ci fu la promozione dei Parchi Letterari. Ma non c’è mai limite al peggio.

Antimafia
Un ricordo sia concesso, seppure amaro, di Antonio Caponnetto, a dieci anni dalla morte, più o meno (il 6 dicembre 2002), con gli appunti di un evento per lui memorabile:
“È di venerdì, questo 6 settembre 1996, di un anno bisestile, che Catania e Palermo conferiscono la cittadinanza onoraria a Antonino Caponnetto, il giudice di Caltanissetta che prese coraggiosamente la direzione del pool antimafia dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo dopo l’autobomba che dilaniò Rocco Chinnici, l’eroico suo predecessore. Chinnici aveva garantito l’attività investigativa di Giovanni Falcone, colpendo per la prima volta la mafia al cuore, Caponnetto ne perfezionò l’opera. La cerimonia si tiene oggi perché è il compleanno di Caponnetto, che fa 75 anni.
“La cerimonia si tiene a  palazzo degli Elefanti, che copre il lato Nord della piazza Duomo. Sulla quale confluiscono le grandi strade di Catania, la via Garibaldi, la via Vittorio Emanuele, e sulla sinistra del palazzo la monumentale via Etnea, che apre la città alla vista del vulcano. Dopo la quale si erge sulla piazza la cattedrale di Sant’Agata, patrona della città. Lo scenario è degno.
 “Siamo in piazza di buon’ora, che è come si prevedeva ancora vuota. Ne approfittiamo per una sosta al caffè. Camerieri, cassiera e baristi non sanno nulla della cerimonia, ma non vuol dire. Quando usciamo la piazza è ancora vuota, anche se è l’ora ormai della cerimonia, le sette della sera, quasi buio. La piazza è piena di macchine, a cerchi concentrici col muso attorno alla fontana dell’Elefante, il simbolo di Catania, un elefante in pietra lavica che tiene un obelisco – detta “u Liotru”, forse da Eliodoro, un nobile che tentò di farsi vescovo.
Siamo la sola presenza, le scorte ci guardano. Anche gli autisti, che stanno in gruppetti, ma con meno insistenza, loro sono abituati alle attese. Gli ingressi sulla via Etnea , via Vittorio Emanuele e via Garibaldi sono transennate alle auto. I catanesi a piedi concludono la passeggiata sulla via Etnea e tornano indietro, guardando all’Etna.
“Le scorte ci guardano con sospetto. Non siamo capitati a caso, infatti. Avendo letto della doppia cerimonia per Caponnetto, la curiosità era insorta di vedere come queste funzionano, di partecipare in qualche modo. Molta gente importante è prevista: i sindaci Bianco e Orlando, il sindaco di Firenze Primicerio, il procuratore della Repubblica di Palermo Giancarlo Caselli, il giudice deputato Giuseppe Ayala, Rita Borsellino, la sorella del giudice. E ci devono essere, le macchine blu testimoniano che ci sono. Ce ne saranno una cinquantina – il conto è impossibile perché il parcheggio non è ordinato. Degli autisti e delle scorte. Tutti uomini, tutti grigi, tutti silenziosi. Parlano cioè, fumando, ma il silenzio incombe.
“Alla domanda se quella è la piazza della cerimonia, lo sguardo più insistente si muove sprezzante con caratteristico cenno del capo, in basso e poi in alto a sinistra, a indicare la finestre illuminate del palazzo municipale. E lì la cerimonia dev’essere in corso: al primo piano del palazzo del Municipio dalle grandi finestre chiuse contorni di luce barbagliano. Qualche auto ritardataria entra nel cortile del palazzo, e poi lentamente ne esce. Le Autorità si celebrano al chiuso.
“Il cenno dello sbirro è venuto con non diminuito disprezzo verso l’alto. E si capisce: lo sbirro non difende niente, disprezza tutto, il suo obbligo di fedeltà è al suo personale codice dell’onore. Lo stesso fa l’antimafia: come lo sbirro, antagonizza. Essendo una posizione di potere, la si direbbe una nomenklatura: Bianco, Orlando. uniti nella lotta”.

Le due Napoli
È a Napoli la stazione della metropolitana più bella d’Europa secondo i giornali inglesi, la fermata Toledo, nel quartiere San Giuseppe. Progettata dall’architetto catalano Oscar Tusquets Blanca, ha le scale mobili illuminate dal di sotto, una Galleria del Mare di Bob Wilson e due grandi mosaici di William Kentridge. Un’altra stazione della metropolitana di Napoli figura tra le più belle d’Europa, la Materdei, nell’omonimo rione, opera dell’architetto Alessandro Mendini.
Uscendo, ci s’imbatte normalmente in uno scippo, e si può finire testimoni di un assassinio, a freddo, a pistolettate. Sono due mondi separati, non interagiscono l’uno sull’altro. L’assassino non ha occhio per l’opulenza estetica (classista, politica), il testimone è imperturbato dal delitto. È il proprio della civiltà metropolitana, i mondi accostati e non interagenti.
Studioso di Cuoco, lo storico Antonino De Francesco trova ricorrente (“La palla al piede. Una storia del pregiudizio antimeridionale”) il topos dei “due popoli napoletani che vivevano l’uno accanto all’altro, senza nulla condividere”, che lo storico e rivoluzionario denunciava già nel 1801, nel “Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli”. Di due popoli che “aveano diverse idee, diversi costumi e finanche due lingue diverse”, divise anche “per due gradi di clima”…. Due nazioni che il pubblicista e politico reggino Rocco de Zerbi dirà “l’ostrica e lo scoglio” (“La miseria di Napoli”, in “La Nuova Antologia”, 15 dicembre 1879)

Napoli iperattiva iperliberista
Lo stereotipo vuole Napoli lazzarona, scansafatiche. Mentre è la città che la lavora di più, tutti i giorni, a tutte le ore, si può dire con frenesia.
In termini di modernità, si può dire Napoli la maggiore area capitalistica. Di capitalismo più diffuso e più concorrenziale. D’imprenditoria anzi capillare. E caparbia, che si nega per meglio non pagare i tributi, sforzo sovrumano raddoppiato dalla leadership costantemente rinnovata nel contrabbando e l’industria dei falsi, la cosiddetta economia sommersa, che è più conveniente ma dove la concorrenza è aspra.
Incomparabile è l’organizzazione del mercato parallelo, di beni copiati o rubati, altrettanto dettagliato, se non di più, del mercato legale. Con filosofie manageriali flessibili: integrazione verticale, orizzontale, a stella, per contiguità, monopolismo. E una rete d’incroci, marciapiedi, ponti, spiagge, uffici, stazioni, sottopassaggi, per un esercito di ambulanti clandestini, senza identità o senza licenza, che sono tanto più difficili da occultare in quanto il magazzino si portano dietro in sacchi e borsoni. Un mercato senza deposito e senza rese è il sogno di ogni mercante, ma tutto è più arduo e gravoso nel mercato illegale. È una fatica cui si sottostà non tanto per il guadagno, che è sempre poco, benché esentasse, quanto per il bisogno di creare e distruggere in umbra, anche la propria vita.


È stata la Germania fino a non molti anni fa la fabbrica della contraffazione – allora si diceva falsificazione. E della vendita della copia, a prezzo sempre imbattibile. Di tutto, tessuti, tappeti, pellicce, tendaggi, calzature, unguenti di ogni tipo miracolosi. Compresi i famosi acciai di Solingen che si rompevano al primo urto, con  le lamette da barba che tante facce hanno sfigurato. Un mercato attivo ancora negli anni 1970. Senza gusto e senza qualità nella copia: maestria, tinteggiatura, adeguamento al gusto (moda), varietà. Niente a che vedere con la capacità di Napoli, forte della sua tradizione di lavoro à façon, un’arte prima che un lavoro, anche se l’incredibile Saviano ne ha fatto ludibrio (“tutto è camorra”). Con materiali poveri anche alla presentazione. Ma sempre con supponenza, e nel giusto diritto: nessun tedesco diceva ai tedeschi che erano furbi e ladri.   

Napoli
Ma è vero che c’è l’indolenza. Si crea un decalogo della pizza, a Padova.
La migliore pizza, attesta il “Gambero rosso”, si fa lì vicino, a Verona.
A Napoli lo squallore non è la povertà ma la perdita della grazia naturale. Dote visibile nell’arredamento della terra, i richiami di luce, la disposizione degli spazi (palazzi, piazze, strade, giardini), l’apparente naturalezza di ogni manufatto, dal bosco al fiore, dalla piazza al basso. In città, sul Vesuvio, nei Campi Flegrei, nella costiera, nelle isole – fin dove Napoli arrivava.
È una perdita del dopoguerra? Di ottant’anni fa? Di cent’anni fa? Per quella invasione? O mutazione genetica? A Napoli è arrivata l’Italia.

Si può avere a Napoli un cardinale il cui fratello è usuraio. E nei pressi un vescovo vicario con un fratello camorrista e truffatore – soprannominato non casualmente “il Milanese”. Entrambi i prelati militando sul fronte anti-usura.

“Il Ciuccio come simbolo del Napoli nasce nel 1926-27”, spiega Marcio Sconcerti nella “Storia delle idee del calcio”, p. 66, prima stagione a girone unico. E non è casualmente un asino: dopo 17 partite il Napoli ha un punto, cioè un pareggio e sedici sconfitte. La squadra diventa allora ‘o ciuccio ‘e Fichella, “che, come da proverbio, sopportò novantanove pesi finché all’ultimo morì”.
Si vuole ora il simbolo della città?

La Corte d’Appello di Napoli condanna Giraudo, ex amministratore delegato della Juventus, per essere stato a capo di una congiura intesa a salvare la Fiorentina e la Lazio dalla retrocessione. Senza che nessuno della Fiorentina o della Lazio sia colpevole.
Napoli sempre è luogo di meraviglie.

leuzzi@antiit.eu

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