Mafia
“Son pentito, e non ascolto”, dice un personaggio mozartiano, “che
i latrati del mio cor”.
Tutto è mafia per il mafioso.
Non è una novità, sa di sentito dire. Ma non si
tiene mai a mente.
Si leggono le cronache locali al Sud, che
sempre indulgono ai delitti, respirando e quasi gioendo quando i delitti non
sono di mafia: truffe, furti, liti, perfino i delitti passionali. La normalità
si respira col delitto “normale”, perché la virtù è resa impossibile dall’antimafia,
irrespirabile. Non c’è altra normalità, non ci concedono nulla. Non la partita
di calcio, non il gelato, non la struncatura, non i bagni di mare, e nemmeno i
funghi in montagna: tutto è mafia. Anche il ballo è mafia, la tarantella: ci
sono giornalisti che hanno fatto carriera spiegando la tarantella come il ballo
della mafia. Per non dire della Madonna: in Calabria, per esempio, o a Trapani,
è mafiosa anche lei – a Palermo no, lo è santa Rosalia.
I meridionali sono tutti mafiosi come i
milanesi sono tutti ladri? Anche se, poveretti, i milanesi sono vittime delle
proprie lodi: “In nessun altro posto si fanno i soldi come a Milano”. A spese
di chi?
Il “Corriere della sera” fotografa venerdì il
“documento” che ha avviato l’inchiesta Stato-mafia. È una lettera anonima. Presentata
come l’opera di una mafia trattativista. Scritta da un avvocato o giudice. Ma
il redattore Bianconi non sembra saperlo: “L’elaborato”, scrive, “pare
concepito da qualcuno che faceva parte dell’ala anti-stragista di Cosa Nostra”.
L’ala? Anti-stragista? Che avvilimento!
Sullo stesso “Corriere della sera” lo stesso
Bianconi dedica oggi una pagina al povero Riina. Nella sua triste carcerazione
a Opera. A Riina! Prodromo di un altro bel libro alla Biagi, che eroicizzi
Riina, una belva?
La fiction
di Bova può debuttare in tv con accuse urlate infamanti di un ex capitano dei
CC, ora colonnello, alla Pubblica Accusa e al Tribunale che lo giudicano come
mafioso di complemento. E far vedere un generale dei CC che sacrifica il
colonnello per tenersi buoni i giudici. Senza reazione, non dei giudici né dei
Carabinieri – nemmeno una perquisizione a Berlusconi (la serie va su Canale 5).
Troppe code di paglia?
Raoul Bova può dire del cap. “Ultimo” che
impersona in tv: “Un simbolo che non sono riusciti a infangare”. Loro, i
giudici di Palermo. Può dirlo un attore, che deve stare attento a non
indisporre il pubblico, nemmeno parzialmente, e non un militante. Perché è
vero, per lui e per tutti?
Torna a maturare la frattura tra sbirri e
giudici degli anni di piombo, i giudici che favorivano i terroristi – che poi
si rivelò vera?
Per trovare la cocaina e la morfina nelle pieghe
delle mafie bisogna risalire al 2004. A un saggio di Letizia Paoli, l’autrice
di “Fratelli di sangue”, sulla rivista del Max Planck Institute for Foreign and
International Criminal Law, di Friburgo in Germania, presso il quale la
studiosa all’epoca lavorava. Le forniture internazionali, la distribuzione in Italia,
i canali.
In Italia sono vent’anni che si persegue solo il
caffè dei mafiosi, o loro prossimi, con i politici locali, o i loro prossimi. Non
il caffè bevuto insieme ma la presenza nello stesso caffè- roba per cui i
confidenti diventano meritori senza rischiare niente.
La mafia virtuosa
A trent’anni dalla mafia
imprenditrice, l’illuminante nuova categoria di Pino Arlacchi e del Procuratore
di Palmi Cordova, una nuova figura fa emergere Enzo Ciconte, forse non volendo,
della mafia virtuosa. Sul “Corriere della sera” di venerdì 4. In cui cioè
personaggi sospettati di mafia si segnalano non
per azioni mafiose, intimidazioni, violenze, ma per capacità
organizzativa e politica. Ciconte segnala due casi. Uno al processo in
Lombardia contro la ‘ndrangheta, uno dei tanti processi avviati da Reggio
Calabria dal Procuratore del suo partito, in cui i responsabili del colosso
olandese della logistica Tnt hanno testimoniato in Tribunale che con le imprese
ora accusate di mafia l’azienda era migliorata da tutti i punti di vista.
L’altro caso riguarda Leinì, dove l’ex sindaco, imputato di associazione con la
‘ndrangheta, è difeso dal parroco e dalla popolazione senza eccezioni.
Ciconte inorridisce ai due
episodi. Lo studioso mantiene come molti la pregiudiziale del vecchio Pci,
nella società e nella politica, del “noi e loro”, aristocratica e quindi
allettante. Che al Sud soffre però di una doppia debolezza. Il “noi e loro”
presuppone una difesa robusta del “noi” da parte dell’apparato repressivo,
militare e giudiziario, e non l’indifferenza, come è stato ed è, e anzi un favoreggiamento surrettizio, per
l’inazione e per l’uso disinvolto dei confidenti. Sul piano politico presuppone
inoltre un fronte unico degli onesti, e non l’antagonizzazione di tutti gli
altri, virulenta in passato ma ancora praticata dagli ex Pci, e sottostante
alla riflessione di Ciconte. A danno di democristiani, liberali, berlusconiani,
commercianti, appaltatori, piccoli proprietari (si legge ancora nella sociologia
di partito del latifondo…).
Il Sud è
la campagna che si rifiuta
Il “Sud” è da qualche decennio per alcuni
inviati e per molti coniugi di matrimoni misti la scoperta che la campagna
puzza. Che il contadino è sporco. Che si emigra. Che i genitori sono violenti.
Che la famiglia può diseducare. C’è nella retorica dell’ecocompatibilità la
lode della campagna, ma al dunque solo i pochi ricchissimi con ville\vigne
superservite, moderni castellani, se ne compiacciono, per gli altri è fatica e
sudore, senza termine.
Il matrimonio misto mette in contatto la parte
estranea con la campagna al Sud. Il matrimonio misto è urbano: con un lui che è
uno statale oppure un ingegnere o rappresentante industriale, con una lei che è
o una esponente-figlia bene della città meridionale dove lui è distaccato, oppure
una signorina, non necessariamente bene, della città del Nord dove lui è stato
portato dal lavoro. Sempre però, tramite il consorte meridionale, l’altro
coniuge viene in contato con la campagna. Ne scopre le bruttezze – la campagna
è difficile da apprezzare, la sua bellezza è nascosta. La sporcizia, cioè,
anche nella pulizia costante, il disordine, la lentezza, la diffidenza, o l’eccessiva
familiarità. Anche il dialetto. La furberia. Tutto questo è possibile trovare
nella campagna, dove essa residua, anche al Nord: il dialetto, la furberia, e
anche la sporcizia. Ma concorre a fissare l’immagine del Sud:
- Non è del Sud? – dirà il\la consorte non
meridionale ogni qualvolta nella gita domenica fuori porta, o magari nella sua
propria città, sentirà arrossati contadini argomentare con gorgogli e arruffii.
leuzzi@antiit.eu
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