domenica 13 gennaio 2013

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (158)

Giuseppe Leuzzi

Mafia
“Son pentito, e non  ascolto”, dice un personaggio mozartiano, “che i latrati del mio cor”.

Tutto è mafia per il mafioso.
Non è una novità, sa di sentito dire. Ma non si tiene mai a mente.

Si leggono le cronache locali al Sud, che sempre indulgono ai delitti, respirando e quasi gioendo quando i delitti non sono di mafia: truffe, furti, liti, perfino i delitti passionali. La normalità si respira col delitto “normale”, perché la virtù è resa impossibile dall’antimafia, irrespirabile. Non c’è altra normalità, non ci concedono nulla. Non la partita di calcio, non il gelato, non la struncatura, non i bagni di mare, e nemmeno i funghi in montagna: tutto è mafia. Anche il ballo è mafia, la tarantella: ci sono giornalisti che hanno fatto carriera spiegando la tarantella come il ballo della mafia. Per non dire della Madonna: in Calabria, per esempio, o a Trapani, è mafiosa anche lei – a Palermo no, lo è santa Rosalia.

I meridionali sono tutti mafiosi come i milanesi sono tutti ladri? Anche se, poveretti, i milanesi sono vittime delle proprie lodi: “In nessun altro posto si fanno i soldi come a Milano”. A spese di chi?

Il “Corriere della sera” fotografa venerdì il “documento” che ha avviato l’inchiesta Stato-mafia. È una lettera anonima. Presentata come l’opera di una mafia trattativista. Scritta da un avvocato o giudice. Ma il redattore Bianconi non sembra saperlo: “L’elaborato”, scrive, “pare concepito da qualcuno che faceva parte dell’ala anti-stragista di Cosa Nostra”. L’ala? Anti-stragista? Che avvilimento!

Sullo stesso “Corriere della sera” lo stesso Bianconi dedica oggi una pagina al povero Riina. Nella sua triste carcerazione a Opera. A Riina! Prodromo di un altro bel libro alla Biagi, che eroicizzi Riina, una belva?

La fiction di Bova può debuttare in tv con accuse urlate infamanti di un ex capitano dei CC, ora colonnello, alla Pubblica Accusa e al Tribunale che lo giudicano come mafioso di complemento. E far vedere un generale dei CC che sacrifica il colonnello per tenersi buoni i giudici. Senza reazione, non dei giudici né dei Carabinieri – nemmeno una perquisizione a Berlusconi (la serie va su Canale 5). Troppe code di paglia?

Raoul Bova può dire del cap. “Ultimo” che impersona in tv: “Un simbolo che non sono riusciti a infangare”. Loro, i giudici di Palermo. Può dirlo un attore, che deve stare attento a non indisporre il pubblico, nemmeno parzialmente, e non un militante. Perché è vero, per lui e per tutti?
Torna a maturare la frattura tra sbirri e giudici degli anni di piombo, i giudici che favorivano i terroristi – che poi si rivelò vera?

Per trovare la cocaina e la morfina nelle pieghe delle mafie bisogna risalire al 2004. A un saggio di Letizia Paoli, l’autrice di “Fratelli di sangue”, sulla rivista del Max Planck Institute for Foreign and International Criminal Law, di Friburgo in Germania, presso il quale la studiosa all’epoca lavorava. Le forniture internazionali, la distribuzione in Italia, i canali.
In Italia sono vent’anni che si persegue solo il caffè dei mafiosi, o loro prossimi, con i politici locali, o i loro prossimi. Non il caffè bevuto insieme ma la presenza nello stesso caffè- roba per cui i confidenti diventano meritori senza rischiare niente.  

La mafia virtuosa
A trent’anni dalla mafia imprenditrice, l’illuminante nuova categoria di Pino Arlacchi e del Procuratore di Palmi Cordova, una nuova figura fa emergere Enzo Ciconte, forse non volendo, della mafia virtuosa. Sul “Corriere della sera” di venerdì 4. In cui cioè personaggi sospettati di mafia si segnalano non  per azioni mafiose, intimidazioni, violenze, ma per capacità organizzativa e politica. Ciconte segnala due casi. Uno al processo in Lombardia contro la ‘ndrangheta, uno dei tanti processi avviati da Reggio Calabria dal Procuratore del suo partito, in cui i responsabili del colosso olandese della logistica Tnt hanno testimoniato in Tribunale che con le imprese ora accusate di mafia l’azienda era migliorata da tutti i punti di vista. L’altro caso riguarda Leinì, dove l’ex sindaco, imputato di associazione con la ‘ndrangheta, è difeso dal parroco e dalla popolazione senza eccezioni.
Ciconte inorridisce ai due episodi. Lo studioso mantiene come molti la pregiudiziale del vecchio Pci, nella società e nella politica, del “noi e loro”, aristocratica e quindi allettante. Che al Sud soffre però di una doppia debolezza. Il “noi e loro” presuppone una difesa robusta del “noi” da parte dell’apparato repressivo, militare e giudiziario, e non l’indifferenza, come è stato ed è, e anzi un favoreggiamento surrettizio, per l’inazione e per l’uso disinvolto dei confidenti. Sul piano politico presuppone inoltre un fronte unico degli onesti, e non l’antagonizzazione di tutti gli altri, virulenta in passato ma ancora praticata dagli ex Pci, e sottostante alla riflessione di Ciconte. A danno di democristiani, liberali, berlusconiani, commercianti, appaltatori, piccoli proprietari (si legge ancora nella sociologia di partito del latifondo…).
 
Il Sud è la campagna che si rifiuta
Il “Sud” è da qualche decennio per alcuni inviati e per molti coniugi di matrimoni misti la scoperta che la campagna puzza. Che il contadino è sporco. Che si emigra. Che i genitori sono violenti. Che la famiglia può diseducare. C’è nella retorica dell’ecocompatibilità la lode della campagna, ma al dunque solo i pochi ricchissimi con ville\vigne superservite, moderni castellani, se ne compiacciono, per gli altri è fatica e sudore, senza termine.  
Il matrimonio misto mette in contatto la parte estranea con la campagna al Sud. Il matrimonio misto è urbano: con un lui che è uno statale oppure un ingegnere o rappresentante industriale, con una lei che è o una esponente-figlia bene della città meridionale dove lui è distaccato, oppure una signorina, non necessariamente bene, della città del Nord dove lui è stato portato dal lavoro. Sempre però, tramite il consorte meridionale, l’altro coniuge viene in contato con la campagna. Ne scopre le bruttezze – la campagna è difficile da apprezzare, la sua bellezza è nascosta. La sporcizia, cioè, anche nella pulizia costante, il disordine, la lentezza, la diffidenza, o l’eccessiva familiarità. Anche il dialetto. La furberia. Tutto questo è possibile trovare nella campagna, dove essa residua, anche al Nord: il dialetto, la furberia, e anche la sporcizia. Ma concorre a fissare l’immagine del Sud:
- Non è del Sud? – dirà il\la consorte non meridionale ogni qualvolta nella gita domenica fuori porta, o magari nella sua propria città, sentirà arrossati contadini argomentare con gorgogli e arruffii.

leuzzi@antiit.eu

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