D’Arrigo ventenne ha scrittura e tematiche già definite. Poi
stravolte, nella lunga macerazione del “capolavoro”, qui perfino calligrafico.
Pulito, preciso, seppure con una sintassi avventurosa – compreso il flusso poi
bernhardtiano, in un paio di mezze pagine. “A Taormina con la nonna” l’ultimo
dei quattro pezzi della piccola raccolta, è da antologia. Licantropo è già nel
racconto del titolo - seppure appesantito da un comico tradizionale – “la
«mostruosa» metamorfosi animale e linguistica dell’«Horcynus Orca»”, può dire
nella postfazione, un gioiellino di suo, Siriana Sgavicchia. Incarnando
“l’ebbrezza lunare e dionisiaca del desiderio e insieme il suo lato
perturbante, destinato a precipitare nell’abisso della colpa e dell’autodistruzione”.
D’Arrigo è definitivamente più che “Horcynus Orca”, l’ambizione di
una vita che lo ha fagocitato. Parte ancora dolente di un Novecento che si
tarda a rivedere, soprattutto il secondo, benché tante censure politiche sano
cadute – forse non nell’accademia?
Stefano D’Arrigo, Il
licantropo, Via del Vento, pp. 32 € 4
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