mercoledì 23 gennaio 2013

D’Arrigo, prima che l’“Orca” lo fagocitasse

D’Arrigo ventenne ha scrittura e tematiche già definite. Poi stravolte, nella lunga macerazione del “capolavoro”, qui perfino calligrafico. Pulito, preciso, seppure con una sintassi avventurosa – compreso il flusso poi bernhardtiano, in un paio di mezze pagine. “A Taormina con la nonna” l’ultimo dei quattro pezzi della piccola raccolta, è da antologia. Licantropo è già nel racconto del titolo - seppure appesantito da un comico tradizionale – “la «mostruosa» metamorfosi animale e linguistica dell’«Horcynus Orca»”, può dire nella postfazione, un gioiellino di suo, Siriana Sgavicchia. Incarnando “l’ebbrezza lunare e dionisiaca del desiderio e insieme il suo lato perturbante, destinato a precipitare nell’abisso della colpa e dell’autodistruzione”.
D’Arrigo è definitivamente più che “Horcynus Orca”, l’ambizione di una vita che lo ha fagocitato. Parte ancora dolente di un Novecento che si tarda a rivedere, soprattutto il secondo, benché tante censure politiche sano cadute – forse non nell’accademia?
Stefano D’Arrigo, Il licantropo, Via del Vento, pp. 32 € 4

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