Il godibilissimo
racconto di questo tratta, della “bellezza non intelligente”, o “orizzontale”,
seppure di un’amica. Con ambizioni colte – è un danno che Proust non sia stato
letto sullo sfondo della copiosa letteratura di Fine Secolo, anche se passa per
leggera, e lo è, del monde che costeggia il démi-monde, della virtù e la
ricchezza che si vogliono pervertire, un poco. Patristiche: “Abyssus abyssum fricat”. Anzi luterane:
“Sathan proprio nobis est quam ullus
credere possit”. Non senza qualche
punta: “C’è sempre, sotto un simbolo, un altro simbolo”, Beardsley è
“quell’eccellente allievo del Primaticcio”, Eugéne Sue fa godere il popolo col disonore delle sue figlie, in cattivo francese.
Toulet è
qualcosa di più, è già fine critico, seppure non di grande respiro, del
linguaggio e del costume. Contemporaneo di Proust ma con un’esperienza più
allargata del mondo, meno francese, meno parigina, meno Rive Droite. Nato a
Pau, era di origini creole. E visse a lungo all’isola Mauritius e in viaggio
per i Tropici, prima di farsi giornalista alla “Vie parisienne” – per poi
morire a 53 anni, nel 1920, tre anni prima di Proust, alcolizzato e drogato.
Esplicito
nei romanzi che invece non sono stati tradotti. “La jeune fille verte”, che fa
la casistica della seduzione, nel mentre che indaga la “latens deitas”, o
“Monsieur du Paur, homme publique”.
Paul-Jean
Toulet, La mia amica Nane
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