Canfora fa anche un passo avanti sul “personaggio” Sraffa,
finora idolo inconsulto del patriottismo comunista. Dice infine che Sraffa era
in contatto col Kgb, nelle sue diverse denominazioni, cosa di cui nessuno di
buon senso poteva dubitare, ma anche con l’M15, il servizio segreto britannico.
Lo dice però in due righe in nota, una delle centinaia – Sraffa era anche, si
trova risfogliando le “Lettere dal carcere” 1965, ben introdotto nel fascismo,
nipote del senatore Mariano D’Amelio, primo presidente della Cassazione nel
1927, alla nascita della Cassazione stessa.
Gli danno fastidio pure le tante belle e giovani russe (ucraine, lituane)
che accudivano i capi del PCd’I, come mogli o segretarie, Alma Lex, Lila
Ochočinskaja, Fanny Jezierska, Nina Bočenina. Ma, sembra, solo per misoginia,
non s’interroga sul loro ruolo – e quello delle sorelle Schucht?
Poca roba. Il librone è uno stucchevole riciclaggio della
solfa sul Gramsci “tradito” dal Pci. In particolare da Ruggiero Greco, alto
papavero del Partito, di cui per un tempo fu pure segretario, senatore nel
dopoguerra e memorialista. Una storia pubblica dal 1965, quando la lettera di
Gramsci a Tania del 15 dicembre 1932, in cui denunciava Grieco, emerse nella
nuova edizione delle “Lettere dal carcere”, quella di Sergio Caprioglio e Elsa
Fubini. Un tradimento esteso, in
questa trattazione, dal carcere alla carcerazione: al mancato espatrio di
Gramsci, cioè, e invece al suo arresto. E all’ipotesi che Grieco stesso fosse
un venduto, più che un settario o uno superficiale.
Un lavoro sterminato di ricerca, con la filologia
pignolissima di virgole e accenti, dove più che altro uno è portato a
smarrirsi, ammesso che non si rivolti. Il quarto o quinto lavoro inutile di
Canfora sulla questione del Gramsci abbandonato, dopo “Su Gramsci”, “Storia falsa”, “Gramsci
in carcere e il fascismo”. Nel senso che Canfora scopre una cosa che tutti
sanno, tutti quelli che vogliono sapere: che Grieco scrisse delle lettere ad
alcuni compagni in carcere, Gramsci, Terracini e Scoccimarro, che ne
aggravarono la posizione processuale. Come
se la giustizia fascista fosse legale, per dirla alla Canfora, uno che da
qualche tempo appoggia molto.
Con una novità, però, a questo punto. Desolante è, in tutta la
documentazione di Canfora, il linguaggio. Ma compreso quello dell’autore
sherlock holmes. Imbrillantamenti compresi, il “piropo gongoriano” (?), il
“sedulo” ma poco critico studioso – un cretino. La desolazione della politica è
tangibile nella scrittura, non c’è bisogno di prove. Canfora è un comunista
atipico, quello che una volta si diceva troskista, non conformista cioè – e
inaffidabile, il tipo che può dire tutto e il contrario di tutto. Qui non si smentisce. A un certo punto deride “lo
schieramento politico craxiano (dall’«Avanti!» a Sciascia)”. Sciascia craxiano,
non sembra possibile. Ma c’è di peggio: lo “schieramento politico craxiano”
sosteneva nel 1989 che le lettere di Grieco erano autentiche, Canfora che erano
un falso, della polizia fascista. Oggi, dopo essere passato con quattro libri a
sostenere la posizione allora dello “schieramento craxiano”, insiste nella
derisione, per l’intera pagina 91. Qualche rotella forse non funziona. Ma il
bagno nella langue de bois si vede che è indelebile: comunista una volta
comunista per sempre, biforcuto una volta biforcuto per sempre. Poi uno si
ricorda il Togliatti di Canfora quindici anni fa, un liberale, e il suo Gramsci
quattro o cinque anni fa, uno stalinista.
“La filologia è
la più eversiva delle discipline”, così la voleva Luciano Canfora filologo –
coraggio!
Luciano Canfora, Spie,
URSS, antifascismo. Gramsci 1926-1937, Salerno, pp. 349 € 15
La stroncatura del libraccio di Canfora è ineccepibile. Io comunque resto convinto che i brutti libri - anche quando sono scritti da autori noti - è sempre meglio ignorarli. Altrimenti si rischia, anche senza volerlo, di pubblicizzarli!
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