Complotto - Un
Grande Complotto non si installa contro
una comunità, contro l’opinione, neanche come ipotesi o sospetto. La psicosi
del complotto è invasiva proprio perché si identifica con l’opinione: è cioè di
un complotto scoperto, la “lettera rubata” di Poe. Nasce dall’impotenza contro
l’ipocrisia.
Digitale – È un
mercato reale. Prendendo per buono
il piano strategico Rcs, l’editoria digitale è una realtà in Italia. Non coi
prodotti dilettanteschi che pullulano quanto con quelli costruiti con criteri
industriali. I risultati di Rcs devono ritenersi ancora migliori per il gruppo
L’Espresso-Repubblica, dato che “Repubblica online” è il sito più
frequentato. O comunque analoghi, data
la molteplice offerta del “Corriere della sera” – e un pubblico forse più
ricettivo alle novità, più lombardo che romano.
Rcs dà i ricavi digitali al 14 per cento del fatturato nel
2012, e in crescita rapida, tale da ipotizzarli al 25 per cento del fatturato
totale nel 2015. Settorialmente, i numeri sembrano ancora più promettenti,
sempre nell’arco dei tre anni. La raccolta pubblicitaria è prevista in crescita
del’11 per cento (con un cagr, compound
annual growth rate, tasso composto di crescita annua, di raccolta sui mezzi
digitali del 18 per cento). Ancora più forte la crescita del digitale in ambito
diffusionale, i-Pad e altri mezzi, fino a coprire il 36 per cento del venduto.
In aumento rapido pure la vendita degli e-book, che copriranno nel 2015 il 15
per cento del totale delle vendite.
Eugenetica – In Russia, già prima della rivoluzione, ma molto di più dopo, si
progettarono forme di vita create. Fu un filosofo, F.N. Fëdorov, a progettare
la ricostituzione dei corpi morti, in quello che Majakovskij chiamerà
l’Istituto delle resurrezioni. Mentre il biologo Ivanov, allievo di Pavlov,
presto famoso ai primi del Novecento per aver moltiplicato per venti-trenta la
capacità riproduttiva degli stalloni grazie all’inseminazione artificiale,
proponeva nel 1910 al Congresso di biologia di Graz l’ibrido uomo-scimmia.
Quindici anni dopo Ivanov ottenne il
patrocinio dell’Istituto Pasteur, presso il quale lavorava, al suo progetto, e
un finanziamento da parte del governo sovietico. La fertilizzazione di scimmie
col seme umano fu tentata nel 1926 nella stazione sperimentale dello stesso
Istituto in Guinea, allora colonia francese, ma senza esito: le scimmie non restarono
incinte, e trasportate in Europa morirono. Ivanov tentò allora l’incrocio
inverso, la fecondazione di donne col seme di scimpanzé. L’aveva tentata già in
Guinea, ma le autorità francesi gliel’avevano bloccata. Nel 1927, tornato in
Unione Sovietica, ottenne subito l’appoggio del governo. E qualche tempo dopo
anche la decisione che almeno cinque “compagne volontarie” si sarebbero
sottoposte all’inseminazione con lo scimpanzé, in Istituto di patologia e
terapia sperimentale appositamente creato a Sukhumi, sul Mar Nero.
L’esperimento con le compagne volontarie
si dovette poi rinviare perché c’era un solo scimpanzé disponibile a Sukhumi,
che presto morì. E nel frattempo la frazione del mondo scientifico che
appoggiava Ivanov andò in disgrazia. Lo stesso Ivanov fu arrestato a dicembre
del 1930 e condannato per cospirazione col nemico. Morì due anni dopo, ma senza
alienarsi la comunità scientifica: il Nobel Pavlov si assunse il necrologio ufficiale,
elogiativo. Per l’esperimento in Guinea Ivanov aveva avuto un finanziamento
statale di 10 mila dollari, ritenuto allora molto alto. Ma l’Associazione Usa
per il Progresso dell’Ateismo si diceva pronta a sottoscrivere ben 100 mila
dollari.
Una terza terapia eugenetica Mosca
sponsorizzò, quella sviluppata a Parigi dal chirurgo russo Sergei Voronov per
il ringiovanimento. Voronov, membro del Collegio medico di Francia, fu famoso
attorno al 1930 per l’impianto di ghiandole sessuali di scimpanzé nell’uomo
adulto, per migliorane le condizioni psico-fisiche generali. Molti trapianti strapagati
furono effettuati di testicoli, anche in Italia, prima che la pratica fosse
abbandonata.
Europa – Angela Merkel ne dà sintesi efficacissima sul “Financial Times” prima di Natale: “(Se) l’Europa oggi conta per solo il 7 per cento della popolazione mondiale, produce il 25 per cento del pil globale e deve finanziare il 50 per cento della spesa sociale mondiale, allora è ovvio che dovrà lavorare molto duramente per mantenere la sua prosperità e il suo stile di vita”.
Trent’anni
fa, con la globalizzazione ancora ai
primordi, in una delle sue conversazioni alla radio di Buenos Aires, Borges
ammoniva: “Non so se l’Europa sia declinata, ma sembrerebbe che,
disgraziatamente, sia declinato l’interesse del mondo verso l’Europa”. Perché
altri mondi sono (ri)sorti. E perché l’Europa, si può aggiungere, non inventa
più nulla: poesia, prosa, filosofia, storia, stili di vita.
Mobilità –Non ce n’è
probabilmente mai stata meno che in questa età della mobilità – del mercato
“libero” del lavoro. A cominciare dagli anni 1990 negli Usa: chi lasciava un
lavoro (licenziato) non ne trovava un altro, e chi entrava ne lavoro aveva
problemi, e lunghe attese, per trovarne uno. E subito dopo in Europa.
È scarsa
quando impera, dunque. Ma per effetto della globalizzazione. Che sottrae
lavoro: la mobilità (il precariato, la paga ridotta) è un artificio per attenuare
in qualche modo la fine del lavoro nel mondo ricco. Perché la globalizzazione è, inarrestabile, un fatto di giustizia
mondiale: l’accesso al mercato dei quattro quindi dell’umanità. Ma anche (perché) è un mercato
inesauribile di lavoro, un’offerta a prezzi stracciati.
Socialità – Un serie di
successo su Rete Quattro, “Downton Abbey”, mostra la transizione dell’aristocrazia inglese nella Grande Guerra.
E nella “profonda trasformazione” sociale che ne seguì. Il filo è il passaggio
da una società del rispetto a una degli interessi esclusivi. Dai reciproci
doveri, verso la patria e i combattenti (“Downton Abey” diventa un ospedale di
rieducazione durante la guerra), e anche tra padroni e servi (“non poteri mai
servire una persona che non rispetto”), agli egoismi, le truffe, i
misconoscimenti di paternità, i riconoscimenti di paternità opportunistici,
sempre contro i deboli – i poveri, le ragazze madri, chi non si sa difendere.
In un’ottica fattuale, non reazionaria, uno specchio di quello che l’Europa è
da un secolo, forse senza saperlo: una società egoista - per questo Rete Quattro ne ha interrotto surrettiziamente la programmazione?
Toscana – È sotto l’acqua da alcune stagioni per essere
divenuta il paradiso delle residenze secondarie. Sotto l’acqua perché c’è
troppo dilavamento, e perché il suolo drena con difficoltà, lentamente e
controvoglia. Quasi sabbioso. È l’effetto dell’investimento semi-voluttuario in
tenute agricole, a cui la Toscana si è offerta per prima e di cui resta la
destinazione ambita: chi compra si fa la vigna. In collina e in piano. Sostituendo
l’alboricoltura a larga ramificazione-ossigenazione sotterranea. Specialmente
nella Maremma, terra di bonifica recente, e quindi ancora poco terrosa.
La
viticoltura ricrea anche l’annoso problema delle coline incolte. La collina
toscana negli anni 1950-1960 soffriva del’abbandono dell’agricoltura. La collina
per prima, non potendo essere coltivata ci mezzi meccanici. Si comprava a poche
lire il mq. L’opposto ora si produce da un paio di decenni: i terreni si vedono
bene e sono coltivati, ma a vigna. Una coltura che fa poco ricorso al mezzo
meccanico e ha consentito il riutilizzo pieno della collina, ma provoca il
dilavamento. Le vecchie colture ortofrutticole si disponevano lungo il crinale,
e quindi lasciavano scivolare via l’humus. I filari di viti, invece, isobarici,
ortogonali alla pendenza naturale, hanno slavato l’humus e prodotto ottimi
vini. Ma hanno lasciato indifeso il sottosuolo, da quell’intrigo di barbe e
radici che è anche una diga naturale al dilavamento. Oggi ogni pioggia scende
subito tutta a valle, poco o niente umidificando i suoli in colina, come un
buon assetto idrogeologico richiederebbe. Mentre la vigna viene buona, con
adeguata esposizione all’insolazione, anche nelle zone a valle.
astolfo@antiit.eu
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