L’Europa può essere solo il concerto dei governi
europei. Con pesi e misure ma senza primati o egemonie. Angela Merkel è del
resto una politica molto prudente nel suo paese. Forse a questo deve la sua resilience – diventa egemonia per la
nullaggine dei comprimari. L’Europa di Monti è agitata come una patente di
nobiltà, che è curiosamente il mondo opposto, molto democratico, solo democratico,
come l’Europa si è fatta e può farsi.
L’Europa
è semmai la debolezza di Monti, che sapeva ciò che avveniva, per esperienza e
uso di mondo. Un sospetto che i Grandi Elettori di Monti derubricano a
populismo antieuropeo. Ma non c’è europeismo senza una salda equità, il
presidio del bene di ognuno, di ogni paese. Ciò è vero a destra, ma sopratutto
dovrebbe esserlo a sinistra.
Lo stato dell’arte in Europa, dopo l’affondo contro
l’Italia, è quello previsto dal documento dei “quattro presidenti” a margine
del Consiglio Europeo di giugno. Nelle parole di Monti, “una visione di medio
termine per una vera unione economica e monetaria, fatta di quattro pilastri:
unione fiscale, la cosiddetta unione bancaria, l’unione economica e l’unione
politica”. Non un intervento d’urgenza, ma una “visione”. Che nei sei mesi si è
concretizzata solo nella “cosiddetta” unione bancaria – si è cominciata a
concretizzare. E per il resto nulla.
L’unione politica non
starà bene alla Francia. E l’unione economica, checché essa voglia dire,
non starà bene alla Germania, che da sempre nei 55 anni della Comunità non ha
mai rinunciato a suoi propri criteri doganali (leggi sanitarie, ambientali,
etc.), di economia pubblica (proprietà, credito, sovvenzioni), e
antimonopolistici. L’Europa per la Germania era una diga contro il sovietismo.
Ora è una cosa in più che essa paga, poco, per averne alcuni benefici – in
larga misura è una partita di giro per i suoi interventi nell’economia
nazionale.
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