venerdì 11 gennaio 2013

La riforma ci vuole dei costituzionalisti

Michele Ainis, per dire, o si prenda un altro dei tanti costituzionalisti, scrive fondi sul “Sole” o sul “Corriere della sera”, per rimproverarci. Perché non si fanno le “necessarie” riforme costituzionali. Salvo dare regolarmente addosso a chi le propone, Berlusconi perché populista, D’Alema perché decisionista, etc. Non c’è delitto peggiore: si può rubare e prendere i voti della mafia, ma non cambiare la Costituzione, sia pure “necessariamente”. Craxi, che più di tutti ne era convinto, lo mandarono in prigione – avrebbero voluto. D’Alema si sottrasse arrendendosi. A torme di “Bella ciao” e pugni alzati, guardiane della Costituzione feticcio. La Costituzione di Fanfani, La Pira e il giovane Moro, art. 7 incluso.
È un balletto dei furbi: l’Italia è vittima dei suoi “chierici”, gli intellettuali. Non da ora, sono vent’anni che tradiscono – da quando hanno avuto accesso al “mercato” (giornali, convegni, talk-show, consulenze, premi, festival, siti online locupletati, cattedre). Pagati, anche se con le briciole. Si ricordano ancora Romiti e la Confindustria di vent’anni fa, che istigavano Mariotto Segni sulla “necessaria” riforma, per poi passare tranquillamente con gli sbirri del non-governo. Perché la riforma questo è: ricostituire la funzione di governo, che la Costituzione ha svilito e frantumato. Non per errore. Con gli sbirri dell’antipolitica: i padroni. Che prima di essere prepotenti sono furbi. Senza governo non c’è politica.

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