È l’altro tema di Colette, l’amore. Di “Giulie che non si
apprezzavano, non diventavano sottili, buone, feroci, stoiche, che a causa
dell’amore, di un leale appetito dell’amore, di ciò che genera di castità
facile, di commercio carnale...” Ma dialogato
meglio di Edith Stiwell, nella sottile perfidia, e delle migliori dame britanniche. – Colette si diverte,
nel 1941, nella Parigi tedesca: l’occupazione fu anch’essa divertente? Trincerandosi acuta, lasciva, ammiccante nel
Palais-Royal. Dove lascia intendere d’essersi avventurata “per caso,
innocentemente”, come la famosa predecessora simbolo di purezza e innocenza, la
Virginia, nomen omen, di Bernardin de Saint-Pierre. Pretendendo di abitarne un cubicolo al modo di quelle donne di natura variegata ma di
professione unica di cui Restif de la Bretonne fece il censimento – ce n’erano
2.200 nel 1790, quelle che firmarono una petizione all’Assemblea Nazionale
della rivoluzione. La (buona) letteratura deve un po’ lasciare intendere.
Colette, Julie de
Carneilhan
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