giovedì 24 gennaio 2013

L’amore da grandi

La nobile Julie, divorziata due volte, “vecchia” di quarantaquattro anni, “anzi di quarantacinque”. Col pimento dell’aneddotica personale della scrittrice, il lascia-e-prendi, alla stessa età, col secondo marito, de Jouvenel. Col fiuto dell’estetista, quale provò a essere dopo il divorzio. E compreso il rapporto “incestuoso” col figlio di lui – doppiato, nelle parti scabrose, da un coetaneo esterno alla famiglia. Ben più sessuato, con la sua immoralità, anche se senza passaggi pruriginosi (con la amante giovane Julie fa il punto a croce, di quella in età le basta saperne la presenza), delle “Sfumature” che hanno tenuto banco ultimamente.
È l’altro tema di Colette, l’amore. Di “Giulie che non si apprezzavano, non diventavano sottili, buone, feroci, stoiche, che a causa dell’amore, di un leale appetito dell’amore, di ciò che genera di castità facile, di commercio carnale...” Ma dialogato meglio di Edith Stiwell, nella sottile perfidia, e delle migliori dame britanniche. – Colette si diverte, nel 1941, nella Parigi tedesca: l’occupazione fu anch’essa divertente? Trincerandosi acuta, lasciva, ammiccante nel Palais-Royal. Dove lascia intendere d’essersi avventurata “per caso, innocentemente”, come la famosa predecessora simbolo di purezza e innocenza, la Virginia, nomen omen, di Bernardin de Saint-Pierre. Pretendendo di abitarne un cubicolo al modo di quelle donne di natura variegata ma di professione unica di cui Restif de la Bretonne fece il censimento – ce n’erano 2.200 nel 1790, quelle che firmarono una petizione all’Assemblea Nazionale della rivoluzione. La (buona) letteratura deve un po’ lasciare intendere. 
Colette, Julie de Carneilhan

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