Una storia derivata da un aneddoto non semplice ma non
suscettibile di sviluppi, raccontato da Colette in “Nudité”, un breve scritto
del 1943, dieci anni dopo “La gatta”: un giovane sposo le ha confidato a
Saint-Tropez la sua delusione, dopo la prima notte di matrimonio, passata a
rassicurare la sposina sulle “virtù naturali” della nudità, di vederla l’indomani
aggirarsi disinvoltamente nuda.
Colette era al suo ultimo, e non più impegnativo, matrimonio, con
Maurice Goudeket, un compagno più che un amante, dopo quelli tempestosi con Willy
e con l’ambasciatore a Roma e storico de Jouvenel. Lei stessa innamorata della
sua gatta. Ma qui più che altrove fa della gatta un personaggio e anche un modo
di essere: soggetto attivo della trama, tra amore, sdegno, gelosia e
consolazione, e modo di essere dell’autrice, nella scrittura e nella vita,
felino seppure addomesticato, curiosa e distaccata. Con l’indolenza
accattivante che la distingue, nella iperattività.
Colette, La gatta
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