Amore –
Breton rifiuta il ripudio, ne “L’amour fou”, una volta che è stato “scelto”
l’amore. Di cui dà una definizione mirabile: “L’amore reciproco, come lo vedo
io, è un dispositivo di specchi che mi rinviano, sotto i mille angoli che può
prendere per me l’ignoto, l’immagine fedele di quella che amo, sempre più
sorprendente di divinazione del mio proprio desiderio e più dorata di vita”. Ma
si è sposato tre volte.
Baudelaire – Saba
lo fa omosessuale represso (“Scorciatoie”, p. 150). Non lui personalmente, in
genere, ricordando che i decadenti
“inneggiavano volentieri agli istinti, alla divina libertà degli istinti
primitivi, ma poi si è saputo che erano, “in gran parte, passivi”.
Se non che Saba è
parte in causa, anche se non inneggia agli istinti primitivi. Per posa forse –
o forse perché lo avrebbe voluto.
Donna-oggetto – È borghese.
Storicamente e concettualmente. Proprio nel momento in cui il romanticismo
libera le passioni e le aspettative, il diritto subordina la donna. Se è moglie
o figlia. La condanna e la isola se non lo è – a meno di scelte virginali.
Nell’ultima
pubblicistica femminista, sia di destra che di sinistra, poniamo Michela Murgia
e Michela Marzano, la minorazione femminile è occidentale, anzi cristiana, e
quasi vaticana. Con più determinazione
“a destra”, in ambito cristiano: “Maria di Nazareth”, scrive Michela Murgia in
“Ave Mary”, “è la persona che ha subito il torto più grande nel dipanarsi di
questa colossale struttura di dominio. È stata strumentalmente trasformata in
icona della più passiva docilità, in muta testimonial del silenzio-assenso”.
La donna oggetto non
è occidentale, non viene dal mondo antico. È introdotta in Occidente dalle
invasioni tribali, di orde nelle quali l’unica funzione femminile era di
procreare figli maschi (Bachofen). Al tempo in cui il cristianesimo, verso il
quale le orde fatalmente confluivano, si regolava sull’antisessualità paolina e
dei monaci, i padri della chiesa, e conseguentemente sull’antifemminilità.
L’esclusione si è poi
generalizzata in Occidente col feudalesimo e il maggiorascato. In parallelo con vecchie-nuove forme di egualizzazione, seppure marginali, nelle
aristocrazie urbane, nell’intellettualità. Diventa totale (occidentale) con le
forme borghesi della società, specie nel Sei-Ottocento. Le Preziose, a metà del
Seicento a Parigi, evocano un matrimonio in cui Venere e Cupido trionfano
liberando la donna dalla mera procreazione. Ma nello stesso tempo Montaigne
così registra la realtà: “Un buon matrimonio, se ce n’è, rifiuta la
compagnia, e il condizionamento dell’amore”. E si arriva alla “prostituzione
legale” che inferociva Stendhal, i tanti contratti balzacchiani che hanno a oggetto la
donna-merce. Anticipati dallo stesso Balzac nel 1929, nella “Fisiologia del matrimonio”: “La donna è una
proprietà che si acquisisce per contratto; una proprietà mobiliare perché il
possesso è titolo; e non è a parlare propriamente che un annesso dell’uomo”.
Internet - Il blog ha reso tutti
scrittori. You Tube tutti registi. Di pezzi brevi. Che può essere un’arte
facile. O anche difficile: bisogna fare bene con poco. Comunque non andare
oltre la superficie: l’accenno, la smorfia. È per questo una forma di godimento-creazione
poco soddisfacente, di brevissima tenuta, che necessita di più. Come una droga,
leggera ma di effetto minimo e sempre più ridotto.
È il
romanzo fai da te: autore, editore, direttore, distributore, critico, e
pubblico. Meglio ancora per il film, su You Tube e altrove: produttore,
regista, distributore, e attore, in azione e non più soltanto nelle fotine
lusinghiere. Di documentari, di scenografie complete e anche di telenovelas. La
rete è un universo privato, interminato, interminabile, il solipsismo fatto
schermo-immagine.
Moltiplica
le scritture. Moltiplica, materializza, diffonde i fantasmi. E li tiene in
custodia, più accessibili di qualsiasi biblioteca, senza spostamenti, senza
attese né lasciapassare.
È un linguaggio.
Breve, genere feuilleton da una parte. O adolescenziale dall’altra. Con storie
brevi, frammentate, mai “definitive” (circoscritte, parabolari). E accensioni,
umori.
Si
dev’essere brevi in rete, e non seriosi. Si può cazzeggiare, come fa il 99
virgola nove per cento dei navigatori, o pondere giudizi profondi e massime
fulminanti come vuole twitter, il linguaggio del momento. Non si può scrivere
il fondo di giornale, il pastone, la cronaca di parte: la rete, nella sua
scarsa malleabilità grafica, ha pochi o nessuno dei trucchi del giornalismo.
Inoltre, è una parola momentanea, dà forte il senso della fragilità-temporaneità.
Non della scrittura, poiché al contrario porta tutti all’ambizione di scrivere, li rafforza. Della condizione esistenziale.
Ma richiama irresistibilmente Pessoa. L’epoca
dell’Inespressione e del Vuoto (Vacuo) di Pessoa, anteriore a Heidegger, coevo
dello spirito Excelsior del Comm. Cav. Grand’Uff. F.T.Marinetti, della sua
sensibilità da music man, lo spirito
di Fine Secolo (Ottocento) di cui non ci liberiamo, di Vuoto-Infinito, Vuoto-Dio,
Esistenza fantasma, di Labirinti, Vertigini e Doppi che non sono Altri, pretendendo
all’immortalità senza crearla, senza cioè fatica, applicazione oscura. È l’epoca dello Spirito, paracletiana?
Ma quanto terra terra, anzi no, superficiale.
Sherlock Holmes – “Storie povere”, “frasi ingegnose ma non
troppo”, “soluzioni deboli”, gli trova Borges. E prolisso, si può aggiungere,
specie nei romanzi. E tuttavia si legge sempre, con interesse.
Sogni – Colette ha insistente, dettagliata,
nella “Gatta” il “vestibolo dei sogni”.
È il dormiveglia prima del risveglio. Al centro della narrazione, è ”l’istante
incalcolabile riservato al paesaggio nero, animato da occhi convessi, da pesci
a naso greco, da lune e da bazze… L’istmo stretto tra l’incubo e il sogno
voluttuoso”.
Stupidità – Antonio Pascale
(sul “Corriere della sera” di mercoledì 16 gennaio ) la lega a stupore. Senza
più. Deriva l’equivalenza da un commento del “Financial Times”, sezione
“Management”, che usa i due termini indifferentemente (mentre non usano stupore
per stupidità gli autori del saggio di cui il giornale inglese riferisce, “A Stupidity-Based
Theory of Organizations”, di Mats Alvesson e André Spicer, pubblicato a novembre dal “Journal of Management Studies”). Ma forse è proprio così. Il Devoto lega
“stupido” a “stupire”, che dice “variante, con –s iniziale, di una radice che significa
dapprima «battere», ed è attestata, senza –s, nelle aree greca, slava,
indiana”.
letterautore@antiit.eu
1 commento:
Michela Murgia di "destra" la dovevo ancora sentire, confesso.
Posta un commento