Segue un’altra memoria familiare, delle due sorelline col fidanzatino,
lo stesso per tutt’e due. Un personaggio preciso ma indistinto, che si suppone
inventato, un “fidanzato d’acqua”, e alla fine invece c’è, c’era. Una metafora
quasi filosofica, dell’essere-non essere.
Su Cvetaeva si riverbera la fine drammatica, il suicidio
nell’infamia politica e l’inedia. Mentre fu
persona e scrittrice di umori, vivacemente gai. Antonio Castronovo, che
cura la mini-edizione, la fa bastian contrario – toscanismo in disuso, uno dei
tanti insensati, ma significante: “Il suo principio di vita poetico diventa la
negazione”. Si direbbe anticonformista ma non lo era: Marina è scrittrice
solidamente borghese. Ma fu zarista a Mosca, tra i rivoluzionari, e
rivoluzionaria a Parigi tra gli emigrati. Senza metafore.
Marina Cvetaeva, Il
racconto di mia madre, Via del Vento, pp. 33 € 4
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