venerdì 15 febbraio 2013

Il mondo com'è (127)

astolfo

Giustizia – Il Palazzo di Giustizia di Milano veniva paragonato nel fascismo, da Raffaele Calzini, in un volume del 1942, al Vaticano, la Reggia di Caserta, il Valentino e l’Escuriale. Ne ha in effetti la sinistra ombra.

Vito Gamberale, amministratore delegato della Sip, poi Telecom, alla vigilia della privatizzazione, viene arrestato nel 1993 per voto di scambio. Si fa quattro mesi e poi esce assolto – la trascrizione era sbagliata, nell’inchiesta c’era un reato, ma era di un fornitore della Sip denunciato da Gamberale. Snza nessuna responsabilità degli inquirenti. La Sip sarà svenduta poco tempo dopo a pochi gruppi privati.

Si arresta Angelo Rizzoli che per sei volte è stato incolpato e processato, la prima anche arrestato, e assolto. Quando fu arrestato la prima volta, la sua azienda, la Rizzoli-Corriere della sera, fu “salvata” dalla Milano bene e dagli Agnelli con un esborso di pochi miliardi di lire – forse non versati: un centesimo del valore.  

Gli arresti non sono facili nella giurisdizione italiana: raramente si dispongono, anche per casi di assassinio. Nei quali da qualche anno si fanno valere come attenuanti quelle che una volta erano le aggravanti: l’ubriachezza, la droga, l’ira (la capacità d’intendere e di volere). Nel caso di imprese e imprenditori, invece, l’arresto si pratica anche in assenza di flagranza di reato o di prove. È evidente il carattere esemplare di questa giustizia, illegale nell’ordinamento italiano. Politico, cioè: l’esemplarità si assesta su una visione della vita.
A lungo questa esemplarità si è giustificata con l’esigenza di combattere la corruzione. Mentre ne è parte -  evidente. Mani Pulite ha liberato la corruzione, anche perché selettiva: ha colpito certi gruppi economici e non altri, anche in presenza di colpe certe, certi partiti e non altri. I giudici Borrelli, Di Pietro, Colombo, che Mani Pulite presentavano come un’operazione anti-corruzione, lo hanno da ultimo riconosciuto: la corruzione a Milano si è moltiplicata.

Al funerale di don Verzé, Cacciari ha citato Don Milani: “Le mani veramente pulite le ha solo chi le ha tenute sempre in tasca”.
Ma c’è modo.

Paternità – Si riconosce nel mentre che si disconosce. Si riconosce come nostalgia e come recupero della funzione familiare. Ma in subordine e a caro prezzo: il congedo parentale è per i padri ora ottenibile ma a pagamento.
La giurisprudenza e la prassi la escludono comunque dalla vita familiare in caso di separazione. Sempre e comunque dalla casa di abitazione comune. Sia pure essa parentale, della propria famiglia di origine, anche da più generazioni. Con casi perfino ridicoli, non isolati: di genitori costretti a coabitare con l’ex nuora, cui devono cedere la parte migliore della loro propria casa se ha un figlio, compresi in casi in cui questa si è riaccasata (in convivenza naturalmente, per mantenere il privilegio). Con diritti di frequentazione dei figli ridotti a poche ore. Anche se è stata la moglie-madre ad abbandonare il “tetto coniugale”.
È l’effetto del lodo Jotti, per cui il coniuge debole è sempre la donna. Di una giustizia che è quasi interamente al femminile. Di una malintesa pedagogia per cui la convivenza con la madre è sempre meglio per il bambino, anche se la madre non se ne cura.

Presidenzialismo – La costituzione è da tempo di fatto  presidenziale, mentre sulla carta è parlamentare. La durata del mandato si è trasformata, da notarile (De Nicola, Einaudi) a centro inscalfibile di potere. Esercitato da Scalfaro ben oltre i limiti democratici, con gli scioglimenti arbitrari delle Camere e la sfiducia presidenziale dei governi.
Celebrarne l’immutabilità è, di fatto, dare una copertura e una difesa alla trasformazione surrettizia. Che nelle procedure e negli effetti non si può dire democratica. Il criterio dell’efficacia non è valida ragione.

I due tipici “palazzi” del potere – guicciardiniani, o pasoliniani – sono il Quirinale e il Palazzo dei Marescialli, che si fronteggiano sul Colle più alto di Roma. Impenetrabili, inflessibili.
Il terzo palazzo dei potere impenetrabile è non lontano, in piazza Indipendenza, quello del Consiglio Superiore della Magistratura.
Sono “palazzi”, per natura non democratici. Ma per questo anche non imputabili: è la loro natura di essere elettivi-non elettivi, per la durata e l’insindacabilità del mandato. Anche se veicoli di politica spicciola, di sottogoverno, come si diceva, o di voto di scambio, come usa dire oggi.

Ha finito per essere la cartina di tornasole dell’indigenza del costituzionalismo italiano, e più in generale del diritto pubblico e della sociologia politica. Una domanda popolare (elettorale), suffragata da infiniti referendum, e un’esperienza ormai lunga e negativa di non governo, hanno sollecitato per decenni una funzione di governo distinta dall’assemblearismo. Una domanda tenacemente contrastata come anticostituzionale, nel mentre che si avalla in suo nome la sovversione e il vero fascismo, quello di una presidenza della Repubblica, che sulla durata di sette anni e sulla totale irresponsabilità configura un potere insindacabile. E sulla quale tre ordini di ombre incombono: 1) l’investitura non popolare, su un programma di governo, ma per accordi tra i partiti, 2) la durata abnorme, 3) l’opacità di funzionamento, con una corte di consiglieri segreti, sotto l’influenza di interessi di parte incontrollabili.

Responsabilità oggettiva – Fu un criterio molto in auge nell’operazione giudiziaria Mani Pulite.  Ma selettivo. Nella Fiat si applicò a tutti i manager, ma non al’Avvocato Agnelli, anche se senza di lui nulla si muoveva alla Fiat. Con qualche dubbio su Umberto, ma mai sull’Avvocato. Dubbio peraltro che si riteneva insinuato da Romiti. In un caso la responsabilità oggettiva fu imputata allo stesso Romiti. Ma il caso, subito criticato dalla Milano che conta,  Cuccia, “Il Sole” e il “Corriere della sera”, rientrò senza effetti.
Lo stesso per il Pci, i suoi dirigenti. Come se il Pci non fosse stato un partitolo militarizzato – o che tale si voleva – e i suoi dirigenti si muovessero liberamente sui conti svizzeri delle tangenti russe. Dirigenti peraltro subito derubricati a impiegati di concetto: Mani Pulite registra nella sua storia unica perfino impiegati con piena firma, anzi con la disponibilità dei conti in Svizzera.

Suicidi – Avvengono giornalmente, pare, di imprenditori. Non divulgati dalle questure per evitare l’effetto imitativo. È una leggenda metropolitana, ma non inverosimile. È già successo al tempo di Mani Pulite, quando i suicidi non fecero notizia, se non in tre casi.
I suicidi accertati per effetto di Mani Pulite sono almeno quaranta. Gramellini, prima di convertirsi a giustiziere, dava questi dettagli, insieme con Carlo Fruttero, in “La patria, bene o male”, a p. 321. Il primo a spararsi  fu Renato Amorese, segretario socialista di Lodi, una sera di giugno del 1992. Questi i particolari sui tre casi celebri. Moroni si spara in bocca con un fucile, dopo aver scritto a Napolitano. Cagliari lamenta “la criminalizzazione di comportamenti che sono stati di tutti, degli stessi magistrati, anche a Milano”. Il 20 luglio 1992, “per evitare l’onta del carcere tre giorni dopo Raul Gardini si spara un colpo alla tempia”.
Sempre Gramellini, a p. 323: Gardini entra a Botteghe Oscure con una borsa piena di soldi, lo testimonia l’autista, ma a chi l’ha consegnata non si saprà “perché s’è suicidato”. E intende che potrebbe essere stato suicidato. Non si saprà perché nessuno ha indagato.

astolfo@antiit.eu

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