giovedì 14 febbraio 2013

Il papa di G.Grass era un falso timido

È il 2005, Günter Grass torna a Danzica con la sorella, ex suora, entrambi prossimi agli ottant’anni, desiderosi di rivedere i cugini casciubi, la parentela mezza slava per parte di mamma. Passeggiando sulla spiaggia, entrambi si dicono orripilati dall’agonia pubblica di papa Giovanni Paolo II. Grass ne fa una lunga pagina di “Sbucciando la cipolla”, il libro di memorie in cui rievoca la sua vita di volontario delle SS militari negli ultimi sei mesi della guerra.
In questo libro più che altrove Grass è “malapartiano”, il vero rappresentando nell’inverosimile, di cui pretende di avere testimonianza diretta e oculare. Ma, nel caso di “Joseph”, con accenni ripetuti, e senza eccessi. Eccetto che nel dialogo con la sorella (pp. 335-337). “Giudicammo entrambi la morte pubblica dell’ultimo papa, quello polacco, una vergognosa esibizione. Io dissi «disgustoso», lei «sconveniente». A me vennero in mente aggettivi ancora peggiori; lei ne ingoiò alcuni che forse avrebbero surclassato i miei”.
Malapartiano
Qui viene a Grass di raccontare alla sorella di Joseph nel campo di concentramento postbellico di Bad Aibling, vicino Monaco, col quale, per sopire la fame, masticavano cumino: un bavarese e “un cattolico di ferro”, che, “se non ricordo male, veniva dalla zona di Altötting” – come il papa. Con la posizione che poi adotterà ufficialmente: “Per rendermi più credibile ammisi una certa insicurezza: «Eravamo solo due tra migliaia»”. E ne parla con acredine mista: “Non volli escludere che… potesse essersi trattato di un certo Ratzinger che oggi in vesti papali vuol essere infallibile, anche se in quella maniera timida a me già nota che, in quanto fatta di affermazioni pacate, era particolarmente efficace”. Ma se Joseph non era Ratzinger, era la sua copia: “Che pensasse di diventare prete, di ragazze non volesse saperne e subito dopo la liberazione dalla prigionia intendesse studiare il dannato ciarpame dogmatico, è una cosa sicura “. Com’è sicuro che questo Ratzinger è stato a Bad Aibling nello stesso tempo di Grass, “l’ha detto anche la «Bild-Zeitung»”. Con Joseph, Grass racconta alla sorella di essersi giocato a dadi il futuro: “Io volevo diventare un artista, famoso, lui vescovo, e ancora di più, sa il diavolo cosa. E fingevamo anche che fosse possibile uno scambio dei ruoli”. Poiché anche un laico può diventare papa, si giocarono questa possibilità: “Joseph vinse per tre punti. Si può definirla scalogna o fortuna. Così purtroppo io sono diventato solo uno scrittore, mentre lui…”.
No, ma
Subito dopo l’uscita del libro Grass sembrò smentire il particolare, il secondo motivo d’interesse delle sue memorie. Ma le date coincidono. La biografia ufficiale di papa Ratzinger spiega che a 14 anni, nel 1941, fu arruolato d’ufficio nella Hitlerjugend, la gioventù hitleriana, come la legge prevedeva dal dicembre 1939. Con molte sue riserve. Determinate anche dal fatto che un cugino coetaneo afflitto dalla sindrome di down era stato ucciso nello stesso anno, nella campagna eugenetica denominata T4. A sedici anni, mentre si trovava in seminario, fu arruolato al lavoro obbligatorio nella Luftwaffe – come Grass: addetto alla sorveglianza della contraerea. E l’anno dopo arruolato e addestrato in fanteria – mentre Grass aveva fatto domanda come volontario sommergibilista e poi nelle Waffen SS, le unità di combattimento al fronte. Dopo la sconfitta il giovane Ratzinger rientrò in famiglia, a Traunstein. Ma fu internato dagli alleati a Bad Aibling. Come Grass, quindi, che scrive molto di Bad Aibling. Dal campo Joseph Ratzinger fu rilasciato dopo un paio di mesi, nell’estate. A novembre del 1945 rientrava in seminario, col fratello maggiore Georg.
Bad Aibling era un campo di diecimila prigionieri di guerra (non centomila, di cui più in là, probabile refuso). Ma di uno in particolare Grass si ricorda, un Joseph coetaneo, del 1927, con cui giocava a dadi, che era molto religioso, faceva discorsi teologici, sapeva di latino, e fu rilasciato presto. All’uscita del libro, richiesto se il Joseph era papa Ratzinger, Grass si schermì: “Posso solo presumerlo. Questa presa di coscienza è sopravvenuta per la prima volta mentre scrivevo. Quel che è certo è che a Bad Aibling, un campo di detenzione di massa sotto il cielo aperto, in cui erano stati raccolti circa 100 mila prigionieri di guerra tedeschi, mi ero rintanato in un buco nel terreno con un ragazzotto della mia età - eravamo entrambi diciassettenni. Era di origini bavaresi, cattolico in maniera intensa, quasi fino al fanatismo, ed era anche capace, con i suoi 17 anni, di infilare di tanto in tanto nel discorso delle citazioni latine. Lui voleva fare carriera nella gerarchia ecclesiastica; io volevo diventare artista, e famoso”. Il ricordo, disse ancora Grass, riaffiorò alla notizia che Ratzinger, a lui peraltro già noto come prefetto del Sant’Uffizio, era stato eletto papa: “Questo Joseph mi sembrò all’improvviso conosciuto, anche il modo di comportarsi, questa timidezza, l’ostinazione, la delicatezza - posso solo supporlo, però, che quel ragazzo fosse lui”.
Il buon ricordo
Anche nella precisazione Grass è ostile, prevenuto col papa come con ogni fatto religioso, da vecchio chierichetto: “Conoscevo la sua mentalità conservatrice, la sua entrata in scena partita dallo sfondo e perseguita con ostinazione, piano piano”. Ma nelle memorie lo identifica col papa, per tanti particolari, e lo ricorda con affetto, anche con ammirazione. Dopo la passeggiata con la sorella, accomuna il ricordo di Joseph a quello della prima esperienza col Gruppo 47, l’avanguardia letteraria tedesca, nel quale fu cooptato per caso, con molta sufficienza, e con l’unica raccomandazione di dire le sue poesie nelle riunioni del gruppo “forte e chiaro” (p. 370): “Il mio compagno Joseph, che nel ’47 era studente di filosofia e dogmatica nel seminario di Freising, quando stavamo accucciati sotto un telone nel campo di Bad Aibling mi ha letto le sue devotaggini da un libriccino rilegato in nero a voce così bassa e quasi afona da indurmi a credere che, nello sviluppo di una favola di tutt’altro intreccio, non sarebbe mai diventato qualcuno”.  
Questo è l’ultima traccia di Joseph in “Sbucciando la cipolla”. In precedenza il futuro papa ricorre una decina di volte, sempre in toni angelici. A p. 152: “Parlava come un libro stampato in un tedesco ipercorretto dalla cadenza bavarese… Parlavamo di Dio e dell’universo mondo. Anche lui aveva fatto il chierichetto, in modo continuativo, io soltanto per ripiego.  Lui credeva ancora, per me niente era sacro. Entrambi eravamo pieni di pidocchi, ce ne importava poco.  Anche lui scriveva poesie…”. A p. 173: “Eccolo lì, Joseph, mi sommerge di parole – a voce fermamente bassa, anzi sommessa – e non riesce a uscirmi di mente. Io volevo diventare questo, lui quello. Io dicevo che esistono più verità. Lui che ne esiste una sola. Io dicevo di non credere più a niente. Lui insellava un dogma dietro l’altro. Io esclamavo: ma Joseph, non avrai per caso in mente di fare il grande inquisitore o magari anche qualcosa di più? Lui faceva sempre qualche punto in più (ai dadi, n.d.r.), e giocando citava sant’Agostino, come se avesse davanti le sue confessioni nella versione latina”. Joseph è il personaggio che più ritorna nella narrazione, a partire da un certo punto – la sua elezione a papa durante la stesura delle memorie?
A p. 178 Joseph è “un tenero prepotente. Di lui si deve continuare a raccontare, visto che questo Joseph scriveva poesie come me dai tempi in cui servivamo messa, ma aveva progetti per il futuro assai diversi…”. Dopo averlo detto “il ragazzo bavarese che fu rilasciato in tempi brevi dal campo di Bad Aibling e insieme al quale per alcuni giorni dilatati avevo schiacciato pidocchi, masticato cumino e giocato a dadi pensando al nostro futuro”.Quando anche lui è rilasciato, Grass non sa dove andare, non ha notizia dei suoi e non ne ha nemmeno memoria. Ma “spontaneamente” si ricorda attirato “nella zona americana anche se illegalmente, dove dopo qualche ricognizione speravo di trovare il mio compagno Joseph in un buco bavarese fra Altötting e Freilassing”.
Nel primo accenno (p. 124) Joseph gli era apparso “così tenacemente cattolico che vorrà senz’altro diventare prete, vescovo, magari cardinale…”. Nel terzo accenno (p. 199) c’è un doppio scivolone.  Grass dimentica la precauzione malapartiana dell’indeterminatezza, raccontando di aver cercato Joseph alla liberazione “nella regione bavarese, a Marktl am Inn o in un altro buco del genere”, come se ne conoscesse il cognome e l’indirizzo. E lasciandosi andare a ipotesi mentre avrebbe dovuto ricordare cosa i genitori gliene dissero: “A casa dei genitori non lo trovai. Probabilmente era già chiuso in un seminario e si esercitava nelle costrizioni della Scolastica”. Uno sgarbo della memoria?
Nel 1946, “agganciatore” per sopravvivere nella miniera di potassio Siegfried 1 della Burbach-Kali AG a Groß Giesen, Grass sopravvive mentalmente esercitandosi al latino, che aveva dimenticato, Una “situazione assurda”, ma “talmente chiara”, dice, “che ancora oggi mi sento coniugare verbi”. Un esercizio che il ricordo gli riporta di Joseph (p. 212): “Una lingua che il compagno nel campo di Bad Aibling padroneggiava e aveva definito «dominatrice del mondo per l’eternità». Più ancora: Joseph sosteneva addirittura di sognare secondo le immutabili regole di quella lingua”. Poi a Düsseldorf, mentre tenta di forzare l’ingresso all’Accademia di Belle Arti, Grass ambiva a diventare scultore, il “compagno Joseph” lo accompagna (p. 225), che diceva: “La grazia non piove dal cielo”. E subito dopo ritorna quando Grass discute la possibilità di prendere gli ordini col direttore della Caritas, che lo mantiene (pp.259-261): “Mi ricordavano i discorsi tenuti giocando a dadi durante la prigionia con il mio compagno Josef, che allo stesso modo aveva tentato di rintracciare, simile a un cane da fiuto, la mia perduta fede infantile nel Sacro Cuore di Gesù e nella benedetta Madre di dio, avendo già allora pronte per l’uso una dozzina di sottigliezze teologiche”. Con un secondo scivolone: Joseph “nel frattempo era diventato vescovo”, mentre doveva ancora essere ordinato sacerdote.

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