Il punto di partenza è quello vetusto: “I parlamenti
e i governi nazionali hanno progressivamente perduto gli strumenti del potere”,
ostaggi di politiche decise altrove, dai paesi più forti con le loro distanti
burocrazie”. Ma è importante che Romano non lo smentisca: l’Unione Europea è
questo. A volte la saggezza acquisita è solo vera.
Poi, però, Romano s’impiglia nell’altro punto
vetusto, l’emergere in Europa di autoritarismi e populismi. Mentre dei primi
non c’è neppure l’ombra, e semmai l’Europa pecca di indecisionismo
(immigrazione, costo del lavoro, specializzazione produttiva, assetti sociali).
Mentre di populismo se n’è visto poco, in Italia anzi affatto, se non per il
chiacchiericcio di una scienza politica indigente. Romano si ferma a contestare l’opinione che senza l’Europa sarebbe andata meglio. Ma chi lo dice (che si dicano queste cose al mercato non ha rilevanza)?
Il punto è un altro. Si muore democratici perché
l’Europa ha compiuto un passo straordinario con l’euro, e non se ne è accorta.
Alcuni, perlomeno, non se ne sono accorti, molti in Italia. Si può partire
dalla “sovranità monetaria” che Grillo rivendica in chiave anti-euro. L’Europa
ha creato l’euro, un passo gigantesco, senza darsene la “sovranità monetaria”.
Ci sarebbe voluto forse uno Stato europeo per ciò, la Banca centrale non basta,
ma bisognava pensarci. Ci si era pensato, ma la Costituzione è stata prima
annacquata e poi bocciata con referendum. Mentre l’euro, che è una costituzione
materiale solida, e anche ferrea, è stato adottato come se fosse una soluzione
tecnica, un bicchiere d’acqua fresca, tonica.
L’Europa vetusta, della Commissione e dei vertici,
poteva andare bene per la vecchia Unione. Per la politica agricola, i fondi per
lo sviluppo, la vigilanza anti-monopolio (qui già con difficoltà). Con l’euro è
un’altra Europa. Una moneta implica una politica monetaria. La quale
modernamente si attua con le politiche di bilancio – un tempo con le riserve e
il conio dell’oro o l’argento. Che sono da molti anni ormai il cuore dello Stato, più che la sicurezza, certamente più che la politica estera. Le politiche di bilancio dovrebbero essere in
Europa concordate, ma non lo sono – se non per i criteri aritmetici di
Maastricht.
Un secondo punto decisivo, cui Romano accenna, ma
poi non sviluppa, è che in assenza di regole i rapporti intraeuropei, dopo l’euro, sono tornati ai vecchi
criteri diplomatici dei diversi pesi nella bilancia dei poteri e del vantaggio
comparato. Con un solo protagonista, la Germania, forte dei suoi numerosi satelliti:
Svezia, Finlandia, Polonia, Olanda, Belgio, Austria. Che gestiscono l’Unione
come la Germania dice. In assenza non solo di una sovranità monetaria comune,
ma con un’applicazione arbitraria degli stessi parametri aritmetici di
Maastricht – fu allentata per Germania e Francia in epoca di crescita
dell’economia, è severissima per l’Italia in grave crisi economica (ognuno sa
che avrebbe dovuto essere il contrario).
Sergio Romano, Morire di democrazia, Longanesi,
pp. 109 € 12,90
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