martedì 19 febbraio 2013

La mafia è nota, la repressione non si sa

Resta lo studio migliore, più diretto e affinato insieme, delle mafie siculo-calabresi. Pubblicato nel 2000 e tuttavia al passo con l’attualità. Non per caso assortito di una bibliografia sterminata. Letizia Paoli, specialista di Criminologia al Max Planck Institut, consulente vent’anni fa della Dia e del ministero dell’Interno, sociologa formatasi a Firenze e alla Georgetown, l’università gesuita di Washington, ha pure il pregio di mitizzare poco e stare ai fatti. E tuttavia un’altra realtà fa emergere, anche se la sua ricerca è conoscitiva e non un programma d’intervento.
Sia la ‘ndrangheta una mafia tribale, anzi familiare in senso stretto, di consanguinei, come Letizia Paoli bene argomenta. Per questo quindi impenetrabile, anche nel pentitismo: i manovali a cottimo sono pochi, e sanno poco. E per questi stessi fatti più pericolosa, come vuole la studiosa. Ma anche il contrario è vero – o dovrebbe esserlo. La ‘ndrangheta non è una rete, un’organizzazione a maglie larghe, variabile. È identificabile, Paoli la quantifica in una novantina di “famiglie”. Ma per ciò stesso agevolmente punibile: su un gruppo ristretto e noto, l’investigazione e la repressione dovrebbero essere agevoli.
L’osservazione diretta lo conferma: le famiglie mafiose calabresi sono circoscritte e conosciute per esserlo. Perfino nei singoli elementi familiari che non lo sono, che si vogliono estranei al malaffare -  è possibile. Ma sono talmente note che riesce incomprensibile ai più - questo è il punto - che non siano perseguite o stroncate. Se non dopo decenni di attività criminosa, e per lasciare spazio ad altra famiglie mafiose.
Nel corso di tre generazioni, ciò è avvenuto per il contrabbando di sigarette, le banconote false, le guardianie, i taglieggiamenti, i terreni, gli immobili, gli appalti, i sequestri di persona, la droga  - la coltivazione (marijuana), il commercio all’ingrosso (trasporto, distribuzione) – e le attività finanziarie (banche, credito al consumo). Senza che il crimine fosse bloccato e nemmeno contrastato.
Lo stesso per l’espansione delle stesse famiglie fuori dai paesi di origine. Dapprima in Canada e Australia, attraverso l’emigrazione di figli e nipoti. Da qualche tempo in Germania, in Lombardia e a Roma, attraverso gli investimenti e la distribuzione della droga. Il fatto era noto ai carabinieri, che nelle decadi 1970-1980, quando i controlli a rete (intercettazioni e movimenti bancari) erano limitati in Italia, potevano compilare dettagliati dossier, con vere e proprie genealogie e tavole sinottiche che identificavano di ogni famiglia le più risposte articolazioni, generi e nuore comprese, e compari, grazie alle informazioni ottenute via Interpol dalle polizie canadese e australiana.
Letizia Paoli, Fratelli di mafia. Cosa Nostra e ‘ndrangheta

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