martedì 19 febbraio 2013

La rivoluzione italiana fa vent’anni

Si celebrava in questi termini, vent’anni fa, la “rivoluzione” italiana:
“Il “Corriere della sera” col direttore Paolo Mieli, e “La Stampa” della Fiat in singolare coincidenza, concelebrano, cioè lanciano, la “rivoluzione italiana”. È una parola d’ordine? È un’alzata d’ingegno. Ma la “rivoluzione” del vecchio e del peggio ci vuole molta sfrontatezza a proclamarla: una rivoluzione fatta da quattro giudici, in vario modo tutt’e quattro corrotti, sotto la férula della Dc e d De Benedetti, un affarista, col sostegno di Agnelli e di Berlusconi, due affaristi super, per riaffermare - annacquando le riforme politiche e istituzionali chieste da più di un referendum - il più vecchio, improduttivo e infamante assetto di potere della Repubblica, ponendosene nel contempo a sacerdote e censore (la furberia del partito di governo e d’opposizione).
“Ancora più impressionante è la facilità con cui questa forse si sono sedute sull’onda unga del cambiamento e rapidamente hanno preso a Governarla. Tutto questo non sarebbe potuto succedere se il Pds non avesse perpetuato l’equivoco togliattiano, di chi prende il governo della rivolta per meglio ridurla, disinnescarla”.

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