Come i suoi “fratelli apostoli”, Giuda era
calato nel vecchio progetto biblico, del Messia liberatore politico: “Nella loro mente, come nella sua, non ei era ancora fatta strada
l’intuizione della vera grandezza del messaggio cristiano”. Gesù era il messia: “Attraeva a sé le folle”, e questo
è il segno più sicuro della sovversione, ciò che più turba i poteri, quale ne
sia la ragione, verità o dubbio: è “la paura del cambiamento” che “turba i
monarchi”.
Per lo stesso motivo poi Giuda finì male,
suicida. Non possiamo condannarlo: “Quanto più Giuda fu incline all’audacia,
tanto meno può essere sospettato di ambiguità. Credeva di realizzare i più
intimi propositi di Cristo”. E insieme “i desideri e le aspirazioni segrete
della plebe di Gerusalemme”. Convincente – anche per presentarsi via in questa
edizione in una traduzione scorrevolissima, molto quinceyana, di Laura
Merletti. C’è il male che nasce dal bene.
De Quincey ne approfitta per allegare “un
estratto del saggio che ho scritto tempo fa e non pubblicato” sul Cristo hakim, guaritore. Arrivato alla
predicazione pubblica, ma senza i mezzi che l’antichità conosceva per la
diffusione delle idee, teatro, orazioni nel foro, oracoli, Gesù “indossò la
maschera” di “medico missionario” –
“l’idea orientale di hakim, o Therapeuta itinerante”. Che le autorità
non potevano censurare, politiche o religiose, e le folle amavano. Anche lui
come poi i discepoli, che diffonderanno il cristianesimo nel mondo ellenistico
presentandosi come guaritori e quindi imperseguibili – la cosa è attestata per
san Luca.
Thomas De Quincey, Giuda Iscariota
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