Dio - È “involontario”, direbbe Simone Weil –
viene con la grazia. L’uomo che se ne appropria, sia pure in forma di ricerca,
lo fa per orgoglio: si appoggia su se stesso, si pavoneggia, finisce per
prendere il posto che credeva di riservare a Dio.
Per
sant’Agostino chi cerca Dio l’ha già trovato. È anche comprensibile che sia così, e dunque è il problema è
come sopra: perché evocarlo.
Donna - La donna è il desiderio dell’uomo. Per questo ella può atteggiarsi.
Sarebbe altrimenti un ammasso di carne, come ogni altro essere meno concupito.
La cosa
non è senza profondità – benché al di là del povero Freud, e del potere del
maschio: per il maschio stesso, per la donna naturalmente, e per il genere umano.
Giacché il giorno in cui non ci fosse più desiderio, giorno oggi configurabile,
l’umanità si fermerebbe. In tre mosse. Dapprima si riduce la fertilità e la
procreazione: uomini e donne, singolarmente, separatamente, acquisiscono figli
da centri specializzati, con tasso di riproduzione che per essere artificiale e
tendente allo zero è una festa solo per la regolazione delle nascite. Quindi,
nel quadro della freudiana autorealizzazione, la stessa filiazione, benché
limitata e artificiale, perde ogni richiamo e anzi è ostile. Infine, si
arriverà a una riproduzione forzata per il mercato o benessere: per il lavoro,
la crescita economica, e la previdenza (il meccanismo oggi in uso, per cui ci
vuole nuovo lavoro, il lavoro dei giovani, per pagare le pensioni ai vecchi).
Già oggi la merce umana è molto apprezzata nei mercati clandestini, e non per la prostituzione o il traffico di
organi ma proprio in quanto produttiva di reddito attraverso il lavoro (cinesi
e asiatici in genere).
Ma
allora sarà una nuova storia. La fine propriamente della storia, anche – l’attesa
fine della storia, eccola qua.
Il
femminismo non ha liberato, ha cancellato. La donna non ha migliorato la condizione
reale-legale, professionale, se non di quel tanto che è nello spirito dei tempi.
Alla maniera come l’aveva liberata il sovietismo, che la introdusse ai lavori
pesanti stradali senza tirarla fuori dalla chiesa. Mentre ha perduto le connotazioni
ideali. Le ha perdute volontariamente, e questo è il peggiore arretramento:
semplificatore. E si direbbe masochistico, ma è vendicativo.
La
differenza sostanziale introdotta dal femminismo è una diversa percezione del
rapporto uomo-donna. L’uomo vede la donna come un oggetto, sessuale, estetico,
affettivo, riproduttivo. La donna vede l’uomo impersonalmente, in una sorta di
metafisica, quasi isolato, “un corpo a sé stante”. L’incontro è di destini,
tanto più arduo quanto più distinto.
Le donne
stavano in un empireo. Questo ne faceva la preziosità (differenza). E fa
catastrofica la discesa.
C’è, nel
rapporto uomo-donna, il rifiuto dell’uomo. Nella menopausa, o in circostanze
particolari. Una forma di stanchezza, che si traduce in modi e fatti
autopunitivi. Per complessi di colpa o tendenze depressive che solitamente
vengono addebitate all’uomo. A una sua insensibilità o a colpe specifiche,
ancorché non esplicite. Ma non c’è il rifiuto della donna da parte dell’uomo. A
nessuna età o condizione di salute, in nessuna circostanza.
Ironia – Non ha buona filosofia.
Forse per non averla avuta in antico, quando stava per simulazione e
dissimulazione. Al meglio era “ironia tragica”, quando un personaggio ignaro
anticipava la catastrofe incombente. La più nota è quella di Socrate, che
Platone fa appunto fingersi ignorante. Un “fingitore” direbbe Pessoa, uno che
sfotteva l’umanità – senza nemmeno ricoprirsi, con la compassione. Shaftesbury
la ripropone, ma contro l’ “entusiasmo”, contro il fanatismo religioso e
politico cioè, dopo la stagione hobbesiana della guerra civile, di tutti contro
tutti (“Lettera sull’entusiasmo”). Come spirito del paradosso F.Schlegel la
dirà specifica della filosofia, ma non ne fa l’applicazione, anzi, e non dice
come. La cosa si fermerà a Kierkegaard, alla critica del distacco romantico
della realtà, da mondo. Che non va bene con l’impegno del buon cristiano,
impegnato nel mondo e compassionevole. Ma è la trama della Grande Letteratura
del Novecento, del disincantato Musil e dell’iperattivista ipernazionalista
Thomas Mann (“l’ironia come modestia,
come scetticismo volto all’indietro, è una forma della morale, è etica
personale, è «politica interna»”, la dice nell’“Impolitico”). E anche – forse
contro le intenzioni, segretamente – di Proust e Joyce. Della Grande
Letteratura europea. Non americana. Non latina. Non asiatica. Si accompagna
alla decadenza?
Morte – Platone, nelle “Lettere”, la dice
irrilevante: la morte non riguarda i vivi, né coloro
che sono morti. La sofistica non nasce da NN.
Spinoza
lo
ridice, “Etica”,
parte IV, prop. 67, ma non
si prende in giro:
“L’uomo libero a nessuna cosa pensa meno che alla morte; e la sua sapienza è
una meditazione non
della morte, ma della vita”.
Storia – Raffaele Nigro ha, nella “lettera di
Natale”, un apologo che chiude il collettaneo “Natale mediterraneo”, “la Storia
che uccide le storie”. Questo non è già più vero, con la microstoria, la storia
di genere, la testimonianza, e gli archivi dell’oralità e dei ricordi. Ma Nigro
la attribuisce a Michaelstaedter. Che “odiava Hegel”, scrive”, “Fichte e
Schelling, forse odiava Croce e tutti coloro che avevano visto le ragioni della
storia acquattate sul destino dell’individuo”. Anche questo non è vero:
Michaelstaedter dice la storia “una bella cosa”. Che a lui piace: “Oh, la
poesia e la letteratura sono state la mia passione. Anche la storia!” Non amava
la storia trionfante, ma quella è un’altra cosa.
Ciò che Nigro sottintende nella lettera
(attribuisce a Michaelstaedter) è il rifiuto della Storia come se fosse una
colpa della storia. Come se la Storia cancellasse gli individui, mentre può
darsi solo l’opposto che un individuo (tutti gli individui nel caso di Nigro, i
“meridionali”) cancelli la Storia. Facendosene magari vittima, mentre la Storia
non è mai agente, è un insieme di coordinate. È un’arte retorica.
zeulig@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento