Sorge rintraccia inoltre i motivi più strettamente
wagneriani nei romanzi più noti di D’Annunzio, “Il trionfo della morte”, “Il
fuoco” – che si chiude sui funerali di Wagner a Venezia. La smania wagneriana, spiega infine la germanista, culminò nel progetto di teatro iperbayreuthiano, ad Albano, sul Gianicolo, a
Fiume, la “Città Olocausta”, anche questo il progetto di una vita – salvo
infine realizzarlo rovesciato, al Vittoriale, un teatro quotidiano sì ma
privato
I tre brevi
articoli di D’Annunzio sul “Caso Wagner”, una vindicatio del compositore dopo “Il caso Wagner” di Nietzsche, lo
mostrano wagneriano senza difese, ma anche a ragion veduta, da attento critico
delle idee, prima della magniloquenza. D’Annunzio riconosce che Nietzsche dice
giusto, ma per gli stessi motivi decreta Wagner grande: come lettore e attore
della modernità, decadente. Forse con
un equilibrio più giusto, misurato, pur nel wagnerismo professato, dei tanti, soprattutto
filosofi, che nel creatore dell’“opera totale” inciampano, Nietzsche appunto,
Ernst Bloch, Adorno, e ancora oggi Lacoue-Labarthe,
Badiou, Žižek.
Gabriele D’Annunzio, Il caso Wagner, Elliot
pp. 63 € 6,50
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