martedì 12 marzo 2013

D’Annunzio è Wagner

È piuttosto il caso D’Annunzio. O Paola Sorge che lo spiega, “tra Wagner e Nietzsche” - già autrice di un DAnnunzio, vita di un superuomo. Ribadendo che il superomismo dannunziano è di tutt’altra pasta di quello autentico, nitzscheano. Mentre il wagnerismo, totale, entusiasta, senza mai pentimenti, è invece “giusto”: tutta la vita il Vate ha perseguito l’ideale wagneriano dell’opera totale, e la sua stessa vita vi ha modellato sopra.  Compresa la musica. E questo è il contributo della germanista. Non arduo, i due articoli conclusivi degli Statuti costituzionali di Fiume statuiscono la musica come linguaggio, e del resto i volontari del Vate dovevano cantare e ballare. Ma bisognava dirlo.
Sorge rintraccia inoltre i motivi più strettamente wagneriani nei romanzi più noti di D’Annunzio, “Il trionfo della morte”, “Il fuoco” – che si chiude sui funerali di Wagner a Venezia. La smania wagneriana, spiega infine la germanista, culminò nel progetto di teatro iperbayreuthiano, ad Albano, sul Gianicolo, a Fiume, la “Città Olocausta”, anche questo il progetto di una vita – salvo infine realizzarlo rovesciato, al Vittoriale, un teatro quotidiano sì ma privato
I tre brevi articoli di D’Annunzio sul “Caso Wagner”, una vindicatio del compositore dopo “Il caso Wagner” di Nietzsche, lo mostrano wagneriano senza difese, ma anche a ragion veduta, da attento critico delle idee, prima della magniloquenza. D’Annunzio riconosce che Nietzsche dice giusto, ma per gli stessi motivi decreta Wagner grande: come lettore e attore della modernità, decadente. Forse con un equilibrio  più giusto, misurato, pur nel wagnerismo professato, dei tanti, soprattutto filosofi, che nel creatore dell’“opera totale” inciampano, Nietzsche appunto, Ernst Bloch, Adorno, e ancora oggi Lacoue-Labarthe, Badiou, Žižek.
Gabriele D’Annunzio, Il caso Wagner, Elliot pp. 63 € 6,50

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