domenica 31 marzo 2013
Il giallo burla
Un giallo della non-scrittura. Della decostruzione della scrittura. A ogni passo un’intersezione, di tutto ciò che si potrebbe dire e non si dice, potrebbe essere e non è, potrebbe succedere e si omette, mentre nomi intervengono, se non personaggi, e ipotesi o fatti irrelati. L’esatto contrario della consequenzialità che il giallo vuole.
Dopo il successo inatteso, a sessant’anni, dell’“Autobiografia di Alce Toklas”, Gertrude Stein nell’estate del 1933 non sa che fare, e s’ingegna di scrivere un giallo, genere di cui si vuole cultrice. Così ricostruisce la genesi del racconto Benedetta Bini, riproponendo la sua lontana traduzione del 1986: “Scritto a colmare un esaurirsi della parola, a dirne quindi la morte”. Ma potrebbe essere, così sembra alla lettura, che si sia voluta divertire, dada quale è sempre stata, in anticipo e in ritardo: del giallo, della scrittura, della storia della letteratura.
Non divertente per il lettore - la ricerca letteraria non lo è, essendo fatta di buchi nell’acqua, mulinelli a nessun effetto, e Gertrude Stein è poi ricercatrice dilettante, e più per anticonformismo, da “amica di Picasso”, che per studio (ma il letterato d’avanguardia raramente è filologo, forse solo Pasolini, gli basta lo spirito d’avventura, e un po’ d’incoscienza). A meno che non ne sia complice. l’irrisione è passionaccia condivisa, cenacolare.
Gertrude Stein, Sangue in sala da pranzo, Sellerio, pp. 116 € 10
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