Antisemitismo
Modernamente vi si arriva per via dell’anticapitalismo:
Henry Ford, Hitler, Pound, Céline, Hamsun.
Complotto
– Il “Titanic” era stato scritto quattordici anni prima,
nel 1898, da Morgan Robertson, nel romanzo “Futility, or the Wreck of the Titan”.
Con ogni dettaglio – Robertson, figlio di comandante di navi, era lui stesso esperto
di marineria: nel 1905, nel romanzo “The submarine destroyer”, anticipò il
periscopio, o almeno così sostenne – il brevetto era stato depositato da latri
tre anni prima. “Futility” racconta di un transatlantico Titan, di linea
inglese come il Titanic, di cui condivide anche i due alberi, i tre motori, l’inaffondabilità,
e la capacità di trasporto, tremila passeggeri, che navigando verso New York,
una notte di aprile, sbatte in un iceberg, sempre di prua, “verso mezzanotte”, e affonda in poche ore.
Tutto come il transatlantico che affonderà il 6 aprile 1912. I due hanno anche
molte similarità: il numero insufficiente di scialuppe di salvataggio, la metà del
necessario (24 il Titan, 20 il Titanic), la stazza (46 mila tonn.-66 mila), la
lunghezza (800-882 piedi), la velocità alla collisione (25-22,5 nodi), l’ora
dell’impatto, la potenza dei motori (40 mila-46 mila Hp).
Destra-sinistra
– Un caso apparentemente avventuroso, ma non tanto, è quello di Giuseppe Berto,
il fulcro della sua “Modesta proposta per prevenire” del 1971: innestare nel
corpaccione qualunquista della borghesia italiana una dose di maoismo. Che
Berto intende a metà fra il volontarismo (l’impegno) e la Realpolitik, sotto il
precetto che Mao dettò alla Rivoluzione Culturale: “Occupatevi degli affari
dello Stato”. Che sembrava avventuroso ma è Grillo, nella morfologia e nei
contenuti.
Giustizia – Quella politica aggiunge e non toglie
alla corruzione, e potrebbe esserne il fattore di perpetuazione. La politica diventa l’innesco della
nuova corruzione - il patronaggio politico, sia pure sotto le spoglie semplici
dell’appartenenza, il meccanismo
della corruzione rendendo a questo punto universale, oltre che difficilmente
contrastabile. Si veda nei casi più abnormi di giustizia politica. Il caso Sme,
in cui si processò chi non c’entrava per non processare chi c’entrava, gli
amici (nella fattispecie non si possono dire compagni: sono Prodi e De
Benedetti, due democristiani), in quello Fassino-Unipol (qui i due sono
compagni), nel caso Rcs (massoneria?)
Giuseppe Berto
aveva nel 1971 (“Modesta proposta per prevenire”) un capitolo “Il bordello
della magistratura”. Non una novità dunque. Ma già “Pinocchio” è pieno di
giudici incapaci.
I giudici forse
più delle banche suscitano l’esecrazione universale. Ma con una particolarità:
che tutti in qualche modo abbiamo avuto a che fare con le banche, pochi con la
giustizia. C’è dunque un comune sentire alla base della disistima, consolidato,
non un’esperienza diffusa.
Internet - La rete euforizza, ma anche deprime,
la possibilità di mettere tutto in piazza, anche l’anagrafe. Scopre, come se
denudasse, occhio sempre indiscreto sui gangli più riposti. Si digiti su google
il proprio nome, decine di omonimi, anche centinaia, emergeranno che non dicono
nulla, quando non inducono a ripulsa, seppure immotivata, a naso. Sgonfia,
pure: non ci siamo noi al nostro nome, né il cugino che magari porta lo stesso
nome e col quale abbiamo condiviso molte esperienze che riteniamo degne di
note, mentre decine o centinaia di omonimi si pavoneggiano che ci offendono. Sgonfia
dunque, e spiazza – depersonalizza.
Leader
–
È bastato l’arrivo del maestro Muti a Roma per rivitalizzare l’Opera di Roma,
che languida da tre decenni, l’orchestra, il coro, il teatro, e il corpo di
ballo. Incapaci perfino di mettere in piedi una stagione anche mediocre, per
mancanza di risorse, si diceva, in realtà di idee, e per un sindacalismo
selvaggio, di alcune centinaia di persone, maestri, professori, artisti, che
pretendevano lo stipendio e poi un secondo libero lavoro. Il primo anno l’Opera riuscì a commuoversi e
commuovere. Col “Nabucco” e perfino con messinscene logore, come “La Traviata” di
Zeffirelli. Il secondo anno portò a Roma tutta la critica ammirata. Quest’anno
gli elogi critici virano al delirio – “la migliore serata della mia vita”. Con la stessa orchestra, lo stesso coro, e
perfino lo stesso copro di ballo. Senza grandi sponsor né grandi risorse, anzi
con messinscene al risparmio. Con abbonamenti record, e prevendite chiuse un’ora
dopo l’apertura. Da due anni la migliore stagione d’opera d’Italia – non si dice
per non offendere la Scala, ma è opinione comune.
Il lavoro di Muti a Roma viene peraltro
dopo il suo incarico di direttore stabile della Chicago Symphony Orchestra. E
la sua chiamata a Roma, così come la sua accettazione, sono venute per ripicca
contro il sovietismo della Scala. Muti ha portato a Roma il suo spessore
artistico, e la professionalità. Ma soprattutto ha portato il suo nome, il “carisma”
che ha consolidato: basta poco per far lavorare le persone.
Mosè - “Le leggi di Mosè sono
un’impressionante esaltazione della proprietà privata” – Giuseppe Berto, “Una
modesta proposta per prevenire”. Lo scrittore veneto non è il solo a sostenerlo.
Ma non è vero: sono l’esaltazione dell’individuo, della “coscienza” come
responsabilizzazione (il concetto di peccato): forse il primo apparire della
coscienza. A meno di non confondere l’individuo con la proprietà.
Paternità
–
Ha cambiato natura, ed è misconosciuta. Lo è sempre stata, potenzialmente, ma
ora come dato di fatto: del padre si può fare e si fa sempre più a meno nella
procreazione, del padre cosiddetto naturale.
La paternità non si può però esercitare
nella nuova forma. Il patriarca che esercitava fuori casa dev’essere ora casalingo
ma non può esserlo. Se non il sabato e la domenica, una presenza quindi
falsata, come prima - da sottrarre a ogni altra occupazione\svago.
Scuola
–
Si discute se la scuola deve festeggiare, al modo delle scuole, coi pensierini
e i lavoretti dei bambini, la festa del papà. Che offende le madri singole, le
eterologhe, le lesbiche, e forse anche i gay. Ogni anno, periodicamente. Come
ogni anno per il presepe, se la scuola deve farlo, o non offenda gli ebrei, gli
islamici, e gli atei. Le insegnanti più progredite nell’intercultura hanno
ritenuto loro dovere abolire il presepe, e ora puntano a abolire la festa del
papa. Se non che molte madri singole, e qualche lesbica, la vorrebbero – così come
molte madri immigrate, non cristiane, hanno richiesto il presepe. Perché non
vogliono essere tenute al di fuori delle feste degli altri, loro e i loro
figli.
È facile capire chi sbaglia e chi
no: più che il rispetto della differenza – civile, etnica, religiosa (le feste
non offendono nessuno) - incide l’odio della famiglia, di cui le feste sono
simbolo. Un segno della dissoluzione di sé, italiana, europea, occidentale –
che viene chiamata depressione ma è solo voglia mascherata di fallimento, del
muoia Sansone con tutti i filistei. Anche il rifiuto della festa lo è - dell’idea della festa.
astolfo@antiit.eu
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