domenica 17 marzo 2013

Il mondo com'è (130)

astolfo

Antisemitismo Modernamente vi si arriva per via dell’anticapitalismo: Henry Ford, Hitler, Pound, Céline, Hamsun.

Complotto – Il “Titanic” era stato scritto quattordici anni prima, nel 1898, da Morgan Robertson, nel romanzo “Futility, or the Wreck of the Titan”. Con ogni dettaglio – Robertson, figlio di comandante di navi, era lui stesso esperto di marineria: nel 1905, nel romanzo “The submarine destroyer”, anticipò il periscopio, o almeno così sostenne – il brevetto era stato depositato da latri tre anni prima. “Futility” racconta di un transatlantico Titan, di linea inglese come il Titanic, di cui condivide anche i due alberi, i tre motori, l’inaffondabilità, e la capacità di trasporto, tremila passeggeri, che navigando verso New York, una notte di aprile, sbatte in un iceberg, sempre di prua,  “verso mezzanotte”, e affonda in poche ore. Tutto come il transatlantico che affonderà il 6 aprile 1912. I due hanno anche molte similarità: il numero insufficiente di scialuppe di salvataggio, la metà del necessario (24 il Titan, 20 il Titanic), la stazza (46 mila tonn.-66 mila), la lunghezza (800-882 piedi), la velocità alla collisione (25-22,5 nodi), l’ora dell’impatto, la potenza dei motori (40 mila-46 mila Hp).

Destra-sinistra – Un caso apparentemente avventuroso, ma non tanto, è quello di Giuseppe Berto, il fulcro della sua “Modesta proposta per prevenire” del 1971: innestare nel corpaccione qualunquista della borghesia italiana una dose di maoismo. Che Berto intende a metà fra il volontarismo (l’impegno) e la Realpolitik, sotto il precetto che Mao dettò alla Rivoluzione Culturale: “Occupatevi degli affari dello Stato”. Che sembrava avventuroso ma è Grillo, nella morfologia e nei contenuti.

Giustizia – Quella politica aggiunge e non toglie alla corruzione, e potrebbe esserne il fattore di perpetuazione. La politica diventa l’innesco della nuova corruzione - il patronaggio politico, sia pure sotto le spoglie semplici dell’appartenenza, il meccanismo della corruzione rendendo a questo punto universale, oltre che difficilmente contrastabile. Si veda nei casi più abnormi di giustizia politica. Il caso Sme, in cui si processò chi non c’entrava per non processare chi c’entrava, gli amici (nella fattispecie non si possono dire compagni: sono Prodi e De Benedetti, due democristiani), in quello Fassino-Unipol (qui i due sono compagni), nel caso Rcs (massoneria?)

Giuseppe Berto aveva nel 1971 (“Modesta proposta per prevenire”) un capitolo “Il bordello della magistratura”. Non una novità dunque. Ma già “Pinocchio” è pieno di giudici incapaci.
I giudici forse più delle banche suscitano l’esecrazione universale. Ma con una particolarità: che tutti in qualche modo abbiamo avuto a che fare con le banche, pochi con la giustizia. C’è dunque un comune sentire alla base della disistima, consolidato, non un’esperienza diffusa.

Internet  - La rete euforizza, ma anche deprime, la possibilità di mettere tutto in piazza, anche l’anagrafe. Scopre, come se denudasse, occhio sempre indiscreto sui gangli più riposti. Si digiti su google il proprio nome, decine di omonimi, anche centinaia, emergeranno che non dicono nulla, quando non inducono a ripulsa, seppure immotivata, a naso. Sgonfia, pure: non ci siamo noi al nostro nome, né il cugino che magari porta lo stesso nome e col quale abbiamo condiviso molte esperienze che riteniamo degne di note, mentre decine o centinaia di omonimi si pavoneggiano che ci offendono. Sgonfia dunque, e spiazza – depersonalizza.

Leader – È bastato l’arrivo del maestro Muti a Roma per rivitalizzare l’Opera di Roma, che languida da tre decenni, l’orchestra, il coro, il teatro, e il corpo di ballo. Incapaci perfino di mettere in piedi una stagione anche mediocre, per mancanza di risorse, si diceva, in realtà di idee, e per un sindacalismo selvaggio, di alcune centinaia di persone, maestri, professori, artisti, che pretendevano lo stipendio e poi un secondo libero lavoro.  Il primo anno l’Opera riuscì a commuoversi e commuovere. Col “Nabucco” e perfino con messinscene logore, come “La Traviata” di Zeffirelli. Il secondo anno portò a Roma tutta la critica ammirata. Quest’anno gli elogi critici virano al delirio – “la migliore serata della mia vita”.  Con la stessa orchestra, lo stesso coro, e perfino lo stesso copro di ballo. Senza grandi sponsor né grandi risorse, anzi con messinscene al risparmio. Con abbonamenti record, e prevendite chiuse un’ora dopo l’apertura. Da due anni la migliore stagione d’opera d’Italia – non si dice per non offendere la Scala, ma è opinione comune.
Il lavoro di Muti a Roma viene peraltro dopo il suo incarico di direttore stabile della Chicago Symphony Orchestra. E la sua chiamata a Roma, così come la sua accettazione, sono venute per ripicca contro il sovietismo della Scala. Muti ha portato a Roma il suo spessore artistico, e la professionalità. Ma soprattutto ha portato il suo nome, il “carisma” che ha consolidato: basta poco per far lavorare le persone.

Mosè - “Le leggi di Mosè sono un’impressionante esaltazione della proprietà privata” – Giuseppe Berto, “Una modesta proposta per prevenire”. Lo scrittore veneto non è il solo a sostenerlo. Ma non è vero: sono l’esaltazione dell’individuo, della “coscienza” come responsabilizzazione (il concetto di peccato): forse il primo apparire della coscienza. A meno di non confondere l’individuo con la proprietà.

Paternità – Ha cambiato natura, ed è misconosciuta. Lo è sempre stata, potenzialmente, ma ora come dato di fatto: del padre si può fare e si fa sempre più a meno nella procreazione, del padre cosiddetto naturale.
La paternità non si può però esercitare nella nuova forma. Il patriarca che esercitava fuori casa dev’essere ora casalingo ma non può esserlo. Se non il sabato e la domenica, una presenza quindi falsata, come prima - da sottrarre a ogni altra occupazione\svago.

Scuola – Si discute se la scuola deve festeggiare, al modo delle scuole, coi pensierini e i lavoretti dei bambini, la festa del papà. Che offende le madri singole, le eterologhe, le lesbiche, e forse anche i gay. Ogni anno, periodicamente. Come ogni anno per il presepe, se la scuola deve farlo, o non offenda gli ebrei, gli islamici, e gli atei. Le insegnanti più progredite nell’intercultura hanno ritenuto loro dovere abolire il presepe, e ora puntano a abolire la festa del papa. Se non che molte madri singole, e qualche lesbica, la vorrebbero – così come molte madri immigrate, non cristiane, hanno richiesto il presepe. Perché non vogliono essere tenute al di fuori delle feste degli altri, loro e i loro figli.
È facile capire chi sbaglia e chi no: più che il rispetto della differenza – civile, etnica, religiosa (le feste non offendono nessuno) - incide l’odio della famiglia, di cui le feste sono simbolo. Un segno della dissoluzione di sé, italiana, europea, occidentale – che viene chiamata depressione ma è solo voglia mascherata di fallimento, del muoia Sansone con tutti i filistei. Anche il rifiuto della festa lo è - dell’idea della festa.

astolfo@antiit.eu 


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