Autocritica
– C’era, afflittiva, nel sovietismo regnante,
non c’è più oggi. Sembra una liberazione, e invece era una pratica tutto sommato
sana: oggi che è scomparsa sarebbe necessaria.
Si
prenda la riforma delle pensioni. Pietro Ichino giustificava qualche mese fa il
suo malaugurato passaggio nelle file di Monti scrivendone così sul “Corriere
della sera”: “Per
decenni ci siamo consentiti di andare in pensione a cinquant’anni accumulando
debito pubblico, poi debito per ripagare il debito e gli interessi sul debito,
finché i creditori hanno incominciato a dubitare della nostra capacità di
restituire il tutto”. Bene. Male: “Nel 1995 abbiamo fatto la riforma delle
pensioni necessaria. Ma l’abbiamo applicata solo ai ventenni e trentenni, cioè
ai nostri figli e non a noi stessi. Il governo Monti, appena costituito, ha
dovuto fare in due settimane quello che avrebbero dovuto fare i governi precedenti
nell’arco di due decenni, estendendo la riforma del 1995 a tutti”. Ichino tace che
quello che Monti-Fornero hanno fatto nel 2012 era stato proposto nel 1994. Da
un governo che il presidente Scalfaro, la Cgil, Ichino e altri mandarono a casa
per questo con vergogna. E insinua che la
riforma Dini delle pensioni nel 1995 fu una vera riforma, mentre sa che non
risolse nulla. Ma soprattutto evita di ricordare le manifestazioni di milioni
di persone, da lui patrocinate e organizzate dalla Cgil (decine di treni
speciali, migliaia di pullmann), contro lo “scalone” di Maroni dieci anni fa,
nel 2004 – una delle prime cose che il governo Prodi cancellò nel 2006.
Pensare che senza questa “volontà
popolare” non avremmo avuto la recessione, i debiti, i licenziamenti, fa venire
le vertigini. Ma il professore ha dimenticato.
Censura
cosmica – Avviene di non poter riutilizzare un file, se si sta scrivendo in costanza di
connessione internet, con il seguente avviso di word: “Impossibile aprire il
file a causa di problemi nel contenuto”. Come se un occhio invisibile controllasse,
attraverso alcune parole chiave, quello che stiamo scrivendo. Non è così
naturalmente. Ma il senso è quello: troppe parole in libertà nell’etere.
Anche una reazione “stizzita” dell’etere stesso, mai così invaso, non è implausibile.
Anche una reazione “stizzita” dell’etere stesso, mai così invaso, non è implausibile.
Informazione – Il modello
Cnn, reiterato da Sky tg 24 ogni mezz’ora e da Radio Rai, benemerito in quanto fornisce
le informazioni praticamente in diretta, diventa ossessivo e corruttivo. Senza un filtro critico minimo. Le torri che
crollano l’11 settembre, un atto di terrorismo, per quanto spettacolare,
diventano un’invasione irresistibile. Così le tante morti in (quasi) diretta,
di questo o quel grande personaggio, e le tante scene drammatiche, di delitti o
di guerra: l’iterazione della notizia diventa invasiva, e la stessa
moltiplicazione delle “grandezze”, e per le menti meno difese, meno critiche,
cioè per la massa, sempre e comunque epocali e senza difesa. Il danno
psicologico diventa culturale e storico, trasformandosi in un laico destino,
povero cioè. La “notizia” diventa per il semplice fatto della ripetizione entusiasmante
senza fondamenta o, più spesso, depressiva.
È
il motivo per cui la aree e le popolazioni più ricche, prospere e in pace del
pianeta, in Europa e nel Nord America, possono pensarsi vittime e diventare
aggressive – più spesso contro se stesse.
Intellettuali – Il partito
Democratico vi fa ampio ricorso nelle liste elettorali. Dando anche loro, a giornalisti,
storici e filosofi, un posto in lista per la sicura elezione. Ma senza “usarli”
per i loro saperi specifici, se non per il nome. Giusto per poter vantare: “Abbiamo
eletto tanti intellettuali”. Senza però nemmeno più il riflesso propagandistico
che c’era negli Indipendenti di Sinistra - Togliatti preferiva collocare gi
intellettuali , in genere ex socialisti, tra gli “indipendenti”. Per abitudine.
Molti
di essi peraltro sembrano aver operato, retrospettivamente, per prepararsi la
chiamata. Il proprio dell’intellettuale è dunque il conformismo. Per un fine
nobile naturalmente, ma sempre allineato a una “verità” sulla quale non può –
non vuole? non sa? – incidere.
Internet - Nel 1990 la
rete non esiste. Nel 1992 le riviste scientifiche rifiutano ricerche di fisica
applicata e di matematica che la ipotizzano e la disegnano. Nel 1994 la rete
esiste, ma come gioco, e passatempo, specie notturno. Nel 1999 era la stella
della speculazione: solo in Italia una quarantina di titoli si vendevano in
Borsa che promettevano guadagni fantasmagorici in (Tiscali centuplicò il valore
di Borsa al collocamento, e ancora per alcuni mesi dopo). Poi il fenomeno in
Borsa s’è sgonfiato. Infine si è rigonfiato, a valori paperoneschi
(tiscalineschi?), anche basati su provider e venditori solidi di servizi. Ma
nell’insieme la rete appare nell’adolescenza, non solo per il fatto anagrafico.
Ha già avuto il suo sogno di libertà (evasione, immaginazione) e sta per
entrare nella routine-ananke. Dove si
timbra la mattina e la sera, la libertà avendo generato il suo mercato, come
tutte le novità, nel quale il ruolo di attrazione (cosmetico) è stato
rappresentato dall’informazione.
Adesso
si applica alla costruzione di nuovi modelli di partecipazione: le reti invece
dei partiti, dei sindacati, dei gruppi di pressione. Che sembrano “naturali”, e
semplici. Mentre non sono ancora usciti dai vecchi modelli di partecipazione,
solo il veicolo è cambiato – e nemmeno tanto: Grillo usa il comizio alla pari
col blog.
Privilegia
la scrittura lettura breve, spontanea, non curata, aforistica, apodittica, insensata. E semrpe del tipo “a me mi piace”. I blog sono i
corsivi del giornale. “Informati”, moralistici, ironici, quei brevi pezzi che
contrappuntano i grandi argomenti. Oggi raggruppati, sul modello americano, in
una pagina o in una colonna. La parte vecchia (residuale, inutile) del
giornale: serve a puntualizzare, e quindi a spiegare, ma non sposta, plauso e
dissenso finiscono lì – non ci sono berlusconiani, è noto, tra i corsivisti dei
giornali, nemmeno tra i loro interlocutori.
Moda
-
Carlo V, che si ritirerà vent’anni dopo in convento e morirà beghino, si fa
ritrarre nel 1534 da Tiziano, il suo “primo pittore”, in leggings colorati, con pantaloncini aderenti da ciclista, benché
ancora non elasticizzati, e organo maschile ben disegnato, una sorta di
sospensorio. L’imperatore esibisce lo stesso colore per le due gambe, e un
colore sobrio, grigio-giallo – allora gli uomini vestivano coloratissimi, a “pezze”:
colori diversi, tutti vivaci, per le gambe e le braccia, e anche per le diverse
sezioni di gambe e braccia - e questo lo fa un po’ più serio, ma non tanto. Usavano
anche molte essenze profumate. E capigliature o copricapi elaborati, anch’essi
molto colorati. La moda è diventata femminile tra Sei e Settecento, in una con
le femmes savantes (le précieuses ridicules di Molière) – quando le donne cioè
cominciavano a voler dire e operare come gli uomini, fuori casa.
Presidenzialismo
– Non
si vuole nella costituzione perché già c’è, di fatto? A opera di una parte
politica, e a suo vantaggio: gli ex Dc e gli ex Pci trasformisti alleati nel
compromesso – per dare un’altra arma a Berlusconi. La costituzione è stata cambiata
di fatto in questi vent’anni da Scalfaro in poi. Con l’occupazione permanente
delle istituzioni “irresponsabili”, e di nomina di lungo periodo: presidenza
della Repubblica, Csm, Consulta – la giustizia politica ne è un’appendice. Sono
stati accresciuti anche in modo sostanziale i poteri del presidente della
Repubblica, e quelli discrezionali delle magistrature – onuste ancora di Anni Giudiziari,
ermellini, e superstipendi non contestabili (le contestatissime retribuzioni
parlamentari si agganciano a quella dei presidenti di Cassazione).
astolfo@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento