lunedì 4 marzo 2013

La crisi è demografica

C’è anche una demografia carente all’origine della crisi finanziaria europea. Specie in Germania e in Italia. Il paese cioè che per primo ha portato l’età della pensione a 67 anni, riducendo di un terzo circa la spesa. E il paese che è stato costretto, pena il salto del banco, a fare lo stesso passo un anno fa. Il tasso di fertilità nei due paesi è da quindici anni dell’1,3-1,4. Dopo essere stato per trent’anni in entrambi i paesi attorno all’1,2, un record negativo mondiale. Insufficiente a rimpiazzare i decessi, che vanno a situarsi su una progressione doppia, comprendendo la popolazione maschile e quella femminile non fertile.
In queste condizioni diminuisce anche la forza lavoro e la produzione del reddito. In assenza di un’immigrazione sostenuta e in parte qualificata. Le politiche malthusiane del laicismo europeo hanno, come si sapeva, un effetto negativo sulla prosperità. Con una curioso rovesciamento in Francia, patria del laicismo, dove invece da quarant’anni, dalla presidenza Pompidou, la politica fiscale e degli ammortizzatori sociali è intesa tutta all’incremento demografico (la Francia veniva da un secolo e mezzo di calo della popolazione): la famiglia modello ha in Francia tre figli. Un saggio eloquente dell’antidemografismo laico suicida è quello di Giuseppe Berto, lo scrittore per tanti altri versi immerso nella realtà e avverso alle false verità, nella sua “Modesta proposta” del 1971: limitare le nascite per dividere più equamente le risorse – che, però, chi le produce?
Di più al Sud
Nelle dinamiche demografiche, la relativa ripresa delle nascita degli ultimi quindici anni rispetto ai trenta precedenti vede un’altra curiosità in Italia: il ribaltamento Nord-Sud. In precedenza il decremento delle nascite era dovuto al Nord, con punte di fertilità inferiori perfino all’unità a Genova, Trieste e nelle città dell’Emilia Romagna. Dal 1995, invece, l’Istat fotografa questa situazione: “L’aumento dei nati continua a registrarsi, infatti, solo per i residenti nelle regioni del Centro e del Nord, mentre al Sud e nelle Isole prosegue il fenomeno della denatalità”. In particolare, dal 1995 “si osserva una riduzione delle nascite compresa tra il 6 per cento della Sardegna e il 22 per cento della Basilicata, meno 21 per la Calabria, un meno 14 per la Sicilia, e un meno 16 per Campania, Puglia e Molise”. Le regioni a reddito ro capite superiore alla emdia nazionale, Abruzzo compreso, hanno un indice di natalità attivo.
Il punto di non ritorno
In Italia il numero delle nascite è inferiore ai decessi da quasi vent’anni, dal 1994. Inoltre, l’Italia è il primo paese al mondo a fare esperienza del cosiddetto “punto di non ritorno”, che si ha quando il numero di persone sopra i sessant’anni eccede il numero di coloro che sono sotto i venti. Un dato irreversibile, secondo i demografi: la probabilità che il numero dei ventenni o meno torni a superare quello dei sessantenni o più è bassissima. Secondo il National Institute on Aging Usa, entro vent’anni il 32,6 per cento della popolazione italiana avrà 65 anni. Trentacinque anni fa, il 9 per cento della popolazione italiana era composta da bambini con meno di cinque anni. Oggi questi bambini formano appena il 4,2 per cento della popolazione. I bambini scompaiono: secondo la Population Division Onu, nel 2050 saranno appena il 2,8 per cento della popolazione italiana.
Eccetto gli immigrati
Un’altra particolarità, che l’Italia condivide con la Germania, la Francia e molti altri paesi europei, è che nella nuova natalità hanno una parte cospicua gli immigrati. Uno su cinque nuovi nati è di genitore\i straniero\i (erano uno su 16 nel 1995, e uno su 8 nel 2008).
Per la Germania la popolazione si calcola che si ridurrebbe a metà secolo da 82 a 69 milioni di abitanti con un saldo immigratorio di 100 mila entrate l’anno – a 74 milioni con u’immigrazion e netta di 200 mila unità l’anno. Giù un quarto della popolazione tedesca è di discendenza straniera o parzialmente straniera. Tra i tedeschi con meno di quindici anni la percentuale è del 35 per cento. Nelle grandi città almeno sei bambini su dieci di età fino ai cinque anni hanno almeno un genitore nato all’estero.
Finisce l’Europa
In Spagna la prospettiva è peggiore, poiché il tasso di fertilità è sceso da tempo e si mantiene attorno a 1,3. Con la tendenza in calo, per effetto delle mutate condizioni sociopsicologiche delle donne, e da tre anni della crisi economica (cinque milioni di disoccupati sui venti attivi): nel 2012 l’Instituto Nacional de Estadìstica calcola un 3,5 per cento di nascite in meno rispetto al 2011. A questo ritmo i 47 milioni di spagnoli di oggi saranno 35 in trent’anni.
Il fenomeno si allarga da qualche anno a tutta l’Europa. Nel 2011 almeno undici paesi della Ue hanno denunciato un tasso di crescita demografica negativo.  Per avere una popolazione stabile sul piano demografico occorre un tasso di fertilità di 2,1 figli per donna. In Grecia il tasso di fertilità 2011 è stato di 1,46, in Portogallo 1,36, in Italia 1,38, in Germania 1,36.
La pensione a 67 anni forse non basta, peraltro, a ridare equilibrio alla previdenza. - alleconomia. La Germania dibatte se non sia necessario portare l’età della pensione a 70 anni – cioè a pochi anni di rendita, considerato che l’opinione tedesca e il sistema sanitario sono a favore di una fine precoce dei vecchi, se non di una vera e propria eutanasia, sull’ambiguo concetto di “accanimento sanitario” - l’aspettativa di vita è in Germania di 82 anni, in Italia di 82 (a San Marino a 83, grazie alle tasse?), benché il reddito emdio sia in Germania superiore a quello italiano di un quarto.

Nessun commento:

Posta un commento