lunedì 4 marzo 2013

L’amore nella morte, su letti di oleandri

È già in offerta per ragioni di marketing – portarlo subito in classifica. Ma è una gran romanzo, ambizioso a ragione. Il titolo “allendiano” – agnelliano? – sta per un racconto diverso, a suspense, a chiave. Anche migliore di altri folklorismi siculi della “Allende italiana”.
La storia è ambientata sotto la necropoli di Pantálica, sul Cava Grande, l’affluente dell’Anapo. Un sito dal fascino impossibile, fra i tanti “impossibili” della Sicilia. E dentro la necropoli stessa. Una storia di amori nella morte, rivissuti, ritrovati, di un fascino anch’esso impossibile. Anche plurimi, incostanti, bisessuali, malati, di aborti imposti, violenze, adulteri, tradimenti, e sempre onesti. Perfino la mostruosità mafiosa lo è a suo modo. Di scrittura rapida, trascinante (con minime smagliature: un maliano che canta in inglese, la flagellazione inglese sui monti Iblei - tra il Racinaro, dove  Atene perse la Sicilia, Alcibiade, e il Cassibile dell’armistizio, non c’era di meglio?).
Il tema è semplice e non è nuovo, della famiglia disfatta che si ritrova ai lutti – di Joyce ma anche, ultimamente, di Banville, “Teoria degli infiniti”: attorno alla morte la vita si ricostituisce, e il senso-nonsenso della vita di ognuno. Col punto di vista rovesciato, la memoria è dei morti, e anche il senso della vita, propria e degli altri. Un racconto privo dell’attesa sicilitudine, alla scrittrice cara, ognuno vi ha un suo destino, anche mignon e micro, anche grigio, quale è nella realtà, dettata dai mezzi di sostentamento, che sempre sono scarsi. Ma molto siciliana in questo: di esistenze magari tristi, ma prive di sensi di colpa.
L’oleandro del titolo, di cui la valle è fiorita, l’oleandro ama le forre pietrose dei fiumi, può far morire, se i rami tagliati infettano una ferita. Ma è profumato, alcune specie lo sono, e ha colori inimitabili.
Simonetta Agnello Hornby, Il veleno dell’oleandro, Feltrinelli, pp. 219 € 17

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