mercoledì 13 marzo 2013

L’anonima guerra dei sessi, a Venezia

Un racconto – in realtà una rappresentazione, cinematografica e teatrale – strindberghiano e ibseniano. Sottolineato dall’“Ecclesiaste” di Ceronetti. Ambientato a Venezia ma non nei languori cui la città rimanda: è una storia di scarnificazione misogina, in realtà di egotismo, misantropia. Autobiografica, avverte Berto. In cui il narratore soprattutto parla di sé, si slarga, si allunga, si aggroviglia, s’infila in tutti gli spazi altrui che a mano mano riesce a individuare – fino alla sfrontatezza, a rimproverarsi di “autocompassione, narcisismo”. Compresa in questi spazi la morte: la morte propria utilizza come scalpello, e una condanna che infligge, senza la consueta liberazione catartica che l’accompagna. Un racconto però sempre avvincente, dopo quarant’anni, un certo humour stempera l’insolenza. E dunque anche Berto è Novecento rimosso, o censurato - questa edizione Bur si dota delle letture entusiaste di Pampaloni, Valeri, Prezzolini e Falqui, critici di qualità ma confinati alla gabbia della destra politica.  
La storia finisce in tragedia solo retroattivamente, essendo lo stesso Berto morto di cancro come il protagonista del racconto, dieci anni dopo la sua ideazione. Ma questo non incide sulla forza del racconto, che altrimenti si leggerebbe in chiave iettatoria, non solo a Napoli. Così come la declinazione dei temi ora attuali della polemica bioetica, contro l’accanimento terapeutico, per il suicidio, la buona morte, la morte misericordiosa. Che lascerebbero il racconto freddo, del tipo “che fare?”, tanto più sulla rete psicoanalitica di fondo che Berto, forte della sua analisi, continuamente ritesse. Se non ci intrattenessero due personaggi non luttuosi ma vaporosi, vitali.
Le insidie Berto stesso scopre, anni dopo la prima redazione, dotando di ben due prefazioni il breve racconto, che era nato come un testo d’occasione, un dialogo per il cinema - per immagini cioè, di Venezia e di attori belli, con sottofondo musicale avvenente. Una di esse redatta in punto di morte. Ma, malgrado tutto, misogino – misantropo – fino all’ultimo. La traduttrice inglese cui deve l’idea del racconto invece della sceneggiatura liquida così: “Manovrando ingegnosamente con le didascalie, costei aveva trasformato il dramma in un racconto, ottenendo un risultato illuminante”. Costei? “Certa Valerie Southorn”.
Giuseppe Berto, Anonimo Veneziano

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