Il fatto è quello noto: il padre non concepisce e
non “gestaziona” (conforma, crea) la creatura, la paternità è un dato sociale,
di leggi e abitudini. La gestazione è la vera genitorialità, e i figli sono
fatalmente succubi della madre. Al tempo di Strindberg non la naturalità veniva
in rilievo in letteratura (benché Strindberg tenesse molto al naturalismo di Zola)
ma, bizzarramente, i “generi”, che si penserebbero invece una novità contemporanea:
i vizi e le virtù stereotipe dell’essere uomo (patria potestà, iniziativa,
intelligenza) e dell’essere donna (capriccio, cattiveria).
Un padre, il Capitano, si sente espulso
dalla famiglia dalle donne, compresa la suocera naturalmente, ma alla fine pure
dall’affezionata balia, mentre la figlia non lo difende, e la moglie gli lasvia
credere tutto il peggio che lui può immaginare di lei. Cmpresao il
disconoscimento della patenrità mnaturalle. E tenta di fraro dicharare demente
– oggi si milaccia l’Alzheiner. L’uomo, “il capitano”, solo frra tante donne,
delle quali è l’0uncio sostentamento, semrpe l’uomo cacciatore, si deve
difedere, facendosi compiangere, con gli argomenti del femminismo alcuni
decenni dopo. Finché non ne muore – allora si moriva di crepacuore.
Su questo fatto Strindberg innesta
(anche qui ricorre, come poi ne “I Credtori”, la figura dell’innesto come
rapporto d’amore) l’educazione e l’affetto dei figli. Di cui la madre lo vuole
privare – “le madri” in generale vogliono privare l’uomo. Un dramma della
solitudine. Sullo sfondo del patriarcato negato. Senza difficoltà, la moglie è
una donna di poca virtù - Luciano Codignola, che ha curato questa edizione del
1978, vede nella cattiveria della donna “un delitto perfetto”, un delitto “non
punibile, non provabile, e forse neanche del tutto consapevole in colei che l’ha
ideato”. Strindberg lo dirà di suo al terzo atto, attraverso il suo doppio, il
“fratello Pastore”: “Un innocente piccolo omicidio, che la legge non può
raggiungere; un crimine involontario; involontario? – che supenda invenzione!”.
Tanto il “padre” è contato per nulla.
Ci fu al Nord, negli anni 1880, un
movimento di donne per la parità che dagli uomini esigeva la verginità. La cosa
è ardua da accertare, ma il sostegno maschile non mancò. Il commediografo danese
Björnson sceneggiò l’apostolato virginale ne Il guanto. Si formarono
associazioni in Svezia per la verginità degli uomini. Fu così che Strindberg fu
portato a scrivere molto, come si sa, delle donne - tre delle quali sposò, ogni
volta divorziando. Questa tragedia è en
travesti il matrimonio d’amore dello stesso Strindberg con Siri von Essen,
baronessa Wrangel, che per lui aveva divorziato, avviato anch’esso al divorzio
dopo dieci anni e quattro figli. L’opera sembrò a Strindberg un capolavoro, la
mandò a Nietzsche, e Nietzsche si complimentò commosso.
La tragedia è quindi databile al momento
della frattura, o frana. In cui cioè un certo tipo di uomini, antifemministi, fecero
franare la figura paterna e maschile. Per essere originali e per smania di
successo – queste “tragedie” raccoglievano strabordanti pubblici femminili, li commuovevano. L’ominicidio
non è perfetto perché è più del genere suicidio.
August Strinberg, Il padre
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