lunedì 11 marzo 2013

L’ominicidio perfetto è suicidio

Se la figlia e il padre vogliono una cosa, e la madre no, che si fa? È la domanda al centro del dramma. Anzi della tragedia, in tre atti. Non banale come sembra: “Il padre” anticipa la cancellazione della paternità. Non legale come ora, di fatto come poteva essere nell’Ottocento, di un padre in una casa di tutte donne. Tra ricatti e vendette. Poiché “nessuno può sapere chi è il padre del bambino”.
Il fatto è quello noto: il padre non concepisce e non “gestaziona” (conforma, crea) la creatura, la paternità è un dato sociale, di leggi e abitudini. La gestazione è la vera genitorialità, e i figli sono fatalmente succubi della madre. Al tempo di Strindberg non la naturalità veniva in rilievo in letteratura (benché Strindberg tenesse molto al naturalismo di Zola) ma, bizzarramente, i “generi”, che si penserebbero invece una novità contemporanea: i vizi e le virtù stereotipe dell’essere uomo (patria potestà, iniziativa, intelligenza) e dell’essere donna (capriccio, cattiveria).
Un padre, il Capitano, si sente espulso dalla famiglia dalle donne, compresa la suocera naturalmente, ma alla fine pure dall’affezionata balia, mentre la figlia non lo difende, e la moglie gli lasvia credere tutto il peggio che lui può immaginare di lei. Cmpresao il disconoscimento della patenrità mnaturalle. E tenta di fraro dicharare demente – oggi si milaccia l’Alzheiner. L’uomo, “il capitano”, solo frra tante donne, delle quali è l’0uncio sostentamento, semrpe l’uomo cacciatore, si deve difedere, facendosi compiangere, con gli argomenti del femminismo alcuni decenni dopo. Finché non ne muore – allora si moriva di crepacuore.
Su questo fatto Strindberg innesta (anche qui ricorre, come poi ne “I Credtori”, la figura dell’innesto come rapporto d’amore) l’educazione e l’affetto dei figli. Di cui la madre lo vuole privare – “le madri” in generale vogliono privare l’uomo. Un dramma della solitudine. Sullo sfondo del patriarcato negato. Senza difficoltà, la moglie è una donna di poca virtù - Luciano Codignola, che ha curato questa edizione del 1978, vede nella cattiveria della donna “un delitto perfetto”, un delitto “non punibile, non provabile, e forse neanche del tutto consapevole in colei che l’ha ideato”. Strindberg lo dirà di suo al terzo atto, attraverso il suo doppio, il “fratello Pastore”: “Un innocente piccolo omicidio, che la legge non può raggiungere; un crimine involontario; involontario? – che supenda invenzione!”. Tanto il “padre” è contato per nulla.
Ci fu al Nord, negli anni 1880, un movimento di donne per la parità che dagli uomini esigeva la verginità. La cosa è ardua da accertare, ma il sostegno maschile non mancò. Il commediografo danese Björnson sceneggiò l’apostolato virginale ne Il guanto. Si formarono associazioni in Svezia per la verginità degli uomini. Fu così che Strindberg fu portato a scrivere molto, come si sa, delle donne - tre delle quali sposò, ogni volta divorziando. Questa tragedia è en travesti il matrimonio d’amore dello stesso Strindberg con Siri von Essen, baronessa Wrangel, che per lui aveva divorziato, avviato anch’esso al divorzio dopo dieci anni e quattro figli. L’opera sembrò a Strindberg un capolavoro, la mandò a Nietzsche, e Nietzsche si complimentò commosso.
La tragedia è quindi databile al momento della frattura, o frana. In cui cioè un certo tipo di uomini, antifemministi, fecero franare la figura paterna e maschile. Per essere originali e per smania di successo – queste “tragedie” raccoglievano strabordanti  pubblici femminili, li commuovevano. L’ominicidio non è perfetto perché è più del genere suicidio.
August Strinberg, Il padre

Nessun commento:

Posta un commento