Mameli è uno sconosciuto, ancora oggi, autore per
qualcuno, al più, di facili rime patriottiche, inni sei-settenari. Rifiutato
anche nel “corpo”, proprio nella salma. David Bidussa, che cura questa
raccolta, ne fa la raccapricciante storia, del corpo rifiutato dalla famiglia,
dallo Stato unitario, dalla sua città, Genova, e dalla stessa Repubblica (solo
resuscitato da Mussolini, nel 1941, in chiave antifrancese….) – il suo inno è
ufficialmente nazionale dal 2006. Questa patria non ha profeti. Anche perché il
rimosso Mameli è l’unico repubblicano ci sui si possa leggere qualcosa –
Mazzini? Pisacane?
Bidussa ha nell’introduzione una pagina densissima
sulla “libertà senza rivoluzione”, senza guerra civile cioè, che è la più
ricorrente delle preoccupazioni di Mameli – e anche di Mazzini. Lo storico
dell’italianità ne rintraccia le origini nel Settecento, come segno specifico
dei riformatori italiani. E ne rileva la persistenza: “A lungo nella coscienza
pubblica italiana, e forse ancora oggi, l’economia è scienza
dell’amministrazione, della «buona amministrazione», ma non teoria dello
sviluppo, il che implica evitare le scelte dunque contenere e, possibilmente,
annullare il conflitto sociale”.
Fra i ricorsi storici non manca un Grillo, “un certo
cappellano Grillo”, che organizza campagne minatorie contro i patrioti a Genova
e aizza i militari contro il Circolo Italiano dei mazziniani. È un nome dunque che
è un destino - nomen omen?
Goffredo Mameli, Fratelli
d’Italia, Feltrinelli, pp. 11 € 6,50
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