venerdì 29 marzo 2013

Secondi pensieri - 137

zeulig
Dio – Non ha prove, ma nemmeno controprove. Tutte le argomentazioni contro sono a suo favore.

Gelosia - È tribunale che non si perde una piega, lucida e saettante come ogni logica che non ha fondamento, e più si acumina con le argomentazioni a difesa.

Girard pone la mimesi alla base dei rapporti umani, in quanto emulazione, desiderio di ciò che l’altro ha o è. Una forma di gelosia. Così sarà nella tradizione filologica. Ma Girard la mimesi vive diminutiva, quella del mimo e dell’azione teatrale, una riduzione dell’io e la disponibilità a entrare negli altri. Senza altruismo, la voglia fastidiosa di sacrificio, per naturale modo d’essere. È qui il dandysmo, nel dono fisiologico del gaudium, o laetitia, di cui in Seneca, il piacere che nasce da noi stessi in noi stessi, in opposizione alla voluptas, il piacere che viene da altri: «Il mio milidandysmo», potrebbe dire lo stesso Girard per ribadire il bisogno di autenticità, se usasse l’ironia.

Giardino – Si riempie da qualche tempo. Di qualsiasi cosa, la più costosa e inutile: berceaux, tettoie, forni, casette, bistecchiere. Queste si segnalano, anche se in Italia non è uso utilizzarle, forse il giorno dell’inaugurazione – ma neanche quello: le famiglie ormai si riuniscono attorno al catering: sono la cucina maschile, e l’uomo in Italia non cucina volentieri.
Forse il giardino viene riempito per la fissa italiana di costruire, una derivata dell’abusivismo, che potrebbe ben essere una passione: si innalzano strutture mobili in attesa, una notte, un giorno di Ferragosto, di murarle e coprile con un tetto, anche se a nessuna utilità. Ma riempire il giardino è tendenza non soltanto italiana. All’ambizione di avere attorno una fascia aperta è subentrata l’ansia di riempirla, per un prensile horror vacui.

Scienza – Tanto più si specializza e si parcellizza tanto più si pretende interpretazione della realtà e filosofia. Generale, universale. Einstein e Galileo, e forse Talete, non lo pretendevano, qualsiasi fisico particellaro o fisiologo sì. Una forma di dotta ignoranza, presuntuosa.

Sessi – La lotta dei sessi riproduce vecchi modelli (si ripete periodicamente?). Lo nota Lafargue, “Le Matriarcat”, 1889, e si rileva nella pubblicistica di un secolo dopo. Alla donna che cancella la paternità, con la madre vergine, si contrappose in antico Giove che concepiva e figliava di suo, Minerva dalla testa, Dioniso dalla gamba. Un neo patriarcato deve ancora ricorrere all’utero n affitto, ma fino a quando?

Che senso ha la lotta dei sessi, se non come passatempo (fatte salve le salvaguardie giudiriche)?

Storia – Aristotele nella “Poetica” la dice meno filosofica della poesia: meno veritiera cioè, meno in grado di esprimere verità consistenti, durevoli. Ma in un’accezione “limitativa” della poesia rispetto alla storiografia. “Ufficio del poeta non è descrivere cose realmente accadute, bensì quali possono accadere, cose cioè che siano possibili secondo le leggi della verosimiglianza e della necessità. Lo storico e il poeta non differiscono perché l’uno scrive in prosa e l’altro in versi… La vera differenza è che lo storico descrive fatti realmente accaduti, il poeta fatti che possono accadere. Perciò la poesia è qualcosa di più filosofico e di più elevato della storia: la poesia tende piuttosto a rappresentare l’universale, la storia il particolare”.
La poesia ristretta, come la filosofia, a dei fondamenti logici.

Tempo – Si può dire solo presente. Contro la saggezza prevalente, almeno in campo letterario, di dire il presente inesistente – c’è (esiste) il passato e c’è il futuro, la memoria e l’attesa (speranza). Il tempo presente grammaticale essendo giustamente l’essere, più che l’esistere. C’è il presente continuato, ma è un artificio rappresentativo-narrativo (si applica anche al presente, che meglio, più icasticamente, si rappresenta – si racconta – come un’istantanea. E tuttavia non c’è niente fuori del presente: il passato sarebbe un ammasso vuoto (illeggibile), il futuro non ci sarebbe.

Tolleranza – Il concetto è ambiguo anche culturalmente. A lungo la morale laica, che si vuole tollerante, ha condannato la tolleranza del cosiddetto spirito latino, o di un certo tipo di cristianità, come spirito di compromesso e accomodamento – in senso negativo cioè. La tolleranza è solo buona e ammissibile come segno di orgoglio-superiorità – come dato positivo in un rapporto di disuguaglianza.

zeulig@antiit.eu

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