lunedì 1 aprile 2013

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (166)

Giuseppe Leuzzi
Il Sud si vuole speciale

Viaggiando al Sud c’è questo di faticoso: che tutto vi viene rapportato, viene rapportato al Sud. Il resto delle incomodità, pochi alberghi e pretenziosi, ristoranti chiusi, da anni, gallerie e musei forse inesistenti, comunque chiusi, si compensa con le gioie inattese che il Sud sempre riserva, di attenzione, gentilezza, e residue bellezze, anche del paesaggio. Ma la continua commisurazione di tutto alla propria realtà è fastidiosa, “in Sicilia facciamo, in Sicilia diciamo, il siciliano è, fa, dice…”. E più per essere regionale, quindi doppiamente falsa, quasi che l’identità fosse amministrativa, di siciliano, o sardo, o calabrese, o lucano, o pugliese – ma in Puglia la pugliesità è meno assillante. Sicilia e Sardegna sono isole, qui la regionalità si può capire, ma tra quante differenze! E invece, anche nelle isole, per ogni argomento di conversazione, sia pure il cibo o la salute, un raffreddore, un’arancia, un fico secco, inevitabile sorgerà l’“in Sicilia”, l’“in Calabria”, il tarocco siciliano, il clementino calabrese, il mirto sardo, il miele…”
È la sindrome Terzo mondo, dei complessi d’inferiorità che si avvelenano ogni momento della vitta, sociale e anche individuale. È viaggiando per il Terzo mondo che la conversazione è sempre comparativistica. Doppiamente, anche lì, asfissiante, conoscendo come tantissime realtà “nazionali” nel Terzo mondo siano fittizie, a uso di astratte divisioni coloniali. In America Latina poi è asfissiante: non c’è altra conversazione possibile che un continuo rinvio al proprio pese d’origine, l’Argentina, il brsile, il Perù.
Era, perché il Terzo mondo è evoluto, marcia ora al cosmopolitismo americano. Nel Sud invece imperversa. A Sud di Napoli, bisogna dire - il napoletano ha da tempo smesso di dire “a Napoli lo facciamo meglio, o la facciamo peggio…”

La colpa è della Fiat
Nola è probabilmente una delle zone a più alta concentrazione mafiosa. Per via del mercato ortofrutticolo, e perché così è l’hinterland di Napoli – la città soffre effettivamente l’assedio di un hinterland infetto. Si viaggia sull’autostrada Caserta-Salerno col cuore in gola, dopo aver fatto qualche volta una fermata necessitata a una delle sue stazioni di servizio: sguardi indagatori e improvvisi silenzi - ogni forestiero-passeggero può essere uno sbirro – vi perseguiranno a vita. E se rifate la fermata per uno scrupolo di verità, per non voler recare pregiudizio alla Caserta-Salerno, gli stessi silenzi cupi e torvi vi seguiranno – e più se prolungate la sosta, per avere avuto per esempio bisogno impellente di un panino. Ma i giudici di Nola non se ne occupano. Si pensava anzi che non ci fossero giudici a Nola. Invece ci sono e ora hanno trovato finalmente di che occuparsi: di processare la Fiat. Non di Nola, non c’è la Fiat a Nola. Ma di Pomigliano. Che è a Napoli ma non vuol dire, l’azione penale non conosce limiti. Il giudice ha il dovere di perseguire i delitti, e i giudici di Nola vogliono mettere dentro la Fiat, altro che la camorra.

Dilaga il concorso esterno
Dell’Utri si becca l’ennesima condanna a Palermo opera concorso esterno in associazione mafiosa. Magari sarà mafioso, ma perché condannarlo per concorso esterno in associazione? Perché è un processo in cui non bisogna dimostrare nulla. Pio La Torre e Piersanti Mattarella erano contro questo tipo di “reato”.

La mafia è talmente evidente e impunita, c’è bisogno di un concorso esterno in associazione per punirla? I delitti di associazione sono anche l’ultimo rimasuglio dei delitti d’opinione.

Dell’Utri però non è mafioso, si sa. Perché allora a Palermo lo condannano? Per non condannare i veri mafiosi? Questo spiegherebbe perché i mafiosi non si processano più a Palermo da quando c’è l’Ersatz Dell’Utri e comodo punching-ball, e un’occupazione lunga del tempo – lo processano da vent’anni.

Perché la Sicilia – il Sud – ha questi giudici, menefreghisti al meglio, e queste polizie giudiziarie del tutto incapaci. Come si trova una prova del concorso esterno in associazione? Ma è lo sporto preferito dell’apparto repressivo. Mentre i mafiosi, impuniti, dilagano: minacciano, estorcono, incendiano, bombardano, uccidono anche, tranquillamente. Chi viva al Sud, leggendo i giornali del Sud, vive in un mondo governato da politici concorrenti esterni in associazione. E fronteggiare ogni giorno brutti ceffi che magari lo aspettano in piazza per entrare al bar, alla posta, dal ferramenta, insieme con lui per poterlo poi minacciare di concorrenza esterna. Sempre più spavaldi, che si prendono tutto, ora perfino le mance, sfottenti, liberamente.
I carabinieri, interpellati, rispondono: “Lo sappiamo chi sono, ma di che possiamo incolparli?”. Non c’è qui la concorrenza esterna - per i mafiosi, s’intende, non per i carabinieri?

Calabria
Ha rischiato di diventare feudo dei Borgia, i parenti del papa Alessandro VI, a fine Quattrocento – qualche traccia è rimasta nella serie tv di Neil Jordan sul papa Borgia e i suoi familiari. Per patrocinare il suo diritto al regno di Napoli, contro le pretese angioine (francesi), il papa chiese ottenne da Ferrante per il suo secondo figlio Giovanni (Dumas lo dice il maggiore, ma si sbaglia) il principato di Tricarico e le contee di Chiaramonte, Lauria e Carinola, per il figlio minore Goffredo la mano di donna Sancia, figlia naturale di Ferrante, col principato di Squillace e la contea di Cariati in dote. Ma neanche i Borgia fecero sul serio.

Il racconto “Una notte alla stazione” di Anna Maria Ortese (ora in “Silenzio a Milano””), ha un sarto calabrese che con la sua famiglia se ne riparte senza aver “visto” Milano. Dove erano venuti in cerca di fortuna. Uno dei figli, un bambinetto brutto, con le lenti, continua a chiedere: “Pa’, ma quando partiamo?”, “Subito figlio mio” “E a Milano andiamo?”, “Ci siamo già stati”. Per cui il padre si ritiene in obbligo di spiegare: “Dice sempre la stessa cosa, dice. Perché venimmo di sera, e di casa non è mai uscito. Del resto, nemmeno io l’ho veduta bene: dicono ch’è grande, piena di luci: è vero?”

Per spiegare la Mancia, Almodovar dice a La 7 che è come la Calabria. Non è vero, la Calabria è verde e fertile. Ma il carattere è duro, è vero – si diceva “testardo” – e portato con voluttà alle cause perse.
Non ha mai “fatto opinione” quanto per il caso Villella. Il brigante Villella. Il cranio di Villella. Se deve restare al museo Lombroso, di Torino, dov’era stato catalogato per gli occipiti criminali. O se non dev’essere esposto al suo paese natio.

Pane, marmellata, yoghurt: un italiano su tre se li fa in casa. È l’ultimo grido della moda – dell’attualità o stile di vita. Ma il pane quindici anni fa tutto San Luca o quasi, il paese della ‘ndrangheta, se lo faceva in casa. Lo facevano le donne, per scelta, e anche gli uomini. In forni restaurati o costruiti appositamente, non in vecchie case. I mafiosi precorrono le mode? No, le mode vengono dai paesi angloamericani: i mafiosi l’avevano saputo dai parenti in Australia e Canada..

“Non hanno la testa”, dicono i calabresi dei calabresi. “Non ha la testa” si dice di chi è stolido, o in senso più lato di chi non si applica. Dev’essere così, se si pensa a quante risorse naturali il Sud ha di più e meglio rispetto al Nord: fertilità, minerali, insolazione, perfino acqua buona, e beni culturali e naturali (paesaggistici) cresciuti nel tempo.

leuzzi@antiit.eu

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