“De Amicis è uno dei miei preferiti, il suo «Costantinopoli» è la migliore opera dell’Ottocento”: Orhan Pamuk, incalzato dallo scienziato ateo Odifreddi, finisce per dirlo su “Repubblica” (21 febbraio). Strabiliante. De Amicis viaggiò molto e molto scrisse dei viaggi, in opere che subito si traducevano in francese e altre lingue, a metà guida turistica, a metà osservatore dei costumi – non narratore alla maniera dei viaggiatori inglesi, né in soggettiva alla maniera dei francesi. Ma libri onesti, nulla di più. Che più non si ristampano. Eccetto “Costantinopoli”, che però, nell’edizione integrale, non quella ridotta da Umberto Eco e ora nel catalogo Einaudi, è lungagnone. C’è tutto: i quartieri, le popolazioni, compresi gli italiani, le cose da vedere, gli usi. Certo, Istanbul era anche allora una città aperta. E De Amicis è un viaggiatore aperto, tendenzialmente vede il buono. Ma, appunto, troppo buono - Remigio Zena gli dedicò addirittura un libro, un libello che intitolò spregiativamente “In yacht da Genova a Costantinopoli”.
In realtà il Nobel turco è incalzato a parlare di “Costantinopoli” dall’intervistatore: “De Amicis sembrerebbe essere un suo eroe. Mi sarei aspettato un capitolo su di lui in «Istanbul», come per Nerval o Flaubert, e invece lei lo cita solo di sfuggita”. Il sempre sorridente Pamuk non sembra afferrare la domanda, ma risponde in tono: “Lui sì che era un bravo scrittore, con un occhio non comune. Il suo libro «Costantinopoli» è il migliore dell’Ottocento, e la città che descrive è una sua invenzione. Ha influenzato generazioni successive di scrittori, come quelli che lei ha ricordato”. Che però venivano prima, ben prima. Compreso Gautier, su cui De Amicis si esempla. Fu infatti corrispondente non entusiasta, anche se per poche settimane, a Istanbul.
Costantinopoli, di che stiamo parlando? Della Turchia che la massoneria ataturkiana, ora erdoghaniana, sta portando sugli scudi “in Europa”? C’è un formidabile image building della Turchia ultimamente in Italia, come paese ben governato, civile, tollerante, in piena espansione, eccetera. Su cui prevedibilmente ci chiederanno di investire in immobili, ma non è male: anche se non fosse vero, sarebbe augurabile. Ma ci son delle aporie. Pamuk, che se ne è poi dimenticato nel suo “Istanbul”, aveva già detto “Costantinopoli” “il miglior libro scritto su Istanbul nel diciannovesimo secolo” come blurb per la copertina dell’edizione ridota Einaudi.
Edmondo De Amicis, Costantinopoli, Einaudi, pp. XXXII-154, ill. € 10
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