Il ragionamento è semplice, e anche ineccepibile. L’Europa
si trova a un bivio: deve scegliere, o l’integrazione politica o “un passo
indietro di qualche sorta, anche se rischioso”. O fa una politica fiscale
unitaria, per la quale però non ha gli strumenti, oppure deve regolare l’euro,
che non è una moneta unica, la stessa per tutti, in modo diverso, con
flessibilità nazionali.
L’euro in questi ultimi anni (per intenderci, dall’avvento
di Draghi alla Banca centrale europea, 1 novembre 2011) non è più quello dei
trattati, di Maastricht. Centrale ai trattati è la clausola “no bailout”,
niente cauzione di un paese sul debito di un altro. Draghi ha invece fatto
della Bce una Federal Reserve, una Bank of Japan, o anche una Banca d’Italia
prima della sua “separazione” dal Tesoro, vent’anni fa: libera d’intervenire a
sostegno del debito dei paesi membri, come delle sue banche. Questo agli occhi
di un buon tedesco, e di Sarrazin ex ministero delle Finanze, ex Bundesbank, è “pornografia”:
“Il finanziamento degli Stati mediante la Banca centrale è impensabile, vera e
propria pornografia finanziaria”.
Che la Germania sia vittima della Bce sembra
impensabile. Ma Sarrazin relaziona per esteso – allora era nel comitato
direttivo della Bundesbank – la teleconferenza notturna del “week-end del
salvataggio”, il 10 maggio 2010, in cui la Germania restò isolata, e per di più
inerte. Presidente della Bundesbank era Weber, che poi si dimise, presidente
della Bce era ancora Trichet, ma Draghi era già il membro forte del consiglio, l’anima
dietro l’interventismo.
Il vantaggio non
conta
Dunque, la Germania è a disagio in questo euro.
Sarrazin non dice che ne ha tratto vantaggio – un vantaggio enorme nei tre anni
della crisi. E un vantaggio comparato, a spese degli altri membri dell’Unione,
in primo luogo l’Italia. Una ragione per cui potrebbe avere interesse a questo
euro anche senza il “no bailout”. E
quindi, insomma, ci terremo l’euro. Ma ci spiega a che costo, e per questo
dovremmo essergli grati.
Punto per punto. I benefici dell’euro sono il
risparmio sui costi di cambio e le transazioni più facili. Cioè uno 0,1 di crescita,
al più uno 0,2. Mentre gli svantaggi sono “sproporzionati: “L’euro è per il
finanziamento di ogni Stato una moneta straniera”. Non assicura uguaglianza di opportunità
agli Stati membri, questo è un equivoco molto rischioso. Sarrazin porta l’esempio
dell’Argentina nel 2002 – all’epoca era assessore al bilancio di Berlino: “Quando
dieci anni fa l’Argentina è fallita, ho detto al Parlamento di Berlino che, al
confronto con quello della nostra città, il bilancio argentino era
relativamente solido. La differenza era che l’Argentina era indebitata in
dollari”. Infine, il firewall euro. Il
Fondo europeo di salvataggio “è un imbroglio: “Mi ricorda i muri del reattore
di Fukuskima. Per la marea normale resistono ma non sono necessari – questo è
il caso della Grecia. Un muro destinato a tenere dovrebbe essere grosso a sufficienza
per la Spagna”.
Aveva ragione
Baffi
Sul piano economico, o tecnico, Sarrazin è
sorprendente in quanto ripropone per l’euro la posizione di Paolo Baffi: un
sistema monetario integrato con cambi flessibili. “Non possiamo costringere i
francesi a sostenere il nostro modo d’intendere l’economia”, il ragionamento è
semplice. Baffi fu dimenticato, dopo l’attacco distruttivo che subì da
Andreotti, dal suo più duttile successore Ciampi, ma era un monetarista e sapeva
di cosa parlava. È questo il motivo dello scetticismo dell’anarchico Sarrazin: “La
ragione economica ci dice che sarebbe meglio tornare a un sistema integrato ma
con tassi di cambio variabili”.
Senza trascurare la debolezza politica. La moneta
unica si giustificava con l’unione politica. Kohl ne era persuaso, il cancelliere
tedesco, ma niente ne è seguito. Anzi, l’Europa politica è ora più debole di
prima: l’illusione del vincolo monetario irreversibile ha portato in pochi anni
a giganteschi passi indietro. L’opzione normativa liberale è trascurata, e ciò
che nel suo ambito si era realizzato è dimenticato. A favore di una burocrazia
immemore, che non sa cosa fa e perché. E si è perduta l’identità culturale: ora
l’Europa parla straniero, come quando l’Argentina s’indebitava in dollari. Con
l’euro è venuto l’inglese, appannando le specificità culturali che erano l’anima
dell’Europa, e che sono primariamente linguistiche: l’Europa ora parla una
lingua straniera, l’inglese della Gran Bretagna che non ne fa parte.
Thilo Sarrazin, L’Europa non ha bisogno dell’euro, Castelvecchi, pp. 288 € 18,50
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