sabato 13 aprile 2013

Fare a meno dell’euro non è la fine del mondo

“Se la Germania è contro gli eurobond è meglio che abbandoni l’Unione”, intima George Soros (“Corriere della sera”, 10 aprile). Ma non è detto. In Germania c’è chi è per gli eurobond ma contro l’Unione monetaria. Thilo Sarrazin, economista, dirigente pubblico e socialista, europeista, ci ha riflettuto in questo libro che dice proprio quello che il titolo dice: che l’Europa può fare a meno dell’euro. E non è un paradosso.
Il ragionamento è semplice, e anche ineccepibile. L’Europa si trova a un bivio: deve scegliere, o l’integrazione politica o “un passo indietro di qualche sorta, anche se rischioso”. O fa una politica fiscale unitaria, per la quale però non ha gli strumenti, oppure deve regolare l’euro, che non è una moneta unica, la stessa per tutti, in modo diverso, con flessibilità nazionali.
L’euro in questi ultimi anni (per intenderci, dall’avvento di Draghi alla Banca centrale europea, 1 novembre 2011) non è più quello dei trattati, di Maastricht. Centrale ai trattati è la clausola “no bailout”, niente cauzione di un paese sul debito di un altro. Draghi ha invece fatto della Bce una Federal Reserve, una Bank of Japan, o anche una Banca d’Italia prima della sua “separazione” dal Tesoro, vent’anni fa: libera d’intervenire a sostegno del debito dei paesi membri, come delle sue banche. Questo agli occhi di un buon tedesco, e di Sarrazin ex ministero delle Finanze, ex Bundesbank, è “pornografia”: “Il finanziamento degli Stati mediante la Banca centrale è impensabile, vera e propria pornografia finanziaria”.
Che la Germania sia vittima della Bce sembra impensabile. Ma Sarrazin relaziona per esteso – allora era nel comitato direttivo della Bundesbank – la teleconferenza notturna del “week-end del salvataggio”, il 10 maggio 2010, in cui la Germania restò isolata, e per di più inerte. Presidente della Bundesbank era Weber, che poi si dimise, presidente della Bce era ancora Trichet, ma Draghi era già il membro forte del consiglio, l’anima dietro l’interventismo.
Il vantaggio non conta
Dunque, la Germania è a disagio in questo euro. Sarrazin non dice che ne ha tratto vantaggio – un vantaggio enorme nei tre anni della crisi. E un vantaggio comparato, a spese degli altri membri dell’Unione, in primo luogo l’Italia. Una ragione per cui potrebbe avere interesse a questo euro anche senza il “no bailout”. E quindi, insomma, ci terremo l’euro. Ma ci spiega a che costo, e per questo dovremmo essergli grati.
Punto per punto. I benefici dell’euro sono il risparmio sui costi di cambio e le transazioni più facili. Cioè uno 0,1 di crescita, al più uno 0,2. Mentre gli svantaggi sono “sproporzionati: “L’euro è per il finanziamento di ogni Stato una moneta straniera”. Non assicura uguaglianza di opportunità agli Stati membri, questo è un equivoco molto rischioso. Sarrazin porta l’esempio dell’Argentina nel 2002 – all’epoca era assessore al bilancio di Berlino: “Quando dieci anni fa l’Argentina è fallita, ho detto al Parlamento di Berlino che, al confronto con quello della nostra città, il bilancio argentino era relativamente solido. La differenza era che l’Argentina era indebitata in dollari”. Infine, il firewall euro. Il Fondo europeo di salvataggio “è un imbroglio: “Mi ricorda i muri del reattore di Fukuskima. Per la marea normale resistono ma non sono necessari – questo è il caso della Grecia. Un muro destinato a tenere dovrebbe essere grosso a sufficienza per la Spagna”.
Aveva ragione Baffi
Sul piano economico, o tecnico, Sarrazin è sorprendente in quanto ripropone per l’euro la posizione di Paolo Baffi: un sistema monetario integrato con cambi flessibili. “Non possiamo costringere i francesi a sostenere il nostro modo d’intendere l’economia”, il ragionamento è semplice. Baffi fu dimenticato, dopo l’attacco distruttivo che subì da Andreotti, dal suo più duttile successore Ciampi, ma era un monetarista e sapeva di cosa parlava. È questo il motivo dello scetticismo dell’anarchico Sarrazin: “La ragione economica ci dice che sarebbe meglio tornare a un sistema integrato ma con tassi di cambio variabili”.
Senza trascurare la debolezza politica. La moneta unica si giustificava con l’unione politica. Kohl ne era persuaso, il cancelliere tedesco, ma niente ne è seguito. Anzi, l’Europa politica è ora più debole di prima: l’illusione del vincolo monetario irreversibile ha portato in pochi anni a giganteschi passi indietro. L’opzione normativa liberale è trascurata, e ciò che nel suo ambito si era realizzato è dimenticato. A favore di una burocrazia immemore, che non sa cosa fa e perché. E si è perduta l’identità culturale: ora l’Europa parla straniero, come quando l’Argentina s’indebitava in dollari. Con l’euro è venuto l’inglese, appannando le specificità culturali che erano l’anima dell’Europa, e che sono primariamente linguistiche: l’Europa ora parla una lingua straniera, l’inglese della Gran Bretagna che non ne fa parte.
Thilo Sarrazin, L’Europa non ha bisogno dell’euro, Castelvecchi, pp. 288 € 18,50

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