Una
forma di consolidamento è necessaria. Andava fatta prima della partenza
dell’euro, ora è difficile, ma va fatta. Una riduzione cioè dell’esposizione.
Le formule sono tante. La più efficace sarebbe l’eurobond, la trasformazione
dei debiti nazionali.
L’Italia
ne ha esperienza. Fu italiano il primo consolidamento moderno del debito,
subito dopo l’unità, a opera di un dimenticato (per questo?) ministro delle
Finanze, Antonio Scialoja. Il 2 maggio 1866, in reazione alla caduta delle quotazioni
dei titoli del debito pubblico italiano alla Borsa di Parigi, per una delle
tante crisi commerciali, Scialoja proclamò il “corso forzoso”, ossia la
temporanea inconvertibilità. Al contempo il ministro obbligava la Banca
Nazionale, antenata della Banca d’Italia, a fornire al Tesoro un mutuo di 250
milioni – l’odierno acquisto Bce a sostegno del corso del debito. E subito dopo
emise un prestito redimibile forzoso, a carico delle banche.
Qualche estratto da anti.it aiuterà:
“Nel
1926, richiamato alla presidenza del consiglio dei ministri per risolvere una
crisi di eccezionale gravità che bloccava il funzionamento dello Stato, Raymond
Poincaré fece il 3 agosto una “manovra” da undici miliardi di franchi, cioè
impose undici miliardi di nuove tasse. E il 7 agosto creò una Cassa
d’ammortamento del debito pubblico che, prendendo il testimone dai Monopoli di
Stato, utilizzerà le tasse sul fumo e le lotterie per ammortizzare i buoni
della difesa nazionale 1914-18, e rimborsare anticipatamente o convertire le
rendite anteguerra, più le anticipazioni, rateizzandole, della Banque de
France. Lo Stato riprese a funzionare e dopo diciotto mesi Poincaré poté varare
il franco che porta il suo nome, e che per oltre mezzo secolo è stato il mark-up della
tesaurizzazione - nonché il tema di dottorato di A.O.Hirschmann, il
ragguardevole cognato di Eugenio Colorni e Altiero Spinelli, “Il franco
Poincaré”.
“Il 21 giugno 1928 alla Camera dei Deputati Poincaré ricordava lo
scoraggiamento dell’Assemblea due anni prima, quando aveva cominciato a
delineare il piano fiscale, e i risultati acquisiti: “La politica
d’ammortamento e di consolidamento facoltativo non è stata affatto, come si è
preteso talvolta per ignoranza o malafede, una politica d’indebitamento. Essa è
consistita, al contrario, nella sostituzione di prestiti rimborsabili a breve
termine, e di conseguenza minacciosi e pericolosi, con prestiti a lungo termine
automaticamente ammortizzabili, che non hanno, di conseguenza, niente di
minaccioso. Con l’effetto di rafforzare rapidamente il credito dello Stato”.
Nonché le esportazioni, valendo il franco Poincaré un quinto del vecchio franco
germinal.
“In precedenza lo stesso Poincaré, non volendo affrontare il problema,
aveva puntato sui debiti di guerra della Germania, come se fossero esigibili,
col suo famigerato “la Germania pagherà”, in quella che chiamava “Verdun
finanziaria” - Verdun essendo la Vittorio Veneto della Francia. Esagerando, era
arrivato a sostenere che la Germania alimentava l’inflazione per sottrarsi agli
impegni. Per questo, a gennaio del 1923, occupò militarmente la Ruhr, come
“pegno di produzione”. La Germania si fermò, non poteva nemmeno riscaldarsi, e
si ebbe l’iperinflazione. Il cui effetto, oltre la fame dei tedeschi, fu il
crollo del franco, e dello stesso Poincaré, nella primavera del 1924. Il
Cartello delle sinistre che gli succedette, presieduto dal radicale Herriot, lo
Zapatero dell’epoca, si inimicò col suo acceso laicismo i cattolici, che
decisero di non sottoscrivere più un franco del debito, e la Banque de France.
La Francia andava avanti con gli anticipi della banca centrale. La quale era
però privata, e doveva far guadagnare i suoi duecento azionisti. Che erano le
duecento famiglie più ricche della Francia, molto religiose, cattoliche e
calviniste. Il Cartello di Herriot vivacchiò un paio d’anni, ma dovette cedere
al cosiddetto “muro dei soldi”: non era mai successo che un governo in Francia
cadesse per una questione di soldi.
“In Italia Mussolini aveva adottato una Cassa per l’Ammortamento del Debito
Pubblico interno dello Stato – dopo avere beneficiato dell’abbuono del debito
estero contratto in guerra dall’Italia con Stati uniti e Gran Bretagna – un
anno prima di Poincaré. Ma con effetti non risolutivi, anche se la situazione
era notevolmente stabilizzata in Italia rispetto al resto d’Europa......
Meno spesa, meno tasse
“Dopo la Grande Guerra, l’Italia più che la Germania sembrava predestinata
a un rapido fallimento. Nel 1914 il debito pubblico era il 75 per cento del
pil. Nel 1918 era il 150 per cento del pil. Un primo tentativo di ammortamento
del debito, con la patrimoniale fortemente progressiva del 1920, fallì: il
gettito fu esiguo. Le cose si trascinarono fino al fascismo, sotto il quale
com'è noto l'Italia riguadagnò la fiducia degli ambienti internazionali,
specie di quelli finanziari. Mussolini, col suo ministro De Stefani, ricavò
molto più della patrimoniale con la riduzione della spesa, e il contenimento
delle tasse. Nel 1926 De Stefani poté vantare un debito pubblico al 50 per
cento del pil. Ma sapendo che era per effetto soprattutto del condono del
debito estero da parte degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. Da qui il
progetto di una Cassa d’Ammortamento, che il nuovo ministro del Tesoro Volpi
realizzerà un anno dopo. Abbastanza per riportare la lira nel gold standard,
con la famosa Quota Novanta (92 lire, esattamente, per una sterlina).
“Nel 1936, per finanziare la guerra in Etiopia, Mussolini emise un prestito
doppiamente forzoso sugli immobili. I proprietari di immobili furono obbligati
a sottoscrivere un prestito venticinquennale in proporzione al valore degli
immobili stessi. Una imposta immobiliare straordinaria fu levata per il sevizio
del nuovo debito.
“Le vie della finanza sono imperscrutabili, dal punto di vista della
giustizia e della politica. La "manovra" di Mussolini nel 1936 è
certo roba da fascismo, seppure anticapitalista: il prestito forzoso è odioso,
e anche autoritario. E tuttavia è meglio, è meno ingiusto e più democratico, di
una imposizione fiscale elevata, la più elevata al mondo, che a ogni manovra –
ogni sei mesi – si aumenta.
La Spa del debito
“Nel 2005 l’ex ministro delle Finanze Guarino ha proposto un consolidamento
sotto forma di una società per azioni, alla quale conferire i tanti attivi non
esigibili dello Stato. Una società privata, fuori cioè dello Stato. In grado di
produrre utili, e di raccogliere quindi un conveniente numero di sottoscrittori
privati. Questo grazie al conferimento di un patrimonio che Guarino stimava in
450 miliardi, pari al 35 per cento del debito (di allora). Forse addirittura in
600 miliardi, pari al 45 per cento del debito, che così sarebbe sceso sotto la
soglia virtuosa del 60 per cento del pil.
Era una stima prudente: il patrimonio pubblico, dello Stato e degli enti
locali, si valuta in 1.800 miliardi. Togliendo dal computo i beni artistici, e
quelli locali, difficilmente mobilitabili, l’Agenzia del Demanio calcolava
all’epoca che beni per 450 miliardi si potevano agevolmente mettere sul
mercato: partecipazioni, quotate e non, immobili, crediti. Il debito sarebbe
stato abbattuto a mano a mano che le quote di Debito Spa venivano vendute agli
investitori. Per un controvalore stimato appunto fra i 450 e i 600 miliardi.
“Il professor Guarino era un ex democristiano, senza più autorità, per di
più ministro dell’infausto governo Amato nel 1992, e la sua proposta non ebbe
fortuna. Lei stesso ridusse l’attivo ipotetico della Debito Spa a 60 miliardi,
e poi non ne fece nulla. Inoltre, Guarino prevedeva che fossero le banche e le
grandi imprese italiane ad avviare il successo di Debito Spa nel mercato,
prendendone una quota di almeno il 10 per cento, e oggi le banche non sono in
condizione di farlo, né le grandi imprese totalmente private, Fiat, Telecom,
Pirelli, Autostrade, eccetera. La pratica, da lei passata al governo Prodi, fu
affossata perché “economicamente priva di senso”. Ma il professor Messori,
consulente di Prodi a palazzo Chigi, riteneva che in forma specializzata e non
aggregata, con una serie di holding e non una sola, il progetto potesse
riuscire.
Cassa d’ammortamento
“Una Cassa d’ammortamento è, insegna Jean-Baptiste Say, al cap. 30, “Sui
prestiti pubblici”, del suo “Catechismo d’economia politica”, “un mezzo per
sostenere il credito del governo”. Domanda: “Che cos’è una cassa d’ammortamento?” Risposta: “Quando si
mette un’imposta per pagare gli interessi di un prestito, la si mette un po’
più alta di quanto è necessario per pagare questi interessi, e l’eccedente è
confidato a una cassa speciale che si chiama cassa d’ammortamento, la quale lo
utilizza per riacquistare ogni anno, ai corsi di mercato, una parte delle
rendite pagate dallo Stato. I ratei delle rendite riscattati dalla cassa
d’ammortamento sono quindi versati in questa cassa, che li impiega, così come
la quota di imposte che le viene attribuita a questo scopo, per il riacquisto
di una nuova quantità delle rendite”.
“Say non amava il debito pubblico: “Un governo che vende delle rendite per
appropriarsene il prezzo vende in realtà il reddito dei cittadini”. Non molti
anni prima del suo “Catechismo”, nel 1776, una Cassa d’ammortamento era stata
creata, col favore di Turgot, a fronte di un debito pubblico che all’improvviso
apparve colossale, con lo scopo di rassicurare i sottoscrittori. Malgrado la
Cassa, la Francia finì nella Rivoluzione. E la Rivoluzione, che si può anche
dire provocata dall’instabilità finanziaria, finì negli assignats,
cioè nella cancellazione della moneta”.
Se Prodi al
Quirinale
Ma Prodi oggi, dovesse andare al Quirinale, probabilmente non
obietterebbe. Successivamente alla proposta Guarino da lui bocciata, infatti,
Il Mulino bolognese, un think tank nel quale il Professore ha molto spazio, ha
redatto “Debito pubblico”, una pubblicazione a cura del professor Musu, che
è assolutoria e anzi incitatoria. No, categorica: “Il risanamento finanziario
connesso a un processo di riduzione del debito pubblico può essere paragonato
alla produzione di un bene pubblico, di un bene cioè del quale tutti i
cittadini possono godere simultaneamente e in modo non reciprocamente
esclusivo”.
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