Irène lo pubblicò con uno pseudonimo, Pierre Nerey,
anagramma di Irène, ancora incerta sul rapporto con la madre, la “nemica” è
infatti la madre. Sul “matricidio” che segnerà molto della sua opera e della
sua stessa vita – la madre si rifiuterà di occuparsi delle due bambine della
figlia quando questa finirà a Auschwitz nel 1942. Nel “Ballo” darà un taglio
netto. Qui approda a una resa, a una sorta di colpa condivisa. Con la figlia
che si fa madre (“come potrei giudicarla? Non le somiglio forse?”), che è il
destino di ogni donna, l’inevitabile “riconciliazione”.
A differenza che nel “Golder” e nel “Ballo” mancano
qui anche le sottolineature razziali, anzi razziste, che sono state
rimproverate alla scrittrice in questo revival post-“Suite francese”. Che non
si sa, leggendo ora questo primo abbozzo, se aggiungono o non tolgono valore –
all’espressione, alla scrittura, alla storia. C’è però forte l’identificazione
con la medietas francese, la cultura
d’adozione di questa emigrata ebrea da Kiev, con i modi di dire e i riti di
chiesa - l’assimilazione o integrazione che
ora l’ebraismo abomina.
Una lettura rinfrescante. C’è anche un primo abbozzo
delle Lolite del secondo Novecento - “giocare all’amore”. Seppure di seduzioni
ancora convenzionali, baci rubati, occhiate assassine, tocchi furtivi. E c’è
Plombières, nome familiare al lettore italiano ma setting raro nella narrativa francese, anche di viaggio, località “abbandonata
tra le montagne”, piena di mosche e temporali – prima di Biarritz, che sarà l’anima
d’Irène, solare.
Irène Némirovsky, La
nemica, Elliot, pp. 153 € 16
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